Capitolo 24.

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Van Gogh sosteneva che, talvolta, la notte si potesse definire più viva e colorata del giorno. E be', come contraddirlo?

Del resto, le idee più geniali, quelle che alla luce del sole non ci sfiorano lontanamente la mente, sembrano sopraggiungere solo con lo scurirsi del cielo.

E da questo punto di vista, devo ammettere che la notte mi è sempre piaciuta; è produttiva, anche se, talora, la produzione finisce col trasformarsi in un vero e proprio tormento. Quante ore insonni, trascorse a pensare a parole, questioni che spesso si credono del tutto dimenticate, i cui effetti tuttavia si leggono solo sugli occhi stanchi con cui diamo il buongiorno, il mattino seguente?

Troppe, fin troppe.

La maggior parte, in realtà.

Non sono un tipo che riesce a prendere sonno facilmente, perciò, per me, la notte non è di sicuro un gran momento per riposarsi.

Stavolta, però, è stato diverso.

È stato diverso, tra le sue braccia. Mi sono ritrovata, sonnecchiante, col viso sul suo petto senza rendermene neppure conto. E addio a tutte le preoccupazioni, i rompicapo, Alison, Nash e il resto.
È stato semplicemente rilassante, addormentarsi senza alcun pensiero, con il suo sapore ancora sulle labbra, sentendomi al sicuro, protetta da quel tepore.

Così come avevo previsto, però, il giorno ha portato via tutto, a partire dal calore in cui ero avvolta poco prima che un mugolio mi risvegliasse dal sonno in cui sono piombata.

«Dannata sveglia...» mugugna la voce lagnante di Shawn a pochi centimetri dal mio orecchio.

Di tutta risposta, lo azzittisco tra la veglia e il sonno, desiderosa di dormire ancora, con un grugnito stizzito.

Sento il braccio con cui fino a poco fa mi circondava allontanarsi dal mio corpo. «Hayley?» domanda tra la l'assopimento e la confusione . «Che ci fai qui?»

«Mmh...sta' un po' zitto.» ripeto nuovamente.

Sono stanchissima; è come se tutta la fatica dei giorni trascorsi a lavorare si fosse ripercossa solo ora su di me, e l'ultima cosa di cui ho bisogno al momento è qualcuno che mi privi di questi attimi di riposo.

Affondo di più il viso nella sua maglietta sperando di allontanare qualsiasi altro suono, di rifugiarmi in quel suo odore di vento, misto ad alcool stavolta. Tuttavia, ben presto percepisco mancare anche il mio punto d'appoggio, quando con un gemito Shawn si alza dal letto. Lo sento borbottare qualcosa su un tremendo mal di testa e chiudersi la porta alle spalle. Nel mentre la sua voce si fa sempre più lontana, le mie palpebre sempre più pesanti, e il sonno sopraggiunge nuovamente.
Il torpore mi accoglie tra le braccia di un nuovo sogno, e io di certo non rifiuto il suo caldo invito.

«Mi spieghi che diavolo hai fatto ieri sera?» un richiamo fin troppo squillante per una mattinata come questa giunge alle mie orecchie.

Un suono forte segnala l'ingresso di qualcuno nella stanza, accompagnato da un «Non aprire la porta!» ovviamente non pronunciato in tempo.

«Oh mio Dio.» sillaba la voce intrisa di stupore. «Shawn, che cazzo hai fatto?!»

«Clarissa.» lui scandisce bene le parole, stizzito. «Potresti evitare di urlare? Grazie.»

Clary fa per rispondere, ma un cuscino le arriva addosso prima che possa aprire bocca.

«Esatto, Clarissa.» replico con lo stesso tono, dopo averle scagliato l'oggetto contro con fastidio.

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora