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POV May

Okay fantastico siamo fuori: ragioniamo. L'impulso ora è quello di tornare a casa di corsa ma non possiamo perché sarebbe ovvio. Però non sappiamo dove andare dato che non siamo mai state in questa parte della città e tra meno di un minuto tutti gli agenti di questa base dell'SSR ci avranno raggiunte: non dovevamo uscire da quella porta allarmata. Mi maledico per non aver pensato prima ma era la nostra unica possibilità.

È appena partito l'allerme: oh si, prefetto. Sbuffo per la tensione e Marta mi guarda con uno sguardo interrogativo

-e adesso? -

-non possiamo tornare a casa e non conosciamo la città : ci serve un piano e un posto tranquillo. -

Sentiamo urla e passi provenire da dietro la porta: non c'è più tempo per pensare.

Agisco d'impulso: inizio a correre verso destra il più veloce possibile. Non abbiamo tempo. Sento il respiro di Marta dietro le mie spalle :mi segue. Non possiamo permetterci di guardarci indietro siamo troppo occupate a schivare i passanti che spesso urtiamo.

Continuiamo a correre sperando di non trovare un vicolo cieco: strade, viottoli, stradine e marciapiedi ci scivolano addosso come acqua.

Il rumore di scarponi pesanti sull'asfalto giunge fino alle nostre orecchie e qualcuno grida

-eccole, sono là! -

-prendiamole! -

Fantastico ci hanno individuate: abbiamo urtato troppa gente siamo state imprudenti.

Mi giro per assicurarmi che mia sorella mi stia ancora seguendo e incontro i suoi occhi con i miei: sono il ritratto del panico. Urto un signore che mi risponde non troppo garbatamente e cado frontalmente sbucciandomi un ginocchio. Dolore, dolorissimo: lo sento prendermi tutta la gamba fino alla coscia, ho le lacrime agli occhi la stringo comunque i denti. Marta mi raggiunge e mi sorregge

-stai bene? - è preoccupata da matti.

-s si- rispondo poco convinta. La guardo negli occhi per cercare conforto ma trovo solo paura, una donna ci urta e io faccio un salto per lo spavento pensando che ci avessero raggiunte. Mi rimetto del tutto in piedi e una fitta acuta mi attraversa la gamba.

Sento Marta urlare e mi giro spaventata: agli agenti rimangono altri dieci metri da percorrere correndo e ci avranno raggiunte. E il mondo, lo spazio e il tempo iniziano ad andare a rallentatore. La folla che ci spintonia, i rumori della città, gli agenti, il mio ginocchio, quartieri sconosciuti: panico, vado in panico.

Prendo Marta per mano, ormai dentro le mie vene non scorre più sangue ma adrenalina pura, la trascino correndo via.

Lei poi si riprende ed inizia a correre accanto a me.
Corriamo come non abbiamo mai fatto: siamo velocissime. Ferita o meno devo correre via : non c'è spazio per il dolore adesso, anche se ad ogni passo che faccio la pelle intorno al ginocchio si tende e brucia.

In meno di un minuto abbiamo già superato tutti gli agenti ma non smettiamo di correre perché non sarebbe prudente.

Anche Marta si è accorta della nostra super velocità e mi lancia uno sguardo divertito e compiaciuto che ricambio volentieri.

Non so per quanto tempo corriamo ancora ma il sole è prossimo a toccare l'orizzonte e rumori strani e lamentosi simili a brontolii salgono dai nostri stomaci. Adesso che ci penso non abbiamo pranzato oggi.

Motivo per il quale appena passiamo davanti ad una bottega di dolciumi ci fermiamo a guardare con occhi sognanti e famelici la vetrina. Ma nella vetrina vedo anche un'altra cosa: i nostri riflessi.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora