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Finalmente le ore di scuola sono finite.

Pensavo di non uscirne più viva da quell'inferno. Ho sempre amato andare a scuola, il pensiero che ogni ora che trascorrevo dentro a quel luogo mi aiutasse a farmi diventare una persona più colta, la quale la gente non poteva rigirarsi a suo piacere, alla quale nessuno sarebbe riuscito a mettere i piedi in testa e che avesse fatto carriera, grazie alla sua ampia cultura sognava di trovare un lavoro importante, che fosse utile per lo sviluppo della società. Da più piccola, quando andavo a trovare la nonna Lisa in America, trascorrevo le giornata nel suo guardino sul retro della casa e fingevo di essere un'archeologa e qualsiasi tipo di sassolino poteva essere appartenuta a un'altra bambina che si trovava a giocare in quel luogo mille e mille anni prima, e allora la mia mente fantasticava, fantasticava su come la gente potesse vivere un tempo, su come trascorreva tutta la giornata.

Per questo passavo interi pomeriggi in casa a studiare o in biblioteca per ampliare maggiormente l'oggetto di studio. Lo studio sì... come poi a tutti mi annoiava... e parecchio, ma pensare che quelle ore le stavo spendendo nel migliore dei modi mi rincuorava.

Ora invece, arrivo a casa talmente stanca e distrutta da un ritmo di vita dettato dalla stessa società per la quale volevo rendermi utile fino all'anno scorso nei migliori dei modi, che non ho nemmeno il tempo per leggere una pagina del mio libro, o per mettermi lo smalto sulle unghie, o per passare una sera a vedere la televisione con la mia famiglia, come invece un po' di tempo fa facevo. Non avevo più tempo libero da dedicare a me stessa.

-Mia!- mi sorprese una voce, riportandomi alla vita reale.

Mi volto per capire da chi provenisse quell'urlo che invocava il mio stupidissimo nome, anche se sapevo benissimo a chi appartenesse quel timbro di voce. Forse lo feci nella speranza che mi fossi sbagliata... ma come sempre... avevo ragione.

Sentì un ghigno farsi spazio tra le mie labbra constatando che ancora una volta Mia Williams non si era sbagliata, ma che sparì non appena si ricordò del motivo per il quale avesse tanto desiderato essersi sbagliata.

Decido di voltarmi e camminare a un passo più spedito per seminarlo e per fargli arrivare il messaggio che non ho alcuna intenzione di intrattenere qualsiasi tipo di discorso con lui. Ma evidentemente il massaggio non è abbastanza chiaro, perché sento i passi più pesanti, dovuti sicuramente a una corsetta nel tentativo di raggiungermi, farsi sempre più vicini, e una mano afferrarmi il polso facendomi girare verso di lui.

Subito incontro i suoi occhi, ipnotici... ecco l'aggettivo giusto. Ipnotici.

-Hey, non si saluta?- Mi dice con un ghigno.

Ma che problemi ha? Prima mi ignora mentre la sua fidanzata è impegnata nel distruggermi moralmente e ora invece vuole farmi credere che ci tiene ad un mio saluto? Cos'è... ora sono divenata una donna Stlnovista per il quale gli uomini pregano per avere un saluto?(*)

-Sono di fretta- Gli dissi lanciandogli un'occhiata in cagnesco e liberandomi il polso per poi voltarmi e continuare a camminare verso l'uscita di scuola.

-Ti riaccompagno a casa così non sprechi tempo e intanto parli con me.- Dice. Più che un invito sembra un ordine.

-Uno.- Incomincio io con un tono sempre più freddo.- Sono di fretta, ho gli allenamenti. Due, è venuta a prendermi mia madre- Dico indicandogli un punto indefinito del parcheggio scolastico sperando con tutta me stessa che lei sia già arrivata.- Tre, non ho ne la voglia ne alcun tipo d'intenzione nel parlare con te!- Dico aumentando il passo per raggiungere il più in fretta possibile l'uscita così da raggiungere il parcheggio.

-Va bene, va bene, va bene- Dice lui raggiungendomi e piazzandosi davanti a me sollevando le mani per assumere una posizione di difesa, probabilmente dovuta dal mio tono poco amichevole.

I've Always been yoursDove le storie prendono vita. Scoprilo ora