In solitudine

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Non più mi perdo,
esalto
questa cupola
tersa di nubi
oltre dolci giganti d'argilla
disseminati d'olivi ed uva,
ma odio, disprezzo
i lor frutti orgogliosi
di spighe, papaveri,
di Tuscia profumi.
Affonderei tetre radici
nel corpo del Mondo
e squarcerei questi campi,
il bel rosso castello
natio del Boccaccio,
e oltre i suoi merli
là sotto il colle
estirperei crudele
una pace mai avuta.
Perchè la campana suona
ai miei rimpianti infiniti,
alle mie certezze
ormai crocifisse,
da natura estranea,
deridente, crudele
ignara del cuor mio,
universo straziato.

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