XLI

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Non è il rumore dei piedi che corrono a svegliarmi, bensì la sfilza di imprecazioni in russo.
Apro lentamente gli occhi e guardo il soffitto. Dove sono?
Ho la bocca impastata e un leggero senso di nausea che incombe.
Mi sa che sono ancora in cucina.
Mi guardo attorno con fatica e vedo il bancone pieno di bicchieri vuoti.
Sì, sono ancora in cucina.

Dal bagno più vicino provengono rumori strani, un misto di imprecazioni e acqua che scorre.
Ho capito, andiamo a controllare.
Mi sollevo dal pavimento con enorme fatica, la testa mi gira e metto a fuoco con difficoltà. Lo stomaco protesta e io faccio respiri profondi per placare la nausea.
Percorrere i pochi metri che mi separano dal bagno è un'impresa titanica. Per poco non inciampo in R2-D2, che riesce a schivarmi con una mossa repentina. Beh, a quanto pare i suoi sensori funzionano a dovere.
Perché non riesco a contenermi con l'alcol?
Gwen, era il tuo compleanno e potevi permettertelo.
Sì, ma avrei potuto stare più leggera, ora ho lo stomaco sottosopra.

Ancora una volta, sento rumore di acqua, seguito da un'altra caterva di imprecazioni, quindi mi affretto a correre -o meglio, incespicare- verso il bagno. Ho un brutto presentimento.
Frank è chino sul water e sta ancora imprecando. La puzza di vomito riempie la stanza, nonostante i deodoranti automatici. Oh, ora si spiegano le imprecazioni.
Mi si rivolta lo stomaco, ma riesco a tenere tutto dentro. La sola idea di dover vomitare mi fa accapponare la pelle, piuttosto mi tengo il mal di pancia per tutto il giorno.
"Porca merda, erano mesi che non mi ubriacavo così." Tira lo sciacquone e si appoggia al muro. Ha il viso pallido, però sembra che ora stia meglio.
"Io mi sono ubriacata anche quando ho fatto la manovra. Mi sono ritrovata su un divano a sbavare, dopo aver mangiato un quintale di torta e aver bevuto litri di birra. Ancora non so come ho fatto a non farmela addosso."
Lui ridacchia e si toglie i capelli sudati dalla fronte. "Ti è già successo di sbavare, non preoccuparti. Non hai vomitato?"
"No e nemmeno ora."
"Che vergogna, un russo che vomita dopo gli shot. Sono il disonore della famiglia, finiranno per diseredarmi."
Mi siedo vicino a lui e gli do un bacio su una guancia.
Come mai tutto questo affetto?
Zitta, mente, lasciami fare.
"Grazie per la festa." Gli dico.
Lui sorride e mi stringe debolmente la mano. Ha ripreso un po' di colorito in viso, tuttavia sembra ancora disfatto. È davvero andato, l'ho sconfitto su ogni fronte. "Lo sapevo ti sarebbe piaciuta."
"Ti ho distrutto, Makovich."
"Devo accettare la sconfitta, però stai certa che la prossima volta ti batterò."
"Vedremo."
Lui mi lancia un'occhiataccia e ridiamo.

Il resto della giornata lo passiamo a smaltire la sbornia sdraiati su due divanetti a dormicchiare e a chiacchierare. Evitiamo l'allenamento perché potrebbe finire male e nessuno di noi ha voglia di lavare del vomito dal pavimento.
"Ma tu come mi hai conosciuta? Non me l'hai ancora raccontato." Gli chiedo.
"Mia madre lavorava con la tua nel campo dei robot, erano della stessa famiglia. Inoltre, mio padre era il capo meccanico della squadra di tuo padre e si conoscevano da prima. Eravamo anche vicini di casa e, per amore o per forza, ci vedevamo ogni santo giorno."
"Lo dici come se fosse una cosa brutta."
Lui ride. "All'inizio mi stavi antipatica, non so bene per quale motivo. La prima volta che ci parlammo, tu mi dovevi restituire una palla che avevo per sbaglio lanciato nel tuo giardino. Mi ero fatto una cattiva idea su come fossi, ma col tempo ho imparato ad apprezzare la tua compagnia e siamo diventati amici. Diciamo che scelsi di diventarti amico perché l'altro vicino mi stava più antipatico di te."
Sarebbe un complimento? "E poi? Solo quello?"
"Ci stavo arrivando. Abbiamo iniziato a giocare insieme, i nostri genitori erano felici di vederci insieme. Tu mi rubavi sempre i robot che mi costruiva mia mamma perché Jacqueline, all'inizio, non te ne regalava mai, era certa che avessi altri interessi. Voleva insegnarti la robotica più tardi, per crescerti come una ragazza graziosa e gentile." Io? Graziosa e gentile? AHAHAHAHAHAHA no.
"Non aveva idea di che maschiaccio sarei diventata."
"A quel tempo no, ma da quando tuo padre ti portò a visitare un Hawk penso che intuì la tua vera natura e cedette a regalarti robot e modellini. Tuo padre ti portava spesso a visitare le navi e tu hai sempre insistito perché venissi con te."
Già mi immagino la scena.

"Dopo la morte dei tuoi, ci siamo legati sempre di più. Ti ospitammo a casa nostra, non avevi altra casa in cui stare. Ti eri rifiutata di stare con tuo zio e, per evitare di farti impazzire, le autorità acconsentirono a farti stare con noi. Tu non ti aprivi mai con noi, eri sempre nei tuoi pensieri e spesso chiusa nella tua stanza. Con me a volte riuscivi a parlare e io ti stavo vicino, qualsiasi fosse il problema. Fu un periodo molto difficile, sia per te che per noi. Quando venne inaugurata la Accademia, venimmo selezionati entrambi e iniziammo l'addestramento. Tu odiavi Alice, non la sopportavi. E venivi a sfogarti da me."
"Sul serio?"
"Te lo garantisco. Non la finivi più di lamentarti. Ogni santissimo giorno mi tormentavi con le tue lagne." Rido. "Ma poi lei ti regalò un paio di auricolari di ultima generazione e lì cambiasti idea radicalmente."
"Immagino."
"E niente, tutto qua. Questa è la storia della nostra amicizia."
"Mi dispiace non sapere nulla di te, in questo momento. Non posso aiutarti."
Lui rimane in silenzio e fissa il soffitto stringendo le labbra.
Mi nasconde qualcosa? Da come evita di parlare, sembrerebbe così.
"Non potresti aiutarmi neanche se ricordassi, purtroppo." Mormora abbassando gli occhi sulle sue mani.

Prima di dormire beviamo una cioccolata calda, ormai ci siamo ripresi completamente.
Nel momento in cui ci separiamo per dormire sento la mancanza di qualcosa. Come se il suo racconto fosse incompleto.
Cosa gira nella sua mente?

Space, The Last FrontierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora