10. La punta dell'iceberg

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10. La punta dell'iceberg

Quella notte non c'era la luna, era coperta dalle nubi. Dalla camera da letto ero in grado di udire il leggero, ma intenso ticchettio dell'orologio nel salotto. Quello era l'unico rumore che ero in grado di percepire.

Erano le cinque del mattino e il tempo sembrava non passare mai. Ero sveglia da più o meno un'ora; avevo avuto un altro incubo.

Il fatto di essere ritornata a fare quei brutti sogni mi riportava al passato e ogni volta che ci pensavo l'angoscia mi toglieva il fiato.

Sospirai profondamente. Non vedevo l'ora di vedere Justin tornare a casa, odiavo quando era costretto a lavorare di notte. Quel letto sembrava così tristemente vuoto senza di lui.
Inoltre, speravo di vederlo tornare in fretta, perché sentivo che iniziava a mancarmi il respiro. Mi costava fatica ammetterlo, ma quelle erano le stesse emozioni che provavo in passato, sebbene fossero dovute a cause diverse.

Provavo così tante sensazioni che non ero in grado di controllarle e capire bene quali fossero. Percepivo qualcosa più grande di me soffocarmi e non potevo negare di avere paura.

Nel frattempo, sentii la porta di casa aprirsi e subito tirai un sospiro di sollievo.
Mi girai dall'altra parte del letto, dando la schiena alla porta.

Percepii la presenza di Justin dietro di me e mi impegnai a calmare il mio respiro.
"Lo so che sei sveglia" disse trattenendo una risata.

Mi girai e, nonostante fosse buio, ero ancora in grado di scorgere la sua figura.
"Alcune volte odio il fatto che tu mi conosca così bene" borbottai.

Justin lentamente si mise sotto le coperte e mi avvicinò a sé.
"Com'è andata la serata?" mi domandò, baciandomi la fronte.

"Come sempre" conclusi in fretta. "Sono solo un po' stanca".

Intrecciai le mie gambe tra le sue e mi strinsi di più a lui.
"Adesso è meglio dormire, domani sarà una giornata importante" disse.

Chiusi gli occhi e, dopo pochi minuti, Justin si addormentò, ma io rimasi sveglia tutto il tempo per pensare a ciò che sarebbe accaduto da lì a poche ore.

Avevamo scoperto della malattia di Charlotte da nemmeno un mese, eppure a me sembrava un'eternità. Ormai i tempi felici erano distanti, li percepivo solo come frammenti di ricordi che, in qualche modo, non volevano lasciarmi andare o forse era il contrario.

Dentro di me nutrivo l'inutile speranza che mi sarei svegliata presto da quell'incubo, ma non potevo nemmeno immaginare cosa ancora mi attendeva: quella era solo la punta dell'iceberg, mi trovavo solamente all'inizio del tunnel. Lì non c'era la luce, lì tutto scompariva. Mi sentivo così vulnerabile e vuota.
Ero colmata da un amore che mi svuotava completamente.

***

Fui in grado di notare la preoccupazione e la tristezza che affliggevano Justin durante il tragitto in macchina.

Era concentrato sulla strada, ma il suo sguardo era perso.
Avei voluto dirgli qualcosa, ma non trovavo neanche una parola.

Quello era il giorno in cui Charlotte avrebbe avuto la prima seduta del ciclo di chemioterapia. Non sapevamo nemmeno con certezza per quanto tempo lei sarebbe dovuta restare in ospedale. I medici lo avrebbero deciso solo in seguito e questo mi agitava tremendamente.

"Justin" dissi richiamando la sua attenzione.

Il ragazzo si voltò e mi guardò. I suoi occhi erano tristi e ogni volta che lo notavo provavo una fitta al cuore.

"Il semaforo è verde" gli feci notare con un filo di voce.

Subito dopo la macchina partì lentamente verso quel luogo che, nemmeno lontanamente, era il posto in cui mia figlia doveva stare.

***

"Siete in anticipo, credo sia la prima volta che un paziente arriva prima dell'ora stabilita" escalamò con un ampio sorriso la dottoressa Ellen. "In ogni caso, possiamo procedere subito. Justin, ti va di aiutarmi a sistemare tutto?"

"Certo, certo" rispose Justin scattando in piedi.
In quella stanza c'era un via vai tra medici e infermieri, nel frattempo Charlotte era seduta su un letto mentre agitava i piedi. Tutto attorno a lei si stava preparando e la sua ingenuità ed innocenza la rendevano quella che era.

Dopo un paio di minuti, iniziai a sentirmi a disagio tra tutte quelle quelle persone indaffarate, così  aspettai che Justin finisse di parlare con un infermiere su ciò che bisognava fare e lo presi da parte.
"Io me ne starò fuori ad aspettare. Chiamami quando è finito".

"Pensavo tu volessi restare dentro, almeno per la prima volta" ribattè con un sussurro.

Scossi il capo. "Non ci riesco. Mi dispiace".

Rivolsi un ultimo sguardo a Charlotte, la quale aveva iniziato a strillare dopo aver visto l'ago che serviva per prelevarle il sangue.

"Mi dispace" sussurrai ancora. Poi uscii dalla stanza, sentendo Justin pronunciare delle parole dolci alla bambina.

La porta si chiuse alle mie spalle e tutto diventò più silenzioso. Nel corridoio l'aria era più fresca e ripresi di nuovo a respirare.
Mi misi ad aspettare sulla sedia nel corridoio, dove avrei atteso tante altre volte in futuro. Lì piansi in silenzio per tutto tempo, incosciente del fatto che mi sarei ritrovata nella stessa situazione per tante altre volte.

***

Quando il tempo sembrava essersi fermato, vidi Ellen uscire dalla stanza. Scattai in piedi come una molla e corsi da lei.
"Com'è andata, dottoressa?" domandai impaziente e spaventata.

Lei mi sorrise con dolcezza.
"È andato tutto come previsto" rispose e un senso di falsa tranquillità mi avvolse. "Adesso sta dormendo, puoi andare da lei".

Appena pronunciò quelle parole, corsi all'interno della stanza. Lì dentro c'era parecchia luce; c'erano tre letti, ma solo quello al centro era occupato da Charlotte.

Con cautela, mi avvicinai a lei. Dormiva beatamente e il suo respiro era calmo. Justin le era seduto accanto, mentre le accarezzava la fronte. Appena mi vide, sorrise.

Mi abbassai all'altezza di Charlotte e mi sforzai di non piangere; era così bella.

Dopo una decina di minuti, Justin ruppe il silenzio.
"Abbiamo una bambina bellissima".

Sorrisi continuando a guardarla, il suo respiro mi calmava. Un suo respiro corrispondeva a tutta la mia vita.

Tunnel; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora