chapter eight.

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242 giorni prima;

Malia si alzò di scatto, come suo solito. Aprì gli occhi e si levò dal letto con il respiro rotto. Sapeva di fare degli incubi, ma non se li ricordava mai. Aveva solo una grande angoscia nel petto. Era una sensazione orribile.
Poi ad un tratto ricordò: era in una clinica, era notte fonda e lei stava cercando di scappare. Rise. Certo che ne faceva di sogni strani.
Allungò la mano e tastò il comodino alla ricerca del suo telefono. Ma non lo trovò. Fece una smorfia stranita e si guardò intorno: la stanza non era la sua. Non era nel suo letto a baldacchino, l'intero arredamento era diverso.
Poi, con sua grande delusione, capì. Tutta la storia della clinica non era un sogno. E soprattutto la tentata fuga di ieri non lo era.

Tentata fuga. Non sono riuscita ad andarmene. Sono ancora qui.

Poi ricordò anche di Theo. Ricordò anche di essere... svenuta? Da quando le erano cedute le gambe non ricordava nulla. Aveva dei piccoli spezzoni di memoria dove aveva il suo viso a pochi centimetri e lui era occupato a fissare qualcosa davanti a sé.
Malia guardò istintivamente accanto a sè nel letto. Lo sentì improvvisamente troppo grande e freddo.

Perché aveva la sensazione di non aver dormito da sola, quella notte?

Doveva far parte delle sensazioni mattutine: un miscuglio di ricordi, desideri e confusione. E tristezza, soprattutto.
Perché era ancora lì e non avrebbe avuto più occasioni per andarsene. Theo l'aveva scoperta e l'avrebbe tenuta d'occhio. Che odio.

Si alzò tutta arrabbiata dal letto e, senza nemmeno mettere in ordine, andò in bagno. Si diede una veloce sciacquata, si lavò i denti e si pettinò in fretta i lunghi capelli.
Le venne in mente quando Theo le aveva detto che avrebbe dovuto tagliarsi i capelli.

Il pensiero afflisse la sua mente, anche se per un istante, ma la afflisse.

Si fece una coda alta e indossò una maglia con sopra una giacchetta di jeans - che nemmeno ricordava di avere - e un paio di pantaloni leggeri. Anche se era fine settembre faceva alquanto caldo.
Solo dopo tutto ciò poté controllate l'ora dall'orologio a pendolo che aveva in soggiorno. Segnava le undici e mezza.
Sorrise tra sé e sé. Aveva saltato la terapia; doveva andare direttamente in sala pranzo e poi, siccome aveva il pomeriggio libero - almeno così ricordava - avrebbe passato tutto il pomeriggio a escogitare un piano; stavolta sarebbe andato a buon fine. Ne era certa.

, nei tuoi sogni.

Uscì di casa, con passo spedito, e andò alla clinica. Cercò di non scontrarsi con la dottoressa Mejer o la infermiera e salì al secondo piano. Sentì fin dagli scalini il rumore delle voci di tutti i ragazzi, probabilmente già arrivati in sala pranzo a prendere posto e ad aspettare con impazienza di mangiare e riposare. Lei aveva riposato anche abbastanza. Ma c'era qualcosa che la turbava, la faceva sentire in soggezione e non saperlo la faceva stare peggio.
Entrò dentro e sentì gli sguardi di tutti addosso. Aveva voglia di tirare un bel po' di pugni a molti di loro, ma si trattenne e si limitò a fare un piccolo sorriso.

Si guardò intorno e vide Lydia assieme a Theo, seduti in un tavolino in fondo a parlottare tra loro. Non appena lo vide si fulminò qualcosa dentro di lei, sapeva di dover ricordare qualcosa. Ma non sapeva cosa; era frustrante.

La ragazza maggiore alzò la mano e la invitò a raggiungerli. Malia fu tentata a filarsela a gambe, ma alla fine decise di prendere la strada del menefreghismo e fingere che la notte scorsa non fosse successo niente. Di sicuro Theo non avrebbe detto niente. No?

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