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Quando riapro gli occhi sono sdraiata su un sedile nel retro di un piccolo aereo. Mi ci vuole un po' prima che la mia vista si disappanni ma poi lentamente tutto il mondo intorno a me inizia a prendere una forma.
Vedo la mia valigia per terra sotto di me e lo scienziato "buono" che mi osserva seduto su uno dei sedili opposti ai miei.

C'è solo lui con me: meglio.

-buon giorno- dice con voce calma. - hai dormito per alcune ore. Ti senti bene? -

Il teschio rosso ha ucciso mia sorella davanti ai miei occhi a causa mia, Zola mi ha torturato in un laboratorio, sto morendo lentamente e sono un aereo senza sapere dove sia diretto.

Sono molto lontana dal "Stare bene"

Lo scienziato sembra essersi reso conto solo ora di quello che ha detto e si affretta a correggersi
-volevo dire..... Ti senti meglio? -

No. Ma comunque mi limito a fissarlo senza aprire bocca.
Poi lui fa una cosa che non mi sarei mai aspettata: apre la mia valigia, prende la scatola con i miei documenti e tira fuori il mio peluche. Bucky, il mio lupetto.

Si avvicina a me con cautela e me lo porge.

Alzo la testa stupita incrociando il suo sguardo e lui mi rivolge un sorriso triste.
- È un bel peluche, come si chiama? -

-Bucky- sussurro. Non so se mi ha sentito e infatti...

-Lucky? È un bel nome per un lupo. -

Faccio una smorfia tirata che dovrebbe essere un sorriso.
Posso parlare con lui? Posso considerarlo "buono"?

-sai mi stavo chiedendo.... Mi racconti un po' di te? Voglio dire, sei sopravvissuta a veleni potentissimi.... come hai avuto questa abilità? Il tuo corpo reagisce e sembra ne sia immune: è stato fantastico! -

Lo guardo inorridita: fantastico!?
Io rischio la pelle e attraverso l'inferno e lui lo trova fantastico!?
Gli scocco un'occhiata piena di odio e poi giro il viso dall'altra parte per evitare anche solo di vederlo e mi stringo al petto Bucky affondando le dita nel suo pelo sintetico soffice.

Lo scienziato prova a parlarmi di nuovo ma quando finalmente capisce che rimarrò in silenzio smette.
Ha fatto il "poliziotto buono" solo perché voleva informazioni. Mi disgusta.

Il resto del viaggio si svolge in silenzio mentre io e Bucky rimaniamo inermi.
Dopo circa un'ora sento un freddo pungente attaccarmi braccia e gambe e noto una nuvoletta di vapore che esce dalla mia bocca.
Mi accorgo di star tremando quando inizio abbattere i denti.
Guardo lo scienziato seduto di fronte a me : anche lui è intirizzito dal freddo.

Con una fatica immensa guardo fuori dal finestrino prima di ricadere sul sedile: sotto di noi si trova un'immensa distesa di neve.... come quando ero in Russia.
Cosa aveva detto Arnim?

.... Trasferirla in Siberia...

Sono in Siberia? Russia? In mezzo alla steppa?! Vogliono uccidermi buttandomi nei ghiaccio?

Non capisco: che ci faccio in Siberia?

-qui veivolo HYDRA 26 chiedo il permesso per atterrare-
Le parole del pilota mi distolgono dai miei dubbi: se ha chiesto il permesso per atterrare allora ci sta aspettando qualcuno.
Quando l'aereo è atterrato cerco di scendere con le mie gambe dal sedile ma non me le sento più. In realtà non sento più neanche un centimetro cubo del mio corpo.
Un tizio, probabilmente il pilota, mi avvolge in una coperta e mi prende in braccio mentre con la mano libera trasporta la mia valigia.

Se dentro l'aereo stavo morendo di freddo allora fuori sto congelando. Letteralmente: inizio a non sentirmi più le labbra.....
Il mio battito cardiaco aumenta in modo anomalo: spero che presto saremo al chiuso perché non so quanto riuscirò a resistere.

Già i lati del mio campo visivo si stanno facendo poco nitidi.

Noto con mia sorpresa che nella cavità di un'enorme roccia c'è una porta gialla sorvegliata da due soldati ai lati. Il soldato che mi tiene in braccio viene lasciato passare e la porta si apre dentro un ambiente scuro e non tanto più caldo dell'esterno.

Un soldato ci vene in contro e dopo un breve scambio di battute in quello che mi sembra un dialetto tra il russo e il tedesco, che però non capisco, mi prende dalle braccia del pilota dando un ordine ad un 'altro uomo di prendere la valigia.

Che succede? Perché il pilota se ne va senza di me? Mi abbandonano qui!? In Siberia!?
L'angoscia e il panico prendono il sopravvento e mi dimeno leggermente tra le braccia del soldato il quale mi lascia cadere per terra.

-Alzati! - mi ordina in russo

Vorrei, vorrei davvero alzarmi ma il freddo di prima e un imminente attacco di panico me lo impediscono. Mi guardo attorno spaesata iniziando a sudare anche se ci sono almeno -20 gradi. Il cuore mi rimbomba nel cervello facendo aumentare maggiormente la mia confusione.

Il soldato mi prende per un braccio spazientito facendomi alzare di scatto. A stento trattengo un urlo di dolore: tutta la pelle e i tendini delle gambe si tendono e per poco ho paura che si possano spezzare.

Inizia a camminare a passo spedito trascinandomi con se nonostante io cada praticamente ad ogni passo che faccio fin quando le mia gambe si scongelano e allora inizio a fare dei passettini traballanti sugli stuzzicadenti che ho al posto degli arti inferiori.

Passiamo vari corridoi per poi scendere nel sottosuolo con un ascensore traballante fatto di grate di metallo che si apre su un grosso corridoio grigio disseminato di tubi: qua sotto sembra quasi un magazzino deserto e ogni passo che facciamo rimbomba.

Il corridoio sfocia in una grande sala circolare con delle gabbie di vetro arancione sulle pareti. Mi sembra di scorgere..... aspetta.. aspetta.... ma c'è una persona li dentro!
In mezzo alla sala c'è anche una strana poltrona con degli aggeggi tecnologici attorno: sembra una postazione di tortura.
Al solo pensiero una scarica di terrore puro mi attraversa il corpo. Non voglio neanche pensarci.
Non voglio finire dentro il vetro arancione.

Da questa sala partono vari corridoi e noi ne imbocchiamo uno a sinistra.
Questo corridoio è più lugubre del precedente :tre lampadari tristi ricadono dal soffitto buttando una fioca luce nel corridoio e nelle finestrelle delle porte.
Appena varchiamo la soglia del corridoio urla e strepiti arrivano dalle porte chiuse facendomi sobbalzare all'indietro.

Il soldato innervosito dal mio comportamento apre l'unica cella da cui non proviene alcun rumore e mi ci butta dentro con tanta forza, non che ce ne voglia così tanta, da farmi cadere di schiena per poi rinchiudere subito dopo la porta con un tonfo.

Mi aggrappo alla maniglia e mi alzo lentamente rischiando di cadere almeno quattro volte ma non demordo.
Questo posto non è come i laboratori. È più inquietante.

Noto con mio dispiacere che non arrivo alla finestra della porta: che scricciolo. Magari se mi rimetto in forze riuscirò a saltare.

Uno scricchiolio alle mie spalle mi fa girare di scatto e sono costretta ad appoggiare la mia schiena alla porta per non cadere.

Il mio sterno inizia ad alzarsi e abbassarsi convulsamente: un uomo con un braccio di metallo e due occhi di ghiaccio mi sta fissando facendomi raggelare l'anima.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora