Long Way From Happiness

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... And there's no second guess
We take no second bets
Chances are
we're a long way from happiness ...

Mi svegliai che era notte fonda. Guardai la sveglia sul comodino ed erano già le 4:00 passate da un po'. Uscii dal piumone e coprii bene Nathan. Mentre stavo andando in bagno vidi la tv ancora accesa, mi avvicinai al divano e Tony dormiva tutto rannicchiato sotto la coperta che scendendo gli lasciava scoperta la schiena. Avrei voluto svegliarlo per rubare qualche bacio al tempo mentre nostro figlio dormiva, invece lo coprii meglio e mi fermai qualche istante a guardarlo dormire. Anche lui sembrava un bambino. Non volevo questo per noi, non volevo vedere Tony doversene andare dal nostro letto per dormire sul divano. Avevo bisogno di lui come avevo bisogno di nostro figlio. Non era uno che doveva escludere l'altro, come era sempre stato fino ad ora, non più.
Tony aveva fatto più di venti ore di volo in due giorni, si era assunto tutta la responsabilità di andare a riprendere nostro figlio nonostante non lo avesse mai visto, con tutti i dubbi e le paure che questo gli aveva procurato, anche se voleva mostrare una calma apparente. E poi si era fatto da parte, come se si sentisse un corpo estraneo tra me e Nathan e questo mi faceva stare male, perché mi rendevo conto che era solo una conseguenza delle mie scelte. Lui, di fatto, era per Nathan un estraneo e solo ora me ne rendevo pienamente conto. Nathan aveva un'idea di papà in mente, ma era una figura astratta, un concetto, non una persona fisica, che avrebbe avuto il suo spazio nella nostra vita. Io, quando lui gli parlavo del suo papà, sapevo chi era ed il suo ruolo, lui no. Per lui era una parola. Papà, anzi Abba. Lui non legava quella parola all'immagine di Tony, non era concreto.

Tony mal celava dietro, la gioia e l'entusiasmo, tutte le incertezze che, il diventare padre all'improvviso, gli aveva procurato. Non c'era bisogno che lo dicesse, lo percepivo da suoi momenti di silenzio, da come lo trovavo assorto a volte a pensare alle cose più stupide che per lui diventavano problemi insormontabili. Aveva avuto poco più di un mese per metabolizzare l'idea di avere un figlio, un figlio per di più già grande. E se non bastano nove mesi per prendere coscienza che si sta diventando genitori di un neonato la sua situazione era ancora più complicata perchè si trovava davanti un bambino con, per quanto semplici, già un'idea di mondo formata, con una sua personalità e relazioni sociali. So quanto lo preoccupava il problema del non poter comunicare come voleva con suo figlio, lui che della parola ha un'arte tutta sua, che non sta zitto un attimo, che vuole sempre parlare, parlare e parlare. Non sentirsi libero di poterlo fare con Nathan era forse la cosa che lo angosciava di più, perché aveva paura di non farsi capire, di non riuscire a farsi conoscere ed apprezzare.
Da quanto mi aveva raccontato, però, il loro incontro era andato tutto sommato bene ed anche il viaggio, per questo mi aveva stupito il suo comportamento di allontanarlo una volta che eravamo insieme, come se quel signore che era la personificazione di una parola astratta, Abba, avesse senso solo fino a quando non c'ero io. Poi Nathan, una volta che mi aveva visto, era ritornato nel nostro mondo, che per lui era fatto solo di due persone: io e lui. E Tony ne era fuori. Forse lui aveva capito, nonostante lo conoscesse solo da un giorno, nostro figlio meglio di me e si era fatto da parte. Si era autoescluso prima che lo escludesse lui. Gli aveva lasciato il suo spazio, la possibilità di rimpadronirsi del suo ruolo di figlio con me, prima di imporsi a lui come figura di padre. Però a me faceva male vederlo lì, su quel divano da solo, con la consapevolezza che era solo colpa mia.

Nathan si svegliò presto, di fatto consideravo già una conquista che quella notte fosse riuscito a dormire senza preoccuparsi troppo di dove era. Io mi ero addormentata di nuovo da poco, dopo che ero stata gran parte della notte a guardare dormire prima Tony sul divano e poi lui nel letto con me, ma essere svegliata dalla sua voce che mi cercava era bellissimo.
Le sue manine tastavano il mio viso mentre mi chiamava invitandomi a prestargli attenzione, quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi furono i suoi capelli tutti spettinati che incorniciavano il suo volto serio che mi guardava da vicino come a volersi accertare che fossi realmente io.
"Ciao piccolo mio" e sulla sua bocca nacque un grande sorriso mentre si buttò letteralmente sopra di me con una forza tale per quel corpicino che mi tolse il respiro. Lo abbracciai e giocammo tra le lenzuola come avevamo sempre fatto e lui rideva tantissimo era bello vedere felice anche lui. Non gli avevo chiesto nulla della nostra separazione, non sapevo nè se nè come farlo: speravo l'avesse presa come un gioco e che non ne fosse rimasto traumatizzato.
Sentivo lo sguardo di Tony addosso mentre giocavo con nostro figlio. Era lì già da un po', ma non gli dissi niente, ero concentrata su Nathan e farlo divertire e a riempirlo di baci.

The Memory RemainsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora