Capitolo 12.

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«Mmh... Siamo arrivati!» annuncia Shawn oltrepassando un cartello ammaccato.
Io cerco di riprendermi dallo stato di torpore nel quale sono piombata poca fa, avendo fatto del mio gomito contro il finestrino un perfetto punto d'appoggio per la testa.
«Pickering?» cerco di mettere insieme le lettere, confusa, mentre strabuzzo gli occhi stanchi.
Il mio vicino annuisce impercettibilmente. Il suo sguardo vaga da una parte all'altra della strada che stiamo attraversando.
«Doveva essere qui...» mormora quasi tra sé. «Dimmi che non ti hanno ancora sfrattato, per favore...oh, eccoti!» esclama poi con un sorriso che gli va da uno zigomo all'altro.
Non capisco a cosa esso sia dovuto, fino a quando non seguo la direzione del suo sguardo.
Sta fissando un mini market, la cui insegna a neon, un tempo sicuramente illuminata, recita "Alldaymarket; aperto 24h su 24."
Solo qualche lettera risplende ancora di luce propria, al contrario delle restanti, che emanano un fiacco bagliore o brillano per mezzo del riflesso della vicina.
«Shawn, che diamine...?» faccio per chiedere, ma la mia domanda viene interrotta dallo stridore dei freni.
Il mio amico parcheggia rumorosamente di fronte ad un paio di cespugli non tagliati da anni.
«Hayley, aspettami qui...ci metto solo cinque minuti!» m'informa frettolosamente sganciandosi la cintura.
Agguanta le chiavi ed apre lo sportello con un unico, veloce gesto.
«Ehi, vengo anch'io, non ho nulla da fare qui!» protesto quasi urlando, ma è troppo tardi.
La portiera si è già chiusa con un sordo rumore alle sue spalle e Shawn è già scomparso nell'oscurità, avviandosi a grandi passi verso l'ingresso del negozietto.
Sbuffo e levo gli occhi al cielo.
Non ho idea di quanto possa metterci, ma conoscendolo, so che saranno sicuramente più di cinque minuti, quelli che dovrò passare a contare i piccoli graffi sul finestrino.

È quando l'orologio segna le 4.35 che decido anche io di alzarmi e liberarmi dal fastidiosissimo controllo della cintura.
Mi sembra che Shawn sia lì dentro da una vita, e ho proprio voglia di scoprire cosa stia combinando, in così tanto tempo, dentro un mini market grande quasi quanto la mia stanza.
Ancora una volta, la mia curiosità ha la meglio su gli ordini che mi sono stati fatti.
Così mi decido a raggiungerlo, e appena esco dal mezzo di trasporto, il freddo punge ogni mio pezzo di pelle nuda. Tento di coprirmi abbracciandomi le spalle, e d'ignorare il fastidio che i piccoli ciottoli, di cui il suolo è interamente coperto, causano alle dita scoperte dei miei  piedi, e intanto mi guardo intorno in maniera confusa.
Il parcheggio è completamente vuoto; del resto, chi verrebbe mai in un mini market alle 4.35 a.m, nel bel mezzo di uno sconosciuto sobborgo canadese? 
Solo una cosa, in questo deserto più totale, attira la mia attenzione. È un suono continuo e martellante, a tratti piacevole, a tratti spaventoso.
Riesco a riconoscerlo quasi subito; è il cigolare di un'altalena, un rumore al quale sono così abituata che non posso fare a meno di cercare di avvicinarmici. È un po' come un richiamo per me; la voce stridula della mia infanzia passata nel cortile della mia villetta a Londra, quando mio padre mi spingeva con forza, e io dall'alto del seggiolino lo invitavo a farmi arrivare più in alto, in alto fino a poter toccare il cielo con un dito.
Proviene da oltre l'ammasso dei cespugli, ed è uno scricchiolio così pressante ed incalzante, che non riesco a resistere alla tentazione di attraversare quel groviglio di erbacce.
In men che non si dica, mi ritrovo in un parco abbandonato, circondata solo da due altalene malandate, uno scivolo fracassato e qualche sbarra arrugginita sulla quale i bambini dovevano essere soliti arrampicarsi. Il tutto normalmente sembrerebbe piuttosto inquietante, ma a me l'ignoto e l'avventura piacciono più di quanto un po' di vento e un posto dimenticato dal mondo possano spaventarmi.
Mi reco in esplorazione, sotto lo scricchiolio delle foglie che ricoprono il terreno, accompagnata solo dalla torcia del mio telefono. Mi guardo intorno, estasiata, in cerca di un mistero che possa sconvolgermi la vita, un tesoro che possa migliorarmela; una di quelle cose inaspettate che finiscono per scuoterti l'esistenza, un po' come succede nei libri o nei film.
Di tutta risposta, a interrompere la monotonia del momento è la voce di Shawn.
«Hayley? Che fine hai fatto?» mi chiama dall'altra parte di quella che dovrebbe essere una siepe.
«Sono qui, in...in un parco abbandonato?» rispondo incerta.
Lo sento giungere nella mia direzione con qualche lamento e «ma che cazzo...» di troppo, mentre la sua t-shirt gigantesca s'impiglia in uno dei rametti.
Ecco, questo è uno dei vantaggi dell'essere alta 1.60!
Ridacchio sommessamente, preparandomi alla scenata che farò appena l'avrò davanti; devo ancora fargliela pagare per il suo ritardo.
Un calpestio pesante e il fiato corto alle mie spalle mi annunciano il suo arrivo, che quindi accolgo come da copione.
«Cinque minuti, eh?» sbotto puntandogli la luce accecante direttamente negli occhi.
Lui fa una smorfia e tenta di pararsi la vista con una mano, mentre con l'altra tiene stretto qualcosa dietro la schiena.
«Scusami...è che non sapevo se preferissi il cioccolato o la panna, così ho scelto quella che sarebbe piaciuta a me.» dice mestamente. La sua voce è incredibilmente dolce e delicata, mentre tira fuori una torta piccolissima all'interno di un contenitore di plastica. Sembra quasi che stia accarezzando le parole, quando mi sussurra «Anche se con otto giorni di ritardo...buon compleanno Hayley.»
Lo guardo sconvolta, con la bocca aperta e il flash ancora indirizzato nei suoi occhi.
«Però, sai, non vorrei finire accecato per la fine della serata...» puntualizza lui abbassando il telefono al posto mio.
Io ridacchio, ma sono ancora troppo sorpresa per riuscire a dire qualcosa di sensato.
«Shawn, non dovevi...io, io davvero non so come ringraziarti, è...» lui mi ammutolisce incastrando la sua mano nella mia e facendomi avvampare.
«Certo che dovevo; tutti meritano di festeggiare il proprio compleanno, e magari potresti ringraziarmi iniziando a mangiarla ora, dato che ho una fame incredibile...»
«Hai ragione.» convengo con un sorriso sulle labbra.
Ci sediamo sulle due altalene e ci dondoliamo leggermente sul posto. Siamo immersi completamente nell'oscurità e nell'inquietudine di questo luogo, illuminati solo dalle nostre torce e gli animi in fiamme.
Apro la vaschetta e mi rivolgo a Shawn.
«Cioccolato?» chiedo con sguardo complice.
«Cioccolato.» mi conferma allo stesso modo.
Entrambi scoppiamo a ridere per la serietà con cui abbiamo trattato la questione, poi lui mi passa delle candeline estratte dalla tasca del suo giubbotto.
Le conto e lo fisso accigliata.
«Shawn, non ho 13 anni.» gli faccio notare alzando un sopracciglio.
«Sì, lo so, ma avevo solo diciannove dollari e ottanta, quindi...» risponde stringendosi nelle spalle.
Trascorriamo il resto del tempo a prenderci in giro a vicenda e a commentare quanto sia disgustosa questa torta.
«Diamine se fa schifo!» ha esclamato Shawn al primo morso.
«Cavolo, l'avranno fabbricata in una discarica.» ho sentenziato invece io, causando le risate del mio vicino.
Ci divertiamo così per un bel po', e per la prima volta nella mia vita, mi sento davvero bene con un ragazzo. Non sono a disagio; dico esattamente ciò che penso senza lasciarmi condizionare da ciò che invece lui potrebbe pensare.
È una sensazione così nuova che quasi mi fa paura, mi spaventa; potrebbe travolgermi e impossessarsi di ogni singola cellula del mio corpo in men che non si dica, e in parte non voglio che questo ragazzo entri così velocemente nella mia vita, perché temo che potrebbe andarsene allo stesso modo.
«Perché proprio Pickering?» la domanda esce fuori dalla mia bocca prima che possa fermarla, mentre i miei piedi sfregano il terreno per controllare la spinta.
«Cosa?» chiede lui confuso.
«Perché hai scelto proprio Pickering?» scandisco bene le parole. «Insomma, una città come Toronto dev'essere piena di mini market aperti tutto il giorno; quindi perché farsi tutto quel tempo di macchina per giungere in un sobborgo deserto?»
Shawn sorride amaramente.
«Non ti sfugge niente, eh?»
Lo fisso seria; stavolta voglio una vera risposta. Abbiamo trascorso ore intere a parlare di me, e adesso mi piacerebbe conoscere anche qualcosa sulla persona con cui mi sono sfogata fino ad adesso.
«E va bene...» sospira lui. «Vivevo qui, fino a un paio di anni fa. È stato il primo posto che mi è venuto in mente da quando...Be', da quando ti ho vista.»
«Perché?» sono abbastanza sbigottita.
«Non lo so...mi ricordi casa.» risponde lui con mestizia.
Lascio che il silenzio cali tra di noi, soprattutto perché non so cosa rispondergli.
Lui a me non ricorda casa, perché di quella non ho una visione felice e spensierata.
No.
Io casa mia la odio, e Shawn é quel qualcosa che va oltre le mura della mia città londinese. È un po' come  i libri che cerchi avidamente in biblioteca, la musica che ascolti a mezzanotte, quando vuoi solamente scappare dalle pareti ovattate della tua stanza che t'impediscono persino d'urlare.
E per me Shawn non è casa.
È qualcosa di più.
«Come mai ti sei trasferito?» indago.
«La villetta qui a Pickering comportava troppe spese, così decidemmo di metterla in vendita e prendere un appartamento al centro di Toronto.» mi spiega scalciando un sassolino proprio sotto l'altalena. «Certo, non era la migliore delle soluzioni, ma almeno il palazzo in cui avevamo deciso di vivere era vicino all'ospedale.»
«L'ospedale?»
«Sì, per mia madre.» prende una pausa. «Lei non stava molto bene, e non era comodo, né per noi né per lei, viaggiare per permetterle di fare le chemio.»
«Capisco...» ho quasi paura della domanda che sto per porgli. «E come sta ora?»
Lui sorride un po' e guarda il cielo ammantato di stelle.
Sono così tante, stanotte, che quasi potrei perdermici a guardarle,  e chissà, magari anche a contarle.
Shawn abbassa nuovamente lo sguardo sul sassolino.
«Non c'è più, Hayley.»
Mi mordo l'interno del labbro inferiore. Perché non imparo mai a stare zitta?
«Mi dispiace tanto, Shawn.» gli prendo la mano.
Lui scuote la testa. «Non dispiacerti, Hayley. Del resto tu...»
«Come stai ora?» mi affretto a chiedergli.
«Non potrei stare meglio.» sussurra stringendomi più forte la mano.
«Shawn, davvero.»
Lui ridacchia. «Hayley, veramente, sto bene! Due anni fa, subito dopo la sua morte, stavo molto, molto male. Ma da un anno mi sono ormai ripreso, quindi sta' tranquilla.»
«Ti va di parlarne?» mi viene quasi in mente la conversazione che abbiamo avuto poco fa. Sono passate solo un paio di ore, eppure sembra una vita.
«Non credo a te vada di ascoltarmi,» risponde lui gettando un'occhiata all'orologio. «dato che sono le 5.45.»

Dopo aver raccattato il resto della torta e le candeline lasciate a terra, io e Shawn ci siamo riavviati in macchina. Secondo qualche calcolo approssimativo, dovrei essere a casa esattamente 20 minuti prima del risveglio di mio padre. Shawn ha il piede fermo sull'acceleratore e io un'ansia che non riesco proprio a togliermi di dosso.
Accendo la radio e faccio zapping tra le varie stazioni per scaricare la tensione. Premo insistentemente i tasti, in cerca della canzone giusta, e anche se Shawn mi rimbecca dicendomi che in questo modo finirò per avere un debito di 20 dollari con lui, io continuo senza fermarmi.
«Oh merda.» esclama poi d'un tratto il mio vicino, battendosi una mano contro la fronte.
Alzo lo sguardo dall'apparecchio radiofonico, e quello che trovo davanti non mi piace per niente.
C'è una fila lunga chilometri, e la piccola auto blu acciaio in cui abbiamo riposto finora le nostre speranze  è completamente bloccata nel traffico.
«Come cazzo è possibile...» la mia voce è talmente flebile che neppure io riesco a riconoscerla.
Fisso l'orologio. 6.15 a.m.
Shawn mi stringe nuovamente la mano. Anche se questo gesto può mettermi incredibilmente in imbarazzo, lo adoro allo stesso tempo, e in questo momento è più che necessario. Mi fa rilassare; mi fa quasi credere che andrà tutto bene, alla fine.
«Dove siamo?» domando con tono quasi assente.
«St. Mary road.» risponde Shawn con lo sguardo fisso sulla strada.
«Quanto dista da...?»
«Bloor Street? Circa quattro chilometri.»
Mi slaccio subito la cintura.
Il mio vicino mi guarda sbarrando gli occhi. «Hayley, cosa vuoi fare?» sillaba.
«Tornare a casa prima che mio padre mi uccida.» lo informo con un sorrisetto.
Lui fa per trattenermi per il polso, ma è troppo tardi, perché io sono già fuori dall'auto. Perciò è costretto a comunicare abbassando il finestrino.
«È un suicidio, lo sai?» mi chiede con quell'espressione ancora attonita sul volto.
«Lo so.» confermo. «È sempre meglio di una morte sicura da parte di mio padre, però.»
Lui scuote la testa e sorride. «Sei pazza.» sentenzia.
«So anche questo...in ogni caso; grazie per la magnifica sorpresa, e soprattutto per la pazienza. È comunque...tu devi ancora parlarmi, ricordi?»
Lui annuisce. «E tu ricordi che il negozio della Bestia è aperto anche domani, no?»
«Lo prendo come un invito.»
Faccio per andarmene, ma poi mi accorgo di qualcosa.
È come una sensazione che spinge forte nel petto e allo stesso tempo mi mette in subbuglio lo stomaco. Mi obbliga a fermarmi, a voltarmi ed avvicinarmi di nuovo a lui.
Si sporge dal finestrino e io mi appoggio ad esso.
Quasi non mi rendo conto che, con una mano ad accarezzargli il viso, ci stiamo fissando intensamente negli occhi. È come se il tempo si fosse improvvisamente fermato, e per la prima volta, sorpresa da questa nuovissima emozione, il mio istinto si fa sentire più forte che mai. Così mi ritrovo ad azzerare la distanza che vi è tra le nostre labbra, e a sfiorare le sue in un bacio leggero, quasi sussurrato, ma che mi fa venire comunque la pelle d'oca e farmene desiderare subito un altro.
«A domani.» gli sussurro staccandomi appena da lui, con gli occhi ancora chiusi.
Poi scompaio nel traffico, incespicando ancora nei miei tacchi, con le guance in fiamme e il cuore a mille.
E nel frattempo penso che, tra vent'anni, quando i miei figli mi chiederanno com'è stato il primo bacio, risponderò loro che avevo appena vissuto la serata più strana della mia vita, stavo rischiando una punizione colossale da mio padre ed avevo i nervi a fior di pelle.
Risponderò loro che non c'è stato nulla di romantico nel primo bacio: niente cena al lume di candela o roba di classe, al contrario! Ero immersa in un'ondata di macchine alle sei di mattina, e in particolare, quella in cui mi trovavo conservava ancora l'odore della disgustosa torta che avevamo divorato avidamente solo poche ore prima.
Risponderò loro che non eravamo eleganti; io indossavo un vestito che mi permetteva a malapena di respirare, lui una di quelle sue solite t-shirt troppo grandi per quel fisico snello e atletico.
Risponderò loro che io quel tipo lo conoscevo da neppure tre giorni, e che lui quel bacio non se lo aspettava proprio, e neppure io in realtà sapevo che sarebbe arrivato.
E risponderò loro che, nonostante tutto e sebbene quello non si potesse considerare neppure un vero "bacio", è stato bellissimo, e la loro mamma non avrebbe potuto chiedere di meglio. 

Spazio Autrice:
Solito ritardo e solito orario per pubblicare il capitolo!
Spero che siate in grado di perdonarmi anche questa volta... 😂💕
Vi ringrazio di cuore per le 2000 views, inutile dire quello che già sapete e dilungarmi in discorsi ripetitivi; vi amo!
Mi auguro che questo capitolo, per quanto possa essere lungo e forse stancate, vi piaccia e vi faccia fangirlare (?)
Continuate a seguire Hayley...nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, ehehe.🎈🎈
Love u. 💥

-fraxx

Summer love. ||Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora