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In macchina c'è molto silenzio e tranquillità ma io mi sto agitando sul sedile da quando siamo partite: le ragazze,  compresa il capo, non hanno smesso di fissarmi neanche per un secondo. Sento i loro sguardi sulla pelle e mi stanno mettendo soggezione e ansia: non mi piace essere fissata.
Sembra quasi che facciano apposta: appena una smette di fissarmi un'altra incomincia.
Guardo fuori dal finestrino per non guardare loro: ci stiamo avvicinando a un centro abitato.

È inutile: sento ancora i loro sguardi.
Dopo due ore di sopportazione passate in questo modo non ne posso più

-basta- chiaro e secco: quasi un ordine. Le ragazze capiscono e si rimettono sedute composte e dritte sui loro sedili.
Lascio andare un sospiro di sollievo, ci voleva tanto?!

Il viaggio prosegue con tranquillità e poco dopo la vettura si ferma: riconosco il posto, adesso molto probabilmente andremo in quella specie di scantinato che puzza di umido. Fantastico.

Scendiamo dalla macchina e come previsto ci dirigiamo in quel postaccio. Con mia sorpresa però noi rimaniamo fuori dalla porta ed entra solo la signorina Switzer. Poco dopo torna porgendo a ciascuna di noi un sacchettino con dentro il pranzo: anche se è notte fonda dobbiamo mantenere il fuso orario russo.

Il viaggio in macchina continua dopo il pranzo e una breve sosta bagno.

Durante il tragitto abbiamo studiato la planimetria dell'edificio in cui sono contenuti i documenti da recuperare e ci siamo divise la missione: io e il capo, che ho scoperto chiamarsi Alexandra, prendiamo i documenti mentre le altre due neutralizzano le guardie.

-pronte? - chiede Alexandra. Tutte in coro rispondiamo di si.
No, aspetta, come "pronte? "? La missione si svolgerà adesso? Senza preavviso? Il cuore inizia a martellarmi nel petto. Okay, ormai è ufficiale: morirò d'infarto prima di aver compiuto dieci anni.

Entriamo in una città e il mio cuore accelera ulteriormente : Brooklyn. Sono a casa.
È indescrivibile quello che sto provando in questo momento: una lacrima di felicità mi riga una guancia e in men che non si dica sto piangendo sommessamente buttando fuori tutte le lacrime che ho trattenuto troppo a lungo.
Sorrido e mi asciugo gli occhi con la mano: sono a casa.
Sono a casa.

Tutta la mia felicità si spegne in un verso di dolore per una fitta al petto: la vettura passa proprio davanti al vecchio condominio dove abitavo con la mia famiglia

- Sono tutti morti- sento ghignare la nostra autista.
E allora capisco: lo ha fatto apposta. È passata apposta da questa strada giusto per vedermi soffrire.
La vendetta arriverà, eccome se arriverà.

Lascio che i ricordi mi soffochino per qualche minuto ancora e poi mi ricompongo: ho una missione, devo portarla a termine. Le conseguenze altrimenti le ho già provate.

La vettura si ferma davanti a un edificio: lo stesso in cui hanno tentato di analizzarli degli scienziati, la base dell'SSR. Non mi dispiace affatto uccidere qualcuno di questo uomini: è una faccenda personale.

-ci sono già stata qui- dico con fermezza.
Tutte mi guardano con fare interrogativo.

- so esattamente dove si trovano i documenti che cerchiamo: l'ufficio archivi si trova proprio di fianco al laboratorio dove hanno provato a torturarmi-
Loro annuiscono.

-ti seguirò - dice Alexandra.
Io per risposta faccio un cenno di assenso con la testa.

Ho il cuore a mille. Sto per vomitare.
- stai bene? - chiede una delle altre due ragazze.
-credo di sì - tento di regolarizzare il respiro come ieri notte: devo tenere il sangue freddo o l'operazio e andrà a monte.

Fotzialo la serratura e entriamo di soppiatto: nell'atrio non c'è nessuno. Le due ragazze si fermano qua mentre io e il capo corriamo verso le scale : mi sembra di avere un dejavù.
Involontariamente le mie labbra si increspano in un sorriso a metà tra il malinconico e il divertito.

Trovata: la stanza archivi.

Sentiamo spari e grida alle nostre spalle: gli agenti notturni si sono accorti dell'intrusione. Accidenti: bisogna fare in fretta.
Inizio a guardare velocemente tutte le scartoffie che ci sono sul tavolo e sulle mensole della parte destra, il capo mi aiuta cercando in quelle della parte sinistra.

I secondi passano e noi non troviamo niente: più i secondi passano più il mio cuore accelers e la finestra che abbiamo per riuscire a fuggire diminuisce.
Leggo su un documento" Red Room Academy and HYDRA"

-trovato! - dico sventolando felice il plico di fogli.
In quel momento la porta si sfonda ed entrano degli uomini con una strana uniforme nera e il volto coperto da una maschera: io urlo per lo spavento. Io e Alex  i ripariamo dietro una scrivania a un secondo prima che quelli inizino a sparare.

Un proiettile colpisce il bordo di questa: mi conficco le unghie nel palmo della mano per non urlare. Il mio respiro si fa irregolare e il mio petto si alza e si abbassa troppo velocemente.

Moriremo. Panico. Non ragiono più lucidamente e tra meno di dieci secondi i soldati verranno qua e ci spareranno. Nei miei occhi si accumulano lacrime di terrore. Giro la testa per vedere a che distanza sono i soldati da noi per calcolare gli ultimi secondi che ci sono rimasti...... ma il mio sguardo si fissa su un' altro oggetto.

Sotto un'altra scrivania meno di un metro da me c'è un'enorme scatola con su scritto " Archivio Captain America" mi compare un sorriso malato sulle labbra.
Alexandra inizia a sua volta a sparare agli agenti con le sue pistole: diversivo perfetto.

Nonostante le urla di rimprovero del capo riesco a far strisciare velocemente la scatola di mio padre davanti a me sto per aprirla quando mi arriva un doloroso calcio alle costole

- devi partecipare alla missione e aiutarmi mocciosetta! - urla disperata il capo - lo sapevo, lo sapevo che non valevi niente e io che per un attimo ci ho anche creduto che tu fossi speciale! Invece adesso sei solamente un peso! -

Io non ascolto neanche mezza parola di quello che sta dicendo e mi riavvicino alla grande scatola aprendola e sentendo un verso di ripmprovero e frustrazione alle mie spalle.

Nella scatola trovo un foglio: attrezzature di riserva di Steven Grant Rogers. Perfetto! Rovisto nella scatola piena di polvere: uniforme, armi, casco.....
Ma alla fine, sotto tutto, lo trovo: ancora lucido e intatto con una stella bianca al centro.

Prendo in mano lo scudo e inserisco il mio braccio negli appositi anelli in cuoio: è troppo grande per me è anche un po' pesante, un po' tanto, ma con la spinta giusta potrei riuscire a lanciarlo.

Alexandra mi guarda infuriata senza capire. Ma io ho un piano.

Folle, pazza, magnifica idea.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora