XII

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Tre giorni all'avvicinamento.

I lavori per il robot procedono fin troppo a rilento, avevo sperato di costruirlo in molto meno tempo di quello che ci sto impiegando. Non avevo messo in conto la pazienza che ci vuole per costruire da zero anche il più piccolo automa e il mio non essere molto abile nell'assemblarlo non fa altro che darmi i nervi.
Per di più, sono stressata a causa dell'avvicinarsi del giorno della manovra e per questo dormo poco. Di nuovo.
Passo dal robot, al pilotaggio, alla fisica continuamente, sento il bisogno di tenermi occupata e non stare con le mani in mano. Credo di essere diventata iperattiva. Non riesco a stare ferma per più di mezz'ora, sento il tempo scorrermi tra le dita e quindi il bisogno impellente di fare qualcosa di utile per la mia situazione.
Nonostante tutto ciò, sono abbastanza sicura di me. Ce la farò a tornare. So che sarà la prima volta in cui metterò dito sui comandi della nave, ma ho una sensazione positiva riguardo alla manovra.

"Signorina, non vuole riposarsi?" Mi chiede Dave mentre sto saldando insieme due placche di metallo.
Lo ignoro, ma lui continua imperterrito. "Rilevo parecchia stanchezza in lei e penso che dovrebbe staccare dal lavoro per qualche ora, mi dia ascolto per una volta."
Tiro su la maschera protettiva e sospiro. Ha ragione lui, mi servirebbe un po' di riposo. Prima ho rischiato di prendere una scossa a causa di un improvviso colpo di sonno che mi ha assalita. "Dovrei lavorare, ma ne ho bisogno." Ammetto.
"Il robot può aspettare. Si riposi, anche solo per una manciata di ore."
"E va bene." Appoggio le attrezzature per terra e vado nella mia stanza.
Non faccio in tempo ad appoggiarmi al cuscino che sprofondo nel sonno.

"Dov'è il chip?"

Una luce mi acceca gli occhi, mi affretto a stringerli. "Quella luce mi sta accecando." Rispondo, ignorando bellamente la domanda.

"Dove. Si. Trova. Il. Chip. Non lo chiederò un'altra volta." Ripete la voce. È un uomo, ma non lo riesco a identificare.

Sento pressione sui polsi e sulle caviglie. Questo non è per niente un buon segno: vogliono che io parli ad ogni costo. Penso che non si faranno scrupoli ad ammazzarmi.
Ma io non dirò nulla. "Non ho idea di che parli." Rispondo.

Altra pressione. Le vene dei polsi pulsano contro le cinghie che continuano a stringersi. La tensione sale, vorrei capire dove mi trovo e chi è quest'uomo.
"Non fare la sfacciata. Sappiamo come farti parlare."

Scoppio a ridere. Lo so che potrei solo provocarlo col mio comportamento, ma non devo lasciarmi sfuggire alcuna debolezza. "Non sapete con chi avete a che fare." A questo punto non mi interessa così tanto se mi ammazzeranno, il mio segreto morirà con me.

Ancora pressione. Ormai non mi sento più le dita delle mani e un crampo mi sta mordendo la caviglia sinistra.
"Ah davvero? Lo sai che possiamo fornire prove false per condannare a morte il tuo amico Mike? E possiamo persino tirare in ballo anche altri tuoi compagni, per esempio Frank. Oppure la tua compagna di stanza Alice. Possiamo fornire prove per complicità per tutti e fare avere loro almeno qualche anno di prigionia."

Mi irrigidisco. Ora come faccio? Non avevo messo in conto questa cosa, maledetta me!
"Loro non sono coinvolti in questa storia e Mike l'ho usato solo come palo. Non potete metterli in mezzo, la colpa è solamente la mia." In verità ci siamo tutti dentro fino al collo, ma non possono essere condannati anche loro. L'idea è stata mia e devo pagare io, nessun altro.

"Allora dicci dov'è il chip."
"Non lo so." Sbotto. È vero a metà. Ce l'aveva Mike, ma non so dove l'ha nascosto.
"Preferisci cantare con le buone maniere o con le cattive?" Sibila l'uomo al mio orecchio.

Io stringo i denti e sto zitta.
'Dai, fallo!' Vorrei urlargli, ma mi mordo la lingua per non parlare.

"Bene, ottima scelta. Portate dentro il ragazzo!" La luce abbagliante si spegne e io sbatto gli occhi per mettere a fuoco ciò che mi circonda. L'uomo che ha parlato è dietro di me, non riesco a girare la testa per vederlo.

Non faccio in tempo ad osservare la stanza, che la porta si apre e una figura che si dibatte mi grida "NON PARLARE, QUALSIASI COSA MI FACCIANO!"

Si sentono urla e rumori di lotta, poi la sua voce si fa sentire di nuovo, implorante. Mi dice: "Devi essere forte, G."

Mi sveglio con lacrime agli occhi. Mi sto sfregando i polsi convulsamente, lì dove mi hanno stretta con le cinghie o qualsiasi cosa fosse.
Un altro ricordo, anche peggiore dell'altro. Mi stavano torturando.
Altri nomi di cui non ho memoria.
Chi sono Frank e Alice? Saranno ancora vivi? Chi era la figura che mi diceva di essere forte? Ma soprattutto, chi era quell'uomo che mi stava torturando?
Mi tappo le orecchie e chiudo gli occhi, stringendo forte le palpebre.
Non posso andare avanti così.
Devo sapere, devo sapere, devo sapere, devo sapere, devo sapere, devo sapere!
Ma non posso sapere così, è troppo doloroso.
Dave mi chiede cosa mi è successo e come sto, perché ha avvertito un aumento significativo della mia frequenza cardiaca.
"Ho avuto un altro flashback." Gli rispondo.
"Ancora? Che cosa si è ricordata?"
"Di quando sono stata torturata."
"Ho capito. Signorina, lei deve prendere dei sonniferi per dormire. Altrimenti continuerà ad avere questi incubi."
"Ma dopo avrò meno tempo per lavorare."
"Ora deve dormire, il suo corpo ne ha bisogno. E anche la sua mente, se no il giorno della manovra non sarà abbastanza concentrata. Prenda un sonnifero, la sveglierò io domani per lavorare al robot." Sospiro e accetto. Spero di riuscire a dormire.

Il sonnifero non fa effetto subito, quindi prima di addormentarmi leggo un capitolo del libro che ho iniziato.
Si chiama Harry Potter e parla di magia, un argomento molto popolare anche oggi. Non riesco a posarlo sul comodino, mi sta coinvolgendo troppo.
Sfortunatamente il sonno ha la meglio.
Appoggio il libro sul comodino e la testa sul cuscino e mi addormento.
Per mia fortuna, non sogno e riposo tranquilla.

Space, The Last FrontierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora