4. Una stanza vuota

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4. Una stanza vuota

I raggi del sole che filtravano attraverso la finestra mi facero svegliare, tuttavia mi ostinavo ancora a cercare di prendere sonno.

Ad un certo punto mi arresi e aprii gli occhi. Anche Justin era sveglio, l'avevo notato fin da subito.

"Ehi" gli sussurrai dolcemente all'orecchio. "So che sei sveglio".

Justin si voltò verso di me e con estrema lentezza mi lasciò un bacio sulla fronte.

Mi misi più vicina a lui, mentre continuava ad accarezzarmi i capelli.

"Tu pensi mai al Canada?" chiese così, di punto in bianco senza aver prima detto qualcosa che potesse correlarsi in qualche modo alla sua domanda.

Rimasi a guardarlo, pensierosa e con mille domande.
"Perché mi chiedi questo?"

Justin si limitò a scrollare le spalle: era in grado di percepire la mia preoccupazione e forse pensò che con quel semplice gesto il mio stato d'animo sarebbe cambiato, anche se non era affatto così.

"Non lo so. Mi è venuto in mente e così te l'ho chiesto" concluse.

Provai a fare come lui: ripensai a tutto quanto. Ripensai a quella casa, a quella malattia, a quella famiglia ormai persa per sempre, a tutto quello che avevo lasciato alle spalle e così come lo immaginai così lo scacciai dalla mia mente.

Mi alzai dal letto e mi diressi verso l'esterno della camera.

"Comunque no" gli dissi aprendo la porta e guardando il corridoio. "Non penso mai al Canada".

***

Le bevande calde mi erano sempre piaciute un sacco, ma ero convinta di amarle solo per via del clima rigido di Toronto, invece avevo continuato a berle anche con la temperatura alta.

Guardai l'orologio della cucina e, dopo aver appoggiato la tazza sul tavolo, mi recai in camera di Charlotte. Il giorno prima le avevo promesso che l'avrei portata al parco giochi, ma andando avanti di quel passo avrebbe continuato a dormire tutta la mattina.

Arrivai nella sua camera, dove l'unico rumore era il suo respiro. Aprii lentamente la finestra per permettere alla luce di entrare e notai Charlotte infilarsi letteralmente sotto le coperte.

Mi avvicinai al suo letto e con dolcezza riuscii a svegliarla.

La presi in braccio e le baciai la guancia.
"Se vogliamo andare al parco giochi non possiamo uscire di casa troppo tardi, tesoro".

Scesi le scale e più o meno a metà del percorso che separava la sua camera dalla cucina mi bloccai di colpo.

Le spostai i capelli di lato, in modo da vedere meglio la sottospecie di bolla che si era formata sopra la sua clavicola.
Non era grandissima, ma nemmeno piccola; provai a toccarla e la sua durezza mi colpì.

Nonostante la sfiorai solamente,  appena la mia mano si soffermò sopra quella strana bolla, Charlotte si allontanò.

"Ti fa male?" le domandai. Lei annuì.

La portai in cucina, le porsi una tazza di latte caldo e la lasciai in soggiorno davanti la televisione a guardare i cartoni animati.

Nel frattempo, chiamai Justin e gli raccontai tutto, descrivendo dettagliatamente ciò che la piccola Charlotte si era ritrovata di punto in bianco.

"Non credo sia niente di cui preoccuparsi" mi rispose. In sottofondo sentivo le voci di alcuni medici. "Alcune volte è nomale che i linfonodi si gonfino".

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