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Guardo meglio l'uomo davanti a me e i suoi occhi grigi e glaciali fanno lo stesso.
Ha un'aria minacciosa ma non ha ancora mosso un muscolo, neanche un occhio.
Ha un braccio di metallo che riflette in modo strano a contatto con la fioca luce che penetra nella stanza. È strano sembra quasi.... vibranio.
I suoi occhi sono contornati da ombre scure e sul suo viso c'è un'espressione tutt'altro che amichevole: dura e corrucciata.
I suoi capelli sono lunghi fino alle spalle e mal curati. Beh, sempre meglio dei miei.

La situazione rimane congelata in questo modo per un tempo indefinito: io non mi muovo e lui non mi uccide.
Eppure.....
Non so. C'è qualcosa nel suo viso. Come, come se ci fossimo già visti. Possibile? No, non può essere.
Voglio dire, sono in Siberia!

Dopo svariati minuti lui distoglie lo sguardo e io inizio a classificarlo in "persone pericolose ma momentaneamente non mortali". Noto che nella stanza c'è un solo letto e che il mio coinquilino, se così si può definire, è rannicchiato nell'angolo di fianco al letto della minuscola stanza.

È praticamente una piccola cella leggermente più lunga che larga, senza finestre e con le pareti grige scure. Un materasso buttato in un angolo con sopra una coperta e un cuscino sudicio sono ammassati nell'angolo in fondo a sinistra con un piccolo pezzo di legno, pieno di schegge, a fianco. Insieme dovrebbero essere letto e comodino.

Meglio di niente.

Cerco di calmare il mio battito cardiaco nonostante la tensione di prima non si sia attenuata. Lui non mi sta guardando più: meglio. I suoi occhi mi mettono ansia.
Io mi siedo lentamente per terra indecisa sul da farsi.

Il mio sguardo curioso, anche se ancora un po' impaurito, si posa ancora su....... Mister Braccio di Vibranio che, a quanto pare, ha un'aria più cupa di prima.
Boh, è strano.

Senza alcun preavviso alza il suo sguardo su di me mentre io distolgo immediatamente il mio, contraendo tutti i miei nervi pronta a una sua qualsiasi azione. Come se potessi contrastarlo ridotta così come sono. 
Ma non accade niente e io mi sono fatta venire un infarto per nulla.

Il silenzio è assordante:ognuno è perso nei propri pensieri.
È passata circa un'ora dall'ultima volta che ci siamo guardati negli occhi e io mi sono rannicchiata come lui ai piedi della cuccia.

Quella roba non si può definire "letto".

Sto iniziando a prendere in considerazione l'idea che Mister Braccio di Vibranio non sia veramente cattivo: è passato del tempo e non mi ha ancora nemmeno sfiorato, nonostante io sia sempre pronta a scattare. Se fosse davvero cattivo mi avrebbe già picchiata.
Noto una bottiglietta di acqua si piedi del letto e spinta dalla sete afferro la bottiglietta.
Sento la gola secchissima e non mi ricordo quando è stata l'ultima volta che ho mangiato o bevuto.
Senza pensarci troppo afferro la l'acqua ma non riesco a sollevare la bottiglietta: possibile che mi sia indebolita così tanto?
Almeno manca poco a rivedere Marta.
Inizio a far strisciare la bottiglietta verso di me facendo un rumore lieve ma che, nel silenzio totale della nostra cella,  sembra assordante. Ottenendo come risultato un'espressione assassina da parte del mio coinquilino che, alzandosi scocciato, mi raggiunge in soli due passi.
Il mio cuore minaccia di uscirmi dal petto mentre mi spiaccico contro al muro atterrita, guardandolo negli occhi.
Mi stringo nelle spalle smettendo di respirare in attesa di capire cosa mi farà: io volevo solo un po' di acqua.
Inizia a tremarmi il labbro inferiore e per paura faccio strisciare la bottiglietta di nuovo al suo posto ai piedi del letto per poi guardare gli occhi gelidi e cattivi del soldato davanti a me.

Non riesco a smettere di tremare e appena lui si accuccia di fronte a me strizzo gli occhi girando il volto, interrompendo il contatto visivo, in attesa di uno schiaffo o un pugno o comunque una punizione.

POV BUCKY

I passi del soldato supervisore rimbombano per tutto il corridoio mentre avanza verso le nostre celle seguito da degli altri passettini lievi, strascicati, incerti: sicuramente un'altra povera recluta.
Ovviamente gli altri iniziano ad urlare come animali mentre io rimango dove sono : in un angolo della mia cella sperando che i miei giorni finiscano presto.
Non ho assolutamente alcun interesse a conoscere il povero mal capitato, un altro povero cretino che si farà uccidere.

La mia porta si apre e si chiude velocemente lasciando cadere all'interno qualcuno.
Che scatole. Doveva proprio toccare a me? Continuo a guardare il pavimento con interesse finché non mi decido ad alzare lo sguardo: una bambina?!

Stupore e rabbia si mescolano dentro di me. Ovvio, i poveracci come me non gli  bastavano più!
Perché non divertirsi anche con i bambini!?
Inizio a ripassare mentalmente tutti gli insulti che conosco.
Muovo leggermente un piede facendo scricchiolare leggermente lo stivale.
Tanto basta per far girare la povera malcapitata con tanta velocità che per poco non cade.

Io sto ancora fissando corrucciato la porta della mia cella maledicendo quei bastardi che hanno portato qua una bambina. Non mi sono accorto che questa si è accucciata ai piedi del mio letto guardandolo schifata.

Se non le piace può dormire per terra.
Che seccatura. Adesso dovrò condividere con lei non solo il mio sputo di spazio ma anche il mio letto. Alzo gli occhi al cielo: lei non mi sta guardando nonostante ogni tanto mi lancia degli sguardi di controllo.

Devo averla proprio terrorizzata. Meglio così : deve capire che qua non ce la farà mai. Meglio che si abitui subito all'idea che da qua la gente non se ne va via viva.
La osservo meglio: capelli abbastanza lunghi e sudici, testa appoggiata sulle ginocchia con uno sguardo assente e un corpo scheletrico coperto da un camice da ospedale che per lei è fin troppo grande.

No. Non ce la farà.
Entro la fine della settimana la seppelliranno nel ghiaccio come tutti quelli prima di lei.

Passa circa un ora prima che un rumore proveniente dalla bambina mi distoglie  nuovamente dai miei pensieri: sta trascinando la mia bottiglietta d'acqua che era ai piedi del mio letto verso di lei.

Nota che la sto fissando male e si blocca improvvisamente: le sto mettendo paura ma non mi importa. Mi portano da mangiare, su un vassoio ancora incrostato, una bottiglietta d'acqua e una roba mollicccia indefinibile in un piatto, una volta al giorno se va bene. Poi vengono a ritirare tutto, prendendoti a manganellate se ti comporti male, e se dopo hai sete o fame ti devi arrangiare.
Quella è l'acqua che sono riuscito a mettere da parte clandestinamente per una settimana.

Faccio uno scatto verso di lei per toglierle immediatamente di mano l'acqua ma lei la trascina di nuovo al suo posto per poi guardarmi con due occhioni blu spalancati pieni di terrore e il labbro inferiore tremante.

Era un pomeriggio come tanti altri quando vidi un gruppo di ragazzini prendere a pugni Steve in un vicolo: ovviamente gli fermai subito facendo capire loro di girare alla larga. Steve aveva tra le mani ciò che rimaneva del disegno che aveva fatto per il compleanno di sua madre.
-ehi Stevie! - dissi andando a soccorrerlo, accucciandomi accanto a lui toccandogli un ginocchio.
Steve sussultò guardandomi con i suoi occhi azzurri spalancati e arrossati e con il labbro inferiore tremante.
- ho perso, di nuovo. Sono troppo debole non ce la farò mai! -
-no Stevie. - gli dissi con pazienza-tu hai vinto perché hai resistito. In realtà sei tu il più forte di tutti: è troppo facile prendersela con qualcuno più piccolo. -
-grazie Buck-
-io ci sarò fino alla fine Steve-

Appena il ricordo sbiadisce nella mia mente realizzo che questa bambina mi sta guardando esattamente come mi guardò Steve quel giorno.
Steve.
Neanche a farlo apposta questo scheletrino ha anche gli stessi occhi del mio migliore amico. E mi stanno fissando. È inquietante: per un secondo mi blocco sentendomi come se veramente davanti a me ci fosse il mio gracile migliore amico sempre in cerca di risse e il mio cuore perde un battito ricordando una vita perduta.
Ma c'è una differenza da quella volta e adesso: la bambina ha questo sguardo a causa mia.
Sento una strana sensazione nel petto, opprimente, qualcosa che non sentivo da tanto tempo, troppo forse: senso di colpa.
Non posso essere cattivo. Non davanti alla versione castana di Steve in miniatura.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora