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Apro gli occhi e vedo solo metallo.
Dove sono?
Cos'è successo?
Giro la testa e mi guardo attorno: sono sdraiata su un letto, all'interno di una camera assolutamente anonima che non riconosco.
Come ci sono finita qua? Cos'è questo posto?
La paura mi assale tutta d'un colpo e mi metto a sedere di scatto, calciando via le coperte.
Pessima mossa.
Una fitta alla testa mi fa tornare sdraiata di colpo digrignando i denti per il dolore, che mi sembra immenso. Vedo puntini neri davanti agli occhi e la testa mi pulsa con la stessa violenza del mio cuore terrorizzato.
Sono in una stanza che non conosco, non ho idea di come ci sono arrivata e per di più mi sta pure scoppiando la testa, come potrebbe andare meglio?
Provo ad andare indietro nel tempo per capire cosa è successo prima che mi svegliassi qui, ma vedo solo buio e dolore alla testa. Non ricordo niente, se non il mio nome: Gwendolen, Gwen. Nient'altro.
Come è possibile che non ricordi nulla se non il mio nome? Perché sono qui?
Vorrei mettermi a piangere, ma farei solo due fatiche, perciò decido di stare ferma e cercare di calmarmi. Prima o poi il mal di testa passerà e allora penserò a come risolvere la situazione.

Quando l'emicrania sembra attenuarsi e la paura lascia il posto alla curiosità, mi alzo dal letto con cautela e mi guardo nello specchio lì vicino, sperando che il mio riflesso schiarisca in un qualche modo la mente. La ragazza nello specchio -Gwen, quella sei tu- ha i capelli scuri, in disordine e lunghi fino oltre le spalle, le occhiaie che circondano due occhi neri e inquisitori, un livido sullo zigomo destro e una spessa cicatrice sul collo.
Indosso una maglietta e un paio di pantaloni grigi, non ho le scarpe.
Ai miei occhi risulto totalmente anonima, non ho nulla che potrebbe farmi ricordare chi sono o perché mi sono svegliata qua senza uno straccio di ricordo. Non ho segni particolari, eccetto la brutta cicatrice sul collo.
Vedo anche dei lividi scuri in contrasto con le mie braccia pallide, mi sembrano quasi impronte di dita.
Al polso indosso un braccialetto con una targhetta di metallo sui cui è inciso il mio nome. Così non mi dimenticherò come mi chiamo, grazie mille di questo inestimabile dono, tu che me l'hai regalato.
"Beh, pensavo peggio." Commento sfregando la cicatrice. Chissà come me la sono procurata, non deve essere stato piacevole.
Ho la voce roca, come se avessi passato le ultime ore a urlare a pieni polmoni. Ciò mi fa pensare al peggio. Che cosa è successo qui?
Dato che il mio riflesso non mi fa tornare in mente niente, provo a esplorare la camera. È una semplice stanza senza finestre. Il letto è di fianco allo specchio, c'è una scrivania spoglia di fronte al letto e vicino all'armadio. Magari nell'armadio potrebbe esserci qualcosa, quindi punto ad esso.
Lo apro, ma è vuoto.
I cassetti sono vuoti.
Nemmeno un foglietto o un qualcosa, una qualsiasi cosa. Nulla.
Impreco sottovoce e sbatto le ante con rabbia.

Cerco in ogni dannato cassetto, sotto al letto, dietro lo specchio e dietro ogni angolo, ma la stanza è vuota. Non c'è nulla, nulla! A quel punto, presa dalla frustrazione e dalla rabbia, tiro un pugno allo specchio urlando.
Non sento neanche il dolore alle nocche quando le schegge mi tagliano la mano e si conficcano nella pelle.
Tiro indietro la mano insanguinata, incredula di ciò che ho appena fatto, e provo a fare dei respiri per calmarmi. Osservo attonita la mano ferita, come se non fosse la mia.
Non farti prendere dalla rabbia, ragiona. Di certo la tua situazione non migliorerà se ti distruggi la mano così. Anche perché non sai nemmeno se c'è un medico qua.
Hai perfettamente ragione, mente.
Passato l'attacco di nervi, mi siedo sul letto e con calma estraggo le schegge di vetro dalla pelle. Mi mordo la lingua per il dolore, ma non mi fa poi così tanto male e non sanguina come mi sarei aspettata. Butto i pezzetti di vetro in un cassetto, poi uso una scheggia dello specchio per strappare un pezzo di lenzuolo e bendo la mano. Stendo le dita un paio di volte, ma sembra che regga. Mi alzo e mi piazzo di fronte alla porta. Devo uscire da qui.
Sul lato destro c'è un tastierino con dei numeri, che sicuramente serve ad aprire la porta. Perché ovviamente io mi posso ricordare la combinazione.
Subito sotto, però, vedo anche uno scanner di impronte digitali. Potrebbe persino funzionare, visto che nessuno ancora si è presentato alla porta.
Appoggio la mano buona e sento un bip. La porta si apre e mi sento sollevata. Almeno non sono bloccata qua dentro.
Faccio un passo fuori dalla stanza e osservo ciò che mi circonda. Mi trovo in un corridoio di metallo illuminato da luci fluorescenti, non c'è nessuno in vista. Assomiglia terribilmente ad un tunnel, oppure a...
Un interruttore si accende nella mia testa.

Oh, no.
No no no.
Non può essere vero.
Non posso trovarmi in quello che sto pensando.

Corro a perdifiato lungo il corridoio verso destra, superando decine di porte di metallo, finché raggiungo uno spazio più largo.
È un vasto salone circolare, ci sono divanetti disposti in cerchio attorno ad un enorme schermo, tavoli da pranzo non apparecchiati, nessun segno di presenza umana. In diversi punti ci sono delle brevi rampe di scale che portano ad un livello sopraelevato, di cui intravedo delle finestre che occupano la maggior parte delle pareti.
Cammino con lo sguardo fisso alle finestre, intrappolata in una sorta di trance. I piedi accarezzano il pavimento freddo e non fanno rumore. Il cuore mi batte all'impazzata mentre salgo le scale e mi affaccio ad una delle finestre. Non voglio guardare, non voglio vedere in faccia la realtà. Ma devo.

I miei dubbi si rivelano fondati.

Fuori c'è solo buio.

Il buio dello spazio cosmico.

Space, The Last FrontierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora