Capitolo 38.

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Prendo un respiro e guardo in basso.
I miei piedi si accostano lentamente uno avanti all'altro, muovendo, tremanti, passi timorosi attraverso il ciottolato.

Uno.

Allargo le braccia per sostenere l'equilibrio fin troppo precario e mi decido a chiudere gli occhi.
Osservare il tutto finirebbe solo col mettermi maggiormente in difficoltà, per cui andrà meglio se mi abbandonerò ad altri sensi che non siano la vista.

Due.

Va tutto bene, infatti. Per la prima volta il mio istinto pare suggerirmi la giusta soluzione e mi ritrovo a proseguire con meno difficoltà. Mi scappa un sorriso. Va tutto bene.

O almeno, andava, finché il mio ginocchio non si decidesse a giocarmi un brutto scherzo, cedendo proprio ora, d'improvviso, sotto il mio peso.
Succede in un attimo e, in maniera automatica e istintiva, apro gli occhi e getto uno sguardo al di sotto del cornicione che sto percorrendo col cuore persino più carico di paura rispetto a prima.

Tre.

Alla vista dell'effettivo pericolo che sto sfidando, il terrore s'impossessa prepotentemente di me. Tiro il piede indietro e cado ginocchioni sulla piattaforma, trattenendomici con mani tremanti. Provo a spingermi su ma non ci riesco. Continuo a barcollare e, sebbene ritenti, non mi ritrovo affatto a riacquistare una posizione stabile. Sembra che d'improvviso tutto si muova. Questo palazzo è in alto, troppo, e io praticamente in bilico su un filo. Sento il fiato corto e il panico contagiare ogni mia cellula, paralizzarmi e rendermi incapace di agire.
Perché diavolo sono qui?
Perché diavolo non riesco a scendere?
Non trovo modo di rispondermi, sommersa da dubbi e travolta dai brividi.

Il quattro non c'è.

Non riesco a muoverlo, un quarto passo. Non riesco a darmi il coraggio necessario ad avanzare ulteriormente, a farcela. Mi dico semplicemente di lasciarmi andare perché, dopo tentativi e tentativi singhiozzanti di tenermi su, purtroppo è finita. È tutto inutile. Non c'è più niente da fare. È così che deve terminare; con me che per una volta accetto la sconfitta, me che decido semplicemente di rinunciarci e abbandonarmi alle braccia inconsistenti del vuoto. Ma, nonostante ciò, prima che il nulla mi inghiotta nel suo tetro turbine e un'ultima lacrima mi righi il volto, le mie mani cercano di afferrare ancora, nell'aria rarefatta, l'ultima, invisibile, inesistente e disperata speranza.

E poi finisce.

Stavolta per sempre, stavolta per davvero.
*

Mi sveglio boccheggiante e madida di sudore. Con un unico gesto mi tiro su, contro la parete fredda, e allontano velocemente dal mio corpo le lenzuola che al mio arrivo avevo riposto sul materassino che mi fa da letto.
Fa troppo caldo, ora, per permettere che queste mi avvolgano le gambe.
Subito getto un sguardo alla mia destra, laddove dovrebbe giacere l'ultima persona a cui ho dato la buonanotte prima di finire addormentata tra le sue stesse braccia.
Mi tasto automaticamente le labbra su cui ha impresso un leggero bacio, la scorsa notte, e su cui il suo nome si forma in maniera quasi automatica.

«Shawn?» mi ritrovo infatti col sussurrare, abbracciando con un'occhiata tutta la stanza, nella speranza magari di trovarlo.
Ho gli occhi ancora cisposi di sonno, e serve che mi ci strofini contro le mani almeno un paio di volte prima di mettere a fuoco ciò che mi circonda.

Tuttavia, non è lui che individuo in uno dei minuscoli angoli della camera, a fianco al materassino, dove Camila è così presa dall'armeggiare con il suo cellulare da non rendersi conto del fatto che ora, a farle compagnia, ci sia anche io.

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora