Capitolo 1.

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Tenendo la schiena inarcata contro la dura superficie in legno dell'armadio, guardo con sufficienza la valigia riposta accuratamente sul mio letto.

Mentirei se dicessi che le aspettative che nutro per questo viaggio sono alte, e forse è proprio per questo che il mio bagaglio se ne sta lí, immacolato, ancora vuoto, pronto per essere riempito. Tiro un sospiro, autoconvincendomi che questa partenza gioverà sicuramente all'insieme di disastri che ormai è diventata la mia vita.

Così chiudo gli occhi, e per una decina di secondi diventa tutto scuro.

Quando li riapro ho deciso; sono pronta per un nuovo inizio. Una maschera di felicità mi si pianta sul volto nel momento in cui mia madre fa il suo ingresso in camera, cogliendomi totalmente alla sprovvista. Vorrei nasconderle il fatto che non abbia ancora preparato tutto, forse perché non mi sento completamente sicura. Tuttavia, prima che io possa impedirlo, il suo sguardo cade immediatamente sul letto, e subito dopo si posa su di me.

«Tesoro, come va?» chiede poi forzando un sorriso a labbra serrate, con le mani intrecciate sul petto. Riesco a cogliere una nota d'incertezza e preoccupazione nella sua voce apparentemente tranquilla.

Tipico di mia madre.

Tutto ciò che mi allontana da lei non ha sicuramente un buon effetto sul suo umore, e me ne rendo conto ancora di più nei piccoli gesti che noto nel corso di questi giorni. Quella gentilezza estremamente controllata e misurata, l'ansia costante e il continuo ripetermi di "pensarci bene", non sono altro che un tentativo per farmi rimanere.

Ma non posso, dovrebbe saperlo. Non posso e, soprattutto, non ce la faccio. Devo andarmene per un po' se voglio dimenticare i problemi che affliggono questo posto e di conseguenza la mia vita.

«Bene.» mento spudoratamente. «Sono ancora indecisa su ciò da portare...il clima di Toronto sarà sicuramente diverso da quello di Londra!» esclamo, accompagnando il tutto con un gesto teatrale.

«Dovresti chiedere a tuo padre, o magari dare un'occhiata su internet», mi suggerisce con il solito falso entusiasmo.

«Hai ragione», annuisco dandole poi le spalle per prestare maggiore attenzione al mio armadio.

Al contrario di quanto detto prima, mi sono già informata sull'estate in Ontario, tanto da sapere che è abbastanza calda, temporalesca, a volte afosa, con qualche giornata fresca. Così, appena mia madre mette piede fuori dalla stanza, mi immergo completamente nel mio guardaroba. Scelgo parecchie T-shirt e pantaloncini, ma ovviamente non mancano jeans e maglie a maniche lunghe, accompagnate da giacchette leggere e camicette. Per un momento mi dimentico di tutto; la scuola, i miei ex amici, i guai in cui mi sono cacciata durante tutto l'anno, e non sento quella solita morsa di ferro che mi stringe da più di un mese. Poi le mie mani incontrano un capo d'abbigliamento particolare, mai indossato e con l'etichetta ancora penzolante, le 20£ che avrei dovuto pagare segnati in bella vista. Mi rabbuio al pensiero che quella maglietta è stata acquistata con una persona che è entrata e uscita con troppa prepotenza dalla mia vita, e forse "acquistata" è anche una parola grande, dal momento che io e Stacy l'abbiamo agguantata così, in un momento di noia, senza tener neppure conto del prezzo, qualche mese fa.

Ricordo che fu Stacy a proporre di rubare nuovamente. L'avevamo fatto già svariate volte, insieme al resto del gruppo, ma la cosa continuava a turbarmi, perciò una sera, in privato, avevo supplicato la mia migliore amica affinché evitasse di suggerire queste idee dinanzi agli altri. Lei si era mostrata cortese con me, promettendomi che non mi avrebbe mai più messa in difficoltà di fronte ai nostri nuovi amici.

Ovviamente non andò così.

Stacy continuò ad insistere, gli altri ad incitarmi, e io acconsentire. E alla fine quella beccata a taccheggiare fui proprio io. Mia madre venne convocata dalla commessa e dalla proprietaria del negozio, le quali, vista la mia giovane età e le mie inevitabili e stupide lacrime, decisero di non sporgere denuncia. Ciò che mi fece davvero male, in quell'occasione, non fu neppure il fatto che i miei "amici" se la fossero data completamente a gambe, ma la reazione di mia madre. Era distrutta, e la cosa peggiore era che lei non fosse arrabbiata con me, ma con sé stessa. Sul suo viso era leggibile una delusione che non vedevo da quando mio padre aveva chiesto il divorzio. Per una donna come mia madre, che si è laureata con brillanti risultati e intraprende con successo la professione di avvocato, ogni causa persa è una sconfitta per la sua persona, così come ogni fallimento nella sua sfera privata. Il suo sguardo spento, i gesti meccanici, e i sorrisi di plastica che mi rivolgeva di volta in volta, mi portarono quindi ad abbandonare quei vizi che avevo conosciuto nel bel mezzo dell'anno.

Perciò addio fumo, addio alcool, addio assenze occasionali a scuola, addio gruppo di "amici".

Sono così ritornata, intorno a maggio, la Hayley che ero il settembre precedente, senza tutto quel trucco nero, le ciocche rosa e i vestiti scollati e appariscenti. L'unica cosa a cui non sono riuscita a dire addio, però, è stata Stacy. La terribile lite con la mia migliore amica da 10 anni mi ha completamente destabilizzata; tutte le cattiverie che mi ha detto, i messaggi di odio e le confessioni dei segreti che lei e gli altri ragazzi mi hanno tenuto nascosti
per mesi, hanno fatto maturare in me il desiderio di andarmene. Sarebbe troppo trascorrere tre mesi in questo luogo, in questa stanza che reca il ricordo di così tante avventure trascorse insieme, distesa sul mio letto mentre lí fuori Stacy è a vivere la storia d'amore del decennio con il primo ragazzo che mi sia davvero piaciuto. Già, perché Stacy ha fatto anche questo. Mentre si divertiva a incalzarmi ed incitarmi verso le braccia di Ben e mi convinceva che lui provasse qualcosa per me, lei nutriva dei sentimenti, a quanto pare ricambiati, per la mia prima vera e propria cotta. E subito dopo la mia uscita di scena, non ha atteso molto a mettere gli artigli su di lui.

A volte mi capita di rileggere le conversazioni con Ben, e un senso di vuoto mi assale al pensiero che tutti i consigli di Stacy facessero solo parte di un subdolo e malato stratagemma per ridere alle mie spalle.

Mi dirigo spedita verso il comodino e afferro le forbici dal cassetto. Ritorno verso la maglietta, e nel giro di pochi secondi la riduco in brandelli. Nelle ultime settimane ho fatto lo stesso anche con le migliaia di foto che tappezzavano le pareti di questa stanza, e adesso non c'è più nessun ricordo a circondarmi; solo un pallido alone bianco. Forse sono una codarda, ma ho un disperato bisogno di scappare da questo clima di solitudine e nostalgia, e Toronto sembra essere l'unica soluzione ai miei problemi.

Lancio un'ultima occhiata alla maglietta stracciata e, dopo aver riempito completamente la mia valigia, scendo le scale, attraverso cucina e salotto e mi reco fuori, nel nostro piccolo giardinetto. Mi accomodo su una sedia e prendo un lungo respiro. Ha smesso di piovere da poco, e l'aria ha ancora quel profumo pungente, un misto di pulito, terriccio e odori dolciastri. Personalmente lo adoro, specialmente d'estate. Mi trasmette una certa positività, quasi come se segnasse l'inizio di una nuova giornata dopo ore di acquazzone, un po' come a dire che, per quanto forte possa essere il temporale, dopo il sole ritorna sempre.

Accantono ogni mio pensiero e, dato che il mio ultimo giorno a Londra sta per concludersi, decido di percorrere per l'ultima volta questa strada. Così mi alzo, scarabocchio velocemente su un foglietto in cucina l'avvertimento a mia madre, affinché sappia saprà di non doversi preoccupare. È così che comunichiamo, noi due. A suon di post-it e sorrisi di cortesia.

Le strade londinesi sono sempre strapiene, auto e bus ovunque, persone di fretta, a piedi o in bicicletta, ritornano dal proprio lavoro o forse vi si recano. Mi ha sempre intristito questa parte della città; non il movimento, quello non mi è mai dispiaciuto, ma più che altro il fatto che la gente lo esasperi al massimo, tanto da non poter neppure rivolgere un cenno del capo per salutare il proprio vicino. Cerco di non farci caso, almeno oggi. Per i prossimi tre mesi, se le cose dovessero ancora peggiorare, voglio consolarmi ripensando alla mia seppur piena ma vuota città. Proseguo dritto e prendo qualche svolta. Osservo di sfuggita il mio riflesso all'interno delle pozzanghere che occupano la maggior parte dei marciapiedi, e mi scappa un sorrisetto mesto quando noto che delle ciocche rosa non è rimasto che un riflesso sbiadito. I miei capelli sono ritornati castani, con quell'andamento mosso ma non troppo. Avevo pensato di tagliarli, ma sarebbe stato un cambiamento drastico, troppo. Forse sono infantile, ma voglio ancora tenermi legata al mio passato, nonostante tutto. Inoltre, li ho sempre avuti lunghi e non se stonerebbero con il mio viso tondo. Magari mi farebbe sembrare più grande, dato che tutti mi scambiano per un 13enne, sebbene sia più vicina ai 17. Sarà per i miei tratti minuti, il naso piccolo, gli occhi grandi verdi e il mio metro e sessanta d'altezza. A volte vorrei sembrare matura e provocante come Stacy, ma non credo che le somiglierò mai.

Mi lascio sfuggire un sospiro e m'incammino verso al via del ritorno

Quando torno a casa, mia madre mi fa trovare la cena pronta. Siamo solo in due a tavola a mangiucchiare la nostra insalata, e non c'è molto dialogo, almeno da parte mia. Dal suo canto, mia madre mi rivolge qualche sorrisetto nervoso e parecchie raccomandazioni che fingo di ascoltare annuendo. Dopodiché annuncia di dover lavorare e, prima ancora di dedicarsi alle sue scartoffie, mi scocca un bacio sulla fronte. Io salgo le scale e, dopo essermi sdraiata sul letto, mi addormento all'istante.

Per oggi basta preoccupazioni, domani le mie otto ore di aereo mi concederanno abbastanza tempo per pensare.

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora