6. Perché non sono forte?

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6. Perché non sono forte?

"Genesis che ti succede? Non ti vedo molto bene" mi confidò Meredith entrando in casa.

Continuai a guardarla muoversi per la stanza, con le sue scarpe piuttosto alte e con la sua gonna corta, come sempre.

Un po' invidiavo il suo carattere, era completamente diverso dal mio. Meredith non si faceva scrupoli ad essere la centro dell'attenzione, voleva farsi notare dagli altri, indipendentemente da chi fossero. Le piaceva essere guardata, le piaceva essere desiderata.

Lei si divertiva facilmente, viveva la vita con una tranquillità ammirevole e con estrema spensieratezza.

Io e lei, dunque, eravamo completamente diverse in tutto e per tutto, non solo nel modo di fare, ma anche nello stile di vita. Nonostante avesse raggiunto i trent'anni, non si preoccupava minimamente di costruirsi una propria famiglia. Nonostante fosse prossima al matrimonio, lo sapevo che non lo prendeva seriamente, per lei era tutto un gioco.

Un po' volevo avere la sua spensieratezza, ma non avrei mai scambiato la mia vita per la sua e nonostante quello che stavo attraversando, continuavo ad esserne convinta.

"Charlotte ha la leucemia" dissi. Quella fu la prima volta che riuscii a pronunciare quella parola. Era una pugnalata, ogni volta che solo la pensavo il mio cuore si fermava.

Meredith rimase sorpresa, non se lo aspettava. Sospirò e poi rimase in silenzio, ma non per la tristezza, ma solo perché si sentiva a disagio e, non volendo questo, la feci parlare del suo matrimonio.

Quando se ne andò, rimasi a guardarmi allo specchio, chiedendomi se sembrassi così distrutta com'ero.

***

Per tutto il viaggio in macchina rimanemmo in silenzio. Alcune volte Charlotte canticchiava qualche canzone, molte volte Justin cercava di parlarmi, ma la conversazione giungeva a termine molto velocemente. Non avevo voglia di parlare, non volevo fingere di star bene o di far finta di essere forte.

"Dove stiamo andando?" domandò Charlotte, stringendo la sua bambola di pezza.

"Stiamo andando dalla dottoressa" rispose Justin, fermando la macchina in un grande parcheggio all'aperto, circondato da grandi alberi.
Prese la bambina in braccio e ci dirigemmo all'interno dell'ospedale. Sentivo i miei piedi pesanti, come se volessero rimanere lì e non entrare.

"Ma ci sono già andata" sbuffò Charlotte agitando i piedini. "Non ho più la febbre. Guarda papà, sto benissimo. Andiamo al parco giochi?"

"Magari più tardi" rispose Justin senza provare alcun genere di emozione. I suoi occhi sembaravano guardare le cose solo perché erano costretti a farlo.

Conoscendo già il percorso, Justin ci portò al terzo piano. Ogni cosa era bianca lì dentro e quei lunghi corridoi mi ricordavano quelli dell'ospedale in cui era stata ricoverata più volte mia madre.

Salimmo un'altra rampa di scale e ci fermammo in un altro corridoio identico agli altri. Rimanemmo in piedi accanto ad una fila di sedie, anch'esse bianche, davanti ad una porta.

Molte infermiere e medici passavano avanti e indietro e molti di loro si fermavano a scambiare due parole con Justin.

Dopo cinque minuti che fissavo il muro, alcune macchioline scure iniziarono ad entrare a far parte del mio campo visivo. Sospirai e posai gli occhi su Justin e Charlotte, i quali erano con alcuni medici a pochi metri da me.

Mi appoggiai al muro e chiusi per un attimo gli occhi, quando li riaprii notai che una delle sedie poste accanto a me fosse occupata da una ragazzina di all'incirca undici anni. Anche lei fissava il muro con le braccia conserte, sembrava triste.

Tunnel; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora