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Il silenzio è assordante.

Sono nel retro di un furgone insieme a mia sorella e altre bambine più o meno della nostra età. Siamo tutte in silenzio: si sente solo il lento rombare del motore. Nient'altro.

Questo silenzio mi inquieta: solitamente io sono una bambina che ama il silenzio perché penso tanto ma adesso darei qualsiasi cosa affinché qualcuno parli.

Marta si è addormentata come  alcune bambine, altre fissano il vuoto o tengono gli occhi bassi.
Tranne una.

La osservo da qualche minuto e mi sembra simpatica : è anche l'unica bambina che si sta, in un certo senso, "divertendo" a formare nuvolette con il fiato e poi vederle scomparire.

Ha i capelli castani e gli occhi grigi. Indossa una gonna e una camicetta leggera proprio come me. La differenza è che lei sta tremando di freddo molto più di me e poi ha appena appena il viso scavato: chissà da quando non mangia.

Al solo pensiero del cibo sale dalla mia pancia un gorgoglio: anche io sto morendo di fame.
Decido di provare a parlarle.

- Ciao, io mi chiamo May -dico sporgendomi verso di lei tendendo una mano.

Tutte mi guardano come se avessi tre teste, ancora. Cosa c'è di sbagliato nel fare conoscenza?
La bambina alza i suoi occhi grigi e vacui nella mia direzione

- inglese... no.... plarlare- dice con evidente difficoltà.
Che bello, una, UNA, bambina mi sta simpatica e deve essere per forza straniera!? Ma dai!

Prendo coraggio e ci riprovo:magari riusciamo ad intenderci anche senza sapere ognuna la lingua dell'altra.

- ah, ehm, okay- la bambina torna a fissarmi e io ricomincio a parlare
- che l i n g u a p a r li? - dico scandendo attentamente ogni lettera e indicando la mia bocca.
Lei mi guarda confusa. Io riprovo
- russo? Spagnolo? Tedesco? Italiano? Serbo? - mentre io elenco qualche lingua a lei si illuminano gli occhi

-okay okay- dice- espagnol-

Ah wow, è spagnola... okay. Non conosco neanche una parola in spagnolo. Mi faccio coraggio e abbozzo un mezzo sorriso

- io May - dico indicando me stessa

- yo Blanca- afferma anche lei con un pezzo sorriso. Si chiama Blanca e l'accento spagnolo è veramente strano.

Sembra che non parlo con qualcuno da una vita. Blanca si sporge nella mia direzione

-tu ingles? -

-si- dico felice, riusciamo a capirci! - io sette- dico alzando sette dita

- yo ocho- dice alzandone otto. Ci sorridiamo.
Il momento viene interrotto dai nostri stomaci che all'unisono borbottano: ridiamo.

Sto ridendo. R i d e n d o. Mi era mancato. Al suono della nostra risata anche le bambine che stavano dormendo si svegliano e ci guardano come se fossimo alieni. Si sveglia anche Marta e la presento a Blanca.

-Blanca lei Marta - dico indicando mia sorella.

Lei sorride meravigliata: credo sia per il fatto che siamo gemelle.

Percepiamo la frenata del camion e il motore che si spegne : ci guardiamo tutte e tre negli occhi tornando in silenzio e ai nostri posti. Sentiamo la porta del guidatore sbattere e dei passi avvicinarsi al retro del camion.

Un uomo sulla sessantina con il viso appuntito e i capelli lunghi appena sotto le orecchie fa capolino dalla copertura verde e ci fa segno con la testa di scendere: eseguiamo.

Non siamo in una città, non c'è nessun altro oltre a noi. C'è una grande casa a quattro piani di fronte a noi e il suo gradino sul retro è grande quasi quanto un campo da calcio. Tutto il posto è circondato da un cancello di ferro nero e oltre il cancello c'è una foresta.

A prima vista sembra piacevole.
Un orfanotrofio russo?

L'uomo ci fa mettere in fila, prende un foglio e inizia a leggere i nostri nomi dandoci poi le scatole. Tutte ne abbiamo una e io apro la mia per vedere se mi ha dato quella giusta.

Si, è la mia. Il signore mi scopre e mi fulmina con n lo sguardo: richiudo subito. Devo nascondere i peluches.

Ci dirigiamo verso la casa: è bella. La facciata è ben rifinita con finestre in legno e un portico, forse un po' buio.

Appena entriamo delle ragazze sui vent'anni escono. Le guardo affascinata per il loro portamento slanciato e fiero ma poi mi accorgo che c'è qualcosa che non va in loro: sembrano automi, soldati. I loro occhi dritti in avanti ma persi nel vuoto.
Le ragazze escono dalla casa e vanno spontaneamente a sedersi dentro al camion da cui prima siamo scese noi: le guardo a bocca aperta. Non so più cosa pensare: è una scuola militare?

Mi giro a guardare l'interno della casa: è bellissimo. Il  pavimenti sono in marmo o parquet e proprio davanti alla porta ci sono tre archi che fungono da ingresso per la sala che c'è dietro. La grande stanza che c'è dietro è munita di una trave per danza classica ed inoltre il pavimento è rialzato.
Di fianco alla porta invece, in entrambi i lati ci sono delle scale con lo scorrimano in legno lucido: wow. Questo posto è magnifico. Forse l'unica pecca è che è buio nonostante abbia abbastanza finestre.

Una donna cammina diritta e composta con il volto inespressivo nella nostra direzione e ci squadra dall' alto in basso per poi fare un sorrisetto maligno: inquietante.

Indossa un completo, gonna e maglioncino, blu scuro spento e poco sotto la spalla sinistra è ricamato un logo in giallo formato da tre lettere: KGB.
L'ho già visto quel logo... era sulle carte della mamma. Niente di buono: vuol dire che questo posto è nemico dell'SSR.

Stringo maggiormente la mia scatola a me.

La donna misteriosa prende un fogliettino e inizia a dire i nostri nomi consegnandoci un vestito, credo sia la divisa di questo posto. Sentiamo il camioncino ripartire, io non mi giro ma alcune bambine sì e si distraggono a guardarlo. Anche Blanca.

La donna chiama il suo nome ma lei non si gira: è distratta. La donna avanza e le assesta uno schiaffo addirittura più potente di quello che ho ricevuto io. Faccio un passo in direzione di Blanca: voglio difenderla ma Marta mi sfiora il braccio delicatamente, meglio non andare in suo soccorso a meno che non voglia fare la stessa fine.

Non mi piace. Mi mette rabbia questo atteggiamento. È vero che avrei potuto fare la stessa fine ma Blanca aveva bisogno d'aiuto.

Dopo Captain AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora