17. Perché sei senza capelli?
Fu un grande sforzo da parte mia, ma dopo un'attenta riflessione compresi qual era la cosa giusta da fare. Dovetti cercare una forza interiore che nemmeno io credevo di avere e quella ricerca significò tanto per me. All'apparenza potrebbe sembrare una cosa di poca importanza, ma per me voleva dire guardare in faccia la realtà e chi non ha timore di chiudere gli occhi davanti alla verità inizia già la scalata sulla montagna con il piede giusto.
Era una mattina piovosa e l'umidità era alle stelle. Non etichettai al caso il fatto che il cielo fosse cupo e minaccioso, per niente rassicurante e imprevedibile.
Con un nodo in gola, con le gambe pesanti e con la paura che mi stava appresso, accompagnai Charlotte a fare la seconda seduta di chemioterapia e attesi pazientemente nella sala, ma quella volta con lei e Justin al mio fianco.
Rispetto la prima volta, Charlotte era meno spaventata ma sicuramente le sue mani tremanti e il fatto di non voler entrare nella stanza non erano casuali.
Per quanto mi era possibile e per quanto era possibile per lei capire fino in fondo, spiegai alla bambina che per stare bene doveva per forza andare in ospedale e prendere determinate medicine. Inoltre, le assicurai che tutta quella strana situazione sarebbe continuata ancora per poco e lei, nella sua ingenuità, mi rispose che non contava, poi mi abbracciò e mi raccontò della sua mattinata trascorsa in asilo.
In quel momento però, distesa sul freddo e anonimo letto con le lenzuola che profumavano di poca speranza e rassegnazione, scoppiò in lacrime.
Ellen si avvicinò subito a lei e con delicatezza e amore cercò di rassicurarla, ma le sue parole servirono a ben poco.
Ogni volta che soffriva, ogni volta che la vedevo impaurita e ogni volta che anche solo una singola lacrima le percorreva lentamente la guancia, una parte di me scompariva. Non se ne andava però la parte più negativa e affranta di me, bensì quella tenace, speranzosa e viva. Continuando su quella strada, temevo di rimanere solo un ammasso di pensieri lugubri.
Cercando di nascondere cosa veramente sentivo, mi avvicinai a Charlotte con il sorriso più rassicurante che potessi mai indossare come maschera.
"Ehi" le sussurrai, ma la bimba continuò a piangere senza sosta anziché essere sollevata dalla mia presenza.Sospirai con amarezza e le diedi una dolce carezza.
"Non devi avere paura"Charlotte alzò lo sguardo e fece incrociare i nostri occhi; poi l'avvolsi tra le mie braccia e le baciai la fronte.
"Non avere paura" sussurrai, "sono qui"***
"Staremo a vedere come il suo corpo reagirà alla chemioterapia. Speriamo che il problema si risolva il prima possibile, adesso però lasciamo un attimo di pace a Charlotte per affrontare le cure; solo in seguito saremo in grado di trarre delle conclusioni veritiere, positive o negative che siano. Non ha senso continuare ad imporle delle medicine che magari finirebbero solo per aggravare la situazione" spiegò alquanto alterata Ellen ad un'infermiera che fino a pochi istanti prima era intenzionata a dare alla piccola Charlotte altri antidolorifici.
"Non dovete dare ai pazienti medicinali che non gli sono stati prescritti" continuò la donna.
L'infermiera, un po' intimorita, abbassò il capo, si scusò per la sua distrazione e se ne andò dopo aver ricevuto il rimprovero.
Quando fummo sole nel corridoio, Ellen si girò verso di me e roteò gli occhi, portandosi una mano sul volto.
"Incompetenti" sbuffò, poi se ne andò, lasciandomi sola tra i miei pensieri e le mie mille domande che vagavano senza sosta nella mia testa.Mi trovai davanti alla porta della stanza di Charlotte: era ormai trascorsa più di un'ora dalla fine della seduta di chemioterapia e all'interno della stanza continuavo a sentire il silenzio più totale, perciò immaginai che la piccola stesse ancora dormendo.
Non sapevo ancora se Charlotte sarebbe dovuta restare in ospedale per tutta la notte; dentro di me viveva il profondo desiderio di riportare la bambina a casa, ma non solo per poter stare con lei in un ambiente familiare, anche perché il solo pensiero di dover affrontare l'intera notte accanto a lei su una sedia sicuramente poco confortevole mi faceva rabbrividire.
All'improvviso, un rumore proveniente dall'interno della stanza di Charlotte mi riportò alla realtà e, senza pensarci troppo, vi entrai.
La bambina era seduta a gambe incrociate sul letto, con il suo pupazzo tra le braccia e con un enorme sorriso sul volto. La sua spensieratezza aveva preso il posto della preoccupazione con la quale l'avevo vista l'ultima volta e la cura contro la malattia sembrava non toccare il suo sorriso.Davanti a lei, in piedi, c'era un bambino. Al primo impatto, sembrava vivace e pieno d'energia; uno di quei bambini che darebbero filo da torcere ad una babysitter.
Avava gli occhi incredibilmente azzurri, le guance rotonde ed ogni volta che sorrideva mostrava senza vergogna la mancanza di un incisivo.Per quanto riguardava i capelli, erano biondi e folti: gli ricadevano sul volto ed erano tutti in disordine. Con quegli occhi chiari e con quel colore di capelli, quel bambino sembrava tanto il classico principe azzurro delle favole. Oppure, i capelli del bimbo erano castani o neri come il carbone. Forse erano lunghi, forse erano corti, forse erano scompigliati o forse perfettamente in ordine, ma appena lo vidi, non fui in grado di giudicare i suoi capelli dato che non ne aveva neanche uno.
"Ciao" disse il bambino, agitando la mano verso la mia direzione.
Mi avvicinai a lui e gli rivolsi un dolce sorriso.
"Ciao" risposi, "come ti chiami?""Mi chiamo Martin"
"Lei è la mia mamma" intervenne Charlotte, agitando il suo pupazzo di peluche. Appena lo vide Martin lo prese in mano, osservandolo con molta attenzione: gli toccò le orecchie e il naso, per poi accarezzarlo teneramente e ridarlo alla sua proprietaria.
I suoi occhi azzurri e vivaci continuavano a studiare attentamente ogni mio dettaglio; era un bambino molto curioso.
"Quanti anni hai, Martin?" gli domandai e subito lui sorrise. Mostrò cinque dita della mano sinistra e alzò il pollice della mano destra, fiero di sé.
"Ho sei anni!"Sorrisi e lo guardai tornare da Charlotte: i due continuarono a ridere e a giocare insieme senza pensieri o preoccupazioni.
"Perché sei senza capelli?" domandò Charlotte a Martin.
Il bambino prese di nuovo il peluche e lo strinse tra le braccia.
Scrollò le spalle.
"Non lo so" rispose "sono caduti e basta, ma quando ricresceranno li colorerò tutti di blu""Ti piace il blu?"
"Sì, è il mio colore preferito, mi ricorda il mare. Quando sarò grande comprerò una barca e viaggerò in tutto il mondo; se vorrai potrai venire con me. Sarai sempre la benvenuta sulla mia barca"
STAI LEGGENDO
Tunnel; jdb
Hayran KurguAvevo lasciato una prigione per entrare in un'altra. Quel tunnel sembrava non finire mai; mi toglieva il respiro, mi feriva. Quando ero nel tunnel mi domandavo il senso di tutto ciò e soprattutto perché doveva accadere a me. Certe volte, il proprio...