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Le giornate trascorrono veloci, frenetiche, sempre uguali. Tutti i giorni collasso sul letto a volte saltando il mio unico pasto della giornata, la cena, a causa della stanchezza.
Ad ogni nuovo giorno corrisponde un nuovo livido, una nuova ferita, nuovo dolore.
Non faccio altro che combattere ogni ora con persone che sono alte tre volte me, letteralmente.
Continuano a darmi intrugli su intrugli e ho perso il conto del numero delle lingue che ho imparato.
Da alcuni giorni ho incominciato ad allenarmi a sparare.
Volevano che sparassi ad una guardia. Non volevo, quella guardia non mi aveva fatto niente. Quella notte non chiusi occhio a causa del bruciore delle ferite inferte dalle frustate che mi diedero. Fu così per tre giorni finché non cedetti, la sera in cui la guardia alla quale avrei dovuto sparare mi riportò sanguinante e priva di sensi tra le braccia di Bucky.
Il giorno seguente senza che nessuno mi ordinasse di fare niente strappai di mano la pistola al mio allenatore per conficcare tre proiettili nella fronte della guardia e, mentre ancora tremavo, il mio supervisore mi appoggiò una mano sulla spalla soddisfatto facendomi sussultare.
In queste due settimane ho affinato la mia tecnica diventando quasi al cento per cento una macchina da guerra senza emozioni: ho imparato a sfruttare il fatto di essere piccola, incanalare la mia forza e ad uccidere senza pensare, senza provare niente.
Non capisco neanche come siano riusciti a farmelo fare. Di nuovo.
E quelle rare volte che torno in me questa cosa mi fa stare male da morire.

Ho scoperto anche che non è neanche così difficile sopravvivere: basta che faccio tutto quello che chiedono senza esitazione o domande e loro continuano a darmi da mangiare e qualche volta evitano anche di picchiarmi.
Le punizioni sono dieci volte peggio dell'accademia : non ci pensano due volte a frustarmi o a prendermi a calci finché non sputo sangue. Sono piu duri e se sbaglio qualcosa devo pregare che non utilizzino la scarica elettrica. Una volta ci hanno provato e credo mi abbiano sentito urlare in tutta la base.

In alcuni momenti non capisco neanche come mi chiamo. Non mi ero mai sentita così... annientata. Hanno anche cambiato il mio nome sui rapporti che scrivono su di me: continuano a chiamarmi Zima, Inverno.
Inverno, sempre questo nome e qualche volta è capitato che Bucky dovesse ripetermi più volte che mi chiamo May Rogers prima che mi addormentassi.

Adesso sono nella mia cella con Bucky. Sono circa le quattro del mattino e siamo in attesa che la nostra routine inizi.
Siamo svegli entrambi ma nessuno parla. Inermi con gli occhi vuoti che guardano in un punto indeterminato del soffitto.
È due giorni che non ci scambiamo neanche un cenno con il capo e anche in lui noto un certo distacco.

-parlami-

Parlare è l'unica cosa civile che non possono togliermi. Ma che quasi sempre mi vietano.

-Bucky parlami-
-di cosa- dice atono
- di mio padre, di te e mio padre-
-che vuoi sapere-

Tutto. Dal tuo ricordo più felice a quello più triste: tutto.

-quello che vuoi- rispondo quasi sulla difensiva.

Sento James fare un respiro profondo voltandomi le spalle
-no- secco e deciso. Non cambierà idea.
Ancora sola con i miei pensieri. E i ricordi di questi giorni iniziano a divorarmi.
Tutte le punizioni, le frustate, i calci e i pugni, gli esperimenti con la corrente elettrica, i tagli, gli insulti.. il ricordo della realtà inizia ad affievolirsi facendo tremare i confini tra incubo e il mondo reale. Che cosa è vero? Che cosa non lo è?
Un giorno forse mi dimenticherò anche della mia famiglia.
A questo pensiero ne segue un leggero turbamento. Perché? Non me lo ricordo, so solo che mi fa stare male e mi fa venire voglia di combattere.
Rabbia e paura. Forse le uniche due emozioni consentite.

La routine inizia. Di nuovo.

Colazione, bagno, allenamento, cena,dormire. Senza pause pregando che oggi non mi facciano più male del solito.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora