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- ma si può sapere che cavolo stai facendo!? Aiutami! -
Urla Alex quando vede che ho impugnato lo scudo.
In quel momento lei finisce i colpi nel caricatore di entrambe le pistole e gli agenti riprendono a sparare addosso a lei.
Riesco appena in tempo a coprirla con lo scudo che sento il suono di una raffica di proiettili contro il metallo
Alexandra mi guarda con un mix di rabbia, stupore e gratitudine.
Io sorrido

-non dirmi che non hai mai sentito parlare di Captain America! - dico alzando un sopracciglio.
Lei continua a guardarmi con un'espressione da ebete, okay il tempo di scherzare è finito.

-sta giù! - le ordino. Lei fa come dico e poi inizia la vera battaglia.
Salto sulla scrivania riparandomi dai proiettili con lo scudo, sto per attaccare quando improvvisamente i proiettili cessano di volare nella stanza. Tregua? Alzo leggermente la testa stupita per la loro reazione ma poi capisco: non sono agenti dell'SSR. Sulla spalla della loro divisa hanno un teschio con dei tentacoli: il simbolo dell'HYDRA. La mamma qualche volta me ne aveva parlato: erano i principali nemici di papà ed è anche a causa loro se è morto.
Ecco perché sono rimasti tanto stupiti quando hanno visto il simbolo di Captain America.

-Uh, allora la faccenda si fa personale! - ringhio. Tutto torna in un secondo come prima: loro tornano a sparare, questa volta con più rabbia, e io attacco.
Con un salto riesco a raggiungere un uomo gli do un veloce colpo di scudo per stordirlo e metterlo di fronte a me utilizzandolo come scudo in modo tale che venga fatto fuori dai suoi stessi compagni: meno uno.

Quando lui cade a terra tiro fuori dalla gonna la mia pistola e mentre mi riparo con lo scudo colpisco un avversario in un occhio: cade istantaneamente a terra. Il vetro delle loro maschere non è anti proiettile e questo mi faciliterà il lavoro.
Meno due.
Ne rimangono altri due.
Uno riesco a colpirlo con un proiettile ma l'altro a gente butta il fucile saltandomi addosso e disarmandomi.
Per difendermi cerco di colpirlo con lo scudo ma senza successo: mi colpisce alla testa stordendomi qualche secondo: giusto il tempo per prendere i documenti, che nel trambusto erano caduti per terra e scappare.

No, non scapperà con i miei documenti. Li ho trovati prima io! Ormai l'uomo è alla porta, se riesce a portare via i documenti morirò prima di salire in aereo.
Il mio cuore accelera e il tempo rallenta: con uno sforzo intenso riesco a tirarmi in piedi e con un salto e una rotazione del busto che poi diventa una piroetta in aria riesco ad accumulare la spinta necessaria per lanciare lo scudo: preso in pieno alla schiena. Con un urlo disumano il soldato cade a terra : devo avergli rotto la spina dorsale.

L'urlo di quell'uomo mi rimbomba nel cervello e arriva fino alla mia anima: mi vengono i brividi.
Mano a mano che l'adrenalina del momento diminuisce riprendo a pensare guardandomi attorno: sangue e morte, ed è causa mia.
Guardo lo scudo che si è conficcato nel legno di una porta poco distante e mi ricordo chi sono e cosa ho fatto.

Rimango immobile. Inerme, se non fossi in piedi potrei essere scambiata per uno dei cadaveri sul pavimento.
Cadaveri che hai fatto tu.

Mi guardo attorno: possibile?

È come se fossi entrata in un mondo parallelo: May Margaret Sousa non farebbe mai una cosa del genere. Non ucciderebbe delle persone.
Guardo lo sterminio attorno a me: provo rabbia. Rabbia di non provare assolutamente niente.

Mi accascio a terra piangendo: May, io, non avrei mai fatto una cosa del genere. Non posso averla fatta io. IO NON FAREI MAI UNA COSA DEL GENERE! urlo nella mia testa.
Un urlo doloroso che non riesco a esprimere, che non riesco a buttare fuori. Inizio a singhiozzare sommessamente.
Una mano mi tocca una spalla stringendola: faccio uno scatto pensando a come difendermi spegnendo il cervello. In meno di due secondi Alex si trova pr terra con una mia mano alla gola.

Urlo per lo spavento e mi tiro indietro: l'ho rifatto, ho agito d'istinto. E stavo per uccidere il mio capo. Scatto in piedi e la aiuto a rialzarsi - mi dispiace - dico cercando di apparire seria e fredda: non voglio che mi veda piangere. Mi asciugo le lacrime velocemente.

-dove sono i documenti - dice in tono neutro squadrandomi dalla testa ai piedi.

Per risposta io mi giro verso l'ultimo soldato che ho abbattuto, l'ultima persona che ho ucciso. Alex va a prendere i documenti e poi a passo svelto se ne va.
Io mi dirigo verso il cadavere di quel soldato: non so neanche io perché lo faccio, è come se ne avessi bisogno.
Gli guardo la faccia: la maschera gli è caduta per terra rivelando due occhi vitrei e vuoti, come se fossero in cerca di qualcosa.
Quello sguardo così muto e accusatorio mi gela dall'interno e sento qualcosa spezzarsi dentro di me.

Quegli occhi tanto vuoti quanto penetranti : sembrano volermi staccare l'anima dal corpo. E sento che, anche se non possono più vedere, quei dannatissimi occhi hanno ragione.
Mi sento implodere dall'interno, non riesco a smettere di guardare questo cadavere: gli chiudo gli occhi per codardia.

-scusa- sussurro. Più a me stessa che all'uomo.
Questa sarà l'ultima volta che chiederò scusa per aver ucciso: me lo sento.
E oggi non sarà un episodio isolato: ucciderò ancora. Sono stata addestrata per questo.

Lascio il soldato morto alle mie spalle: che mi piaccia o no ormai appartiene al passato e non può tornare i  vita.
Ripercorro tutti gli intricati corridoi per tornare dal mio capo e più cammino, più mi allontano quasi indifferente da quello che ho appena fatto, più prendo coscienza di una terribile verità : la bambina che sono stata fino ad oggi è morta con quel soldato.

May Margaret Sousa non c'è più.

In macchina, in viaggio per tornare all'areoporto siamo in tre: una delle due ragazze è morta.
Siamo partite da poco meno due minuti ma io mi sento inquieta: come se non avessi fatto qualcosa di importante. Ma cosa?

Continuo ad agitarmi sul sedile.

- ferma la macchina- ordino con voce ferma all'improvviso.
La Switzer continua a guidare imperterrita. Prendo la mia pistola, anche se scarica, e la punto alla tempia della guidatrice- ti ho detto: ferma la macchina- sibilo.
La macchina si ferma e sul mio volto appare un sorrisetto soddisfatto.

Scendo velocemente nonostante le proteste delle altre rimaste nella vettura e inizio a correre verso la base dell'SSR.
Rientro nello stabile reprimendo  un conato di vomito sia per la puzza, sia per il troppo sangue.

Mi sposto silenziosa verso la stanza archivio ritrovando così il cadavere che ho salutato pochi minuti prima. Vedo che ha una granata attaccata alla cintura: la afferro e la nascondo facendo attenzione a non togliere la sicura.

Poi individuo lo scudo ancora conficcato nella porta: prendo anche quello per poi ritornare alla macchina.
Appena le altre mi vedono trovo disapprovazione nei loro sguardi.

- volevi portarti un souvenir? - mi schernisce Alex.

- taci che ti ho salvato anche la vita- rispondo fredda salendo sulla vettura.

Silenzio tombale e la macchina non accenna neanche ad accendersi: ho detto qualcosa di sbagliato?
Alzo gli occhi e vedo Alexandra che mi porge il foglietto della missione.

-adesso sei tu il capo: è la regola. Chi salva la vita al capo lo diventa. - dice rabbiosa e malinconica.

Prendo il foglietto in silenzio.

- dovrai guidarci tu adesso capo- ringhia contrariata.

-non chiamarmi "capo": io non sono un capo. - rispondo.

Tutte mi guardano con sguardo interrogativo.

- io sono un Capitano-

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora