22. Verità e lacrime

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22. Verità e lacrime

Un odore forte e pungente mi avvolse appena mi avvicinai abbastanza a mio padre: odore di alcol. Aveva gli stessi vestiti del giorno precedente, soltanto più sporchi e maleodoranti; continuava a guardarmi negli occhi - cosa che faceva piuttosto raramente - e a pronunciare parole senza senso ed incomprensibili.

"Cosa ci fai qui?" dissi cercando di controllare il tono della voce; avrei voluto urlare, ma c'erano già abbastanza occhi fissi su di noi. Ero spaventata, non riuscivo a smettere di chiedermi cosa avrei dovuto fare. "Cosa ti è successo?"

Lui smise di colpo di mugugnare e rimase in silenzio. I suoi occhi erano persi ed inespressivi, un po' per via della sbronza ma sicuramente anche per altri motivi.

Dovevo agire lucidamente, ma sembrava che niente fosse dalla mia parte: ogni persona presente stava guardando interessata la scena, senza nemmeno accertarsi che tutto stesse andando bene; il fatto che mio padre fosse ubriaco e di conseguenza imprevedibile e la responsabilità di ogni mia azione non aiutavano di certo a lasciarmi meditare in completa tranquillità su ciò che era giusto fare. Anche se la cosa che più mi bloccava era la posizione in cui mi trovavo: una parte di me voleva solo tornare a casa e chiudere i rapporti con mio padre una volta per tutte, abbandonandolo così al suo tragico destino, un po' per fargliela pagare per avermi spezzato il cuore e perché forse solo così avrebbe capito i suoi errori. Dopotutto nessuno impara veramente qualcosa prima di averlo vissuto sulla sua pelle. A questo mio lato si contrapponeva il forte sentimento che provavo, sia perché aveva bisogno di aiuto sia perché, sfortunatamente, gli volevo bene. Non potevo cancellarlo dalla mia mente e dai miei ricordi, non avevo un carattere abbastanza forte per farlo. Lui aveva bisogno di aiuto e, visto che era il primo ad ignorare le sue stesse suppliche, ci sarei stata io al posto suo.

Mentre pensavo, lui continuava a stare in silenzio e ad aspettare la mia reazione.
Poiché le acque si erano calmate, molte persone, che fino a pochi secondi prima ammiravano incuriosite e divertite la scena, distolsero lo sguardo, ritornando a sistemare i loro bagagli, a parlare e a guardarsi attorno.

Cercai di calmarmi dopo aver sentito uno strano sentimento salire dallo stomaco, un sentimento di panico e terrore, un sentimento imprevedibile che ti coglie di sorpresa. Quel sentimento, purtroppo, mi era molto più che familiare, ormai. Strinsi i pugni e cercai con tutta la forza che avevo di ignorarlo e di far finta che non esistesse, di essere forte, o fingere di esserlo sul serio una volta nella vita.

Gli occhi di mio padre non si staccarono nemmeno per un secondo da me, mettendomi anche a disagio.
I suoi occhi erano l'unica parte di lui che si permettevano di chiedere aiuto, ma solo a chi era in grado di prestare attenzione.

Inevitabilmente, prestai attenzione a quello sguardo perso e trasparente, diventando così la sua unica ancora di salvezza e scavandomi la fossa da sola.

***

Mezz'ora dopo eravamo nella mia camera d'albergo, quella che stavo lasciando fino a poco prima per tornare a casa, ma qualcosa aveva stravolto i miei piani, o meglio qualcuno.

Mio padre non era ancora completamente lucido, però, avendo smaltito le quantità d'alcol assunte durante la giornata, era in grado di ragionare. Anzi, non essendo in sé, iniziò a parlare, parlare e parlare. Ma quanto valgono le parole di un uomo ubriaco? Forse niente, forse poco, eppure ebbi la sensazione che fossero proprio quello di cui avevo bisogno: sotto effetto dell'alcol, mio padre parlava sinceramente, senza barriere che gli impedissero di dire la verità.

"Non mi è mai piaciuta Toronto" esordì. Si era affacciato alla finestra, intento a guardare gli alti palazzi che aveva davanti a sé. "È una città troppo grande per i miei gusti, troppo caotica"

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