13. Io ci sono per te

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13. Io ci sono per te

"Sono pronti i biscotti?" domandò la bimba entrando in silenzio in cucina.

"No, non ancora" le risposi vedendo poi il suo sorriso scomparire. Incrociò le braccia al petto e mise il broncio, nonostante la sua espressione risultasse ai miei occhi solo più carina.

"Ma io ho fame" ribattè.
Le accarezzai la guancia e la presi in braccio.

"Saranno pronti tra poco" la rassicurai, sperando che non iniziasse a fare i capricci.

Charlotte non era mai stata quel tipo di bambina che si mette a piangere per ogni minima cosa che non le è stata data, ma ogni tanto si lasciava trasportare da un'ondata di lacrime improvvise dovute sicuramente dalla stanchezza e da cosa stava subendo.

I dottori ci avevano avvertiti che Charlotte avrebbe affrontato un periodo piuttosto strano per lei. Sarebbe stata molto più stanca e affaticata rispetto a prima e tutto questo era certamente dovuto alla malattia, ma anche alle cure che l'aiutavano a superarla.

In quel periodo, cercavo di non farle pesare il fatto della chemioterapia accontentandola in tutto e per tutto, anche in ogni minima cosa. Non volevo che lei sentisse il peso di qualcosa troppo grande e inspiegabile, volevo cercare di tenerla all'oscuro di tutto, per quanto mi era possibile.

Era solo una bambina e ritenevo giusto proteggere la sua ingenuità e farle vivere un'infanzia normale.
Speravo che tutto ciò avrebbe avuto presto una fine e speravo di classificare quel periodo come un brutto capitolo del libro, niente di più. Cercavo di convincermi che sarebbe stato così, ma il mio modo pessimista di vedere le cose aveva sempre la meglio, nonostante cercassi di sopraffarlo.

Tra un pensiero e l'altro le baciai la guancia, lei mi abbracciò e per un attimo chiusi gli occhi.

Alcune volte mi tornava in mente l'assurdo pensiero che più di tre anni prima mi passò per la testa e che fortunatamente ignorai.

Certe volte, quando guardavo Charlotte domandavo a me stessa come un tale pensiero fosse stato in grado solo di sfiorarmi, come ero riuscita a pensare che l'aborto fosse l'unica soluzione per cancellare la cosa migliore della mia vita, per la quale ormai vivevo.

La paura che provai appena mi resi conto dell'esistenza di un piccolo essere dentro di me non era una scusa abbastanza grande e non giustificava il mio pensiero.

Ormai non potevo immaginare più la mia vita senza di lei, non volevo. Lei era la ragione che mi faceva svegliare la mattina, il suo sorriso era il mio desiderio alla vista di una stella cadente.
Come avevo solo potuto pensare di rimediare ad un apparente sbaglio per poi distruggere completamente la mia vita?

Alcune volte ci pensavo e subito dopo aver riflettuto, ringraziavo chiunque fosse stato ad impedirmi di agire d'impulso, senza pensare che quel piccolo essere, alla fine, si sarebbe rivelato la cosa più preziosa.

Charlotte alla fine ritornò in salotto, probabilmente a giocare o a guardare la televisione ed io continuai a prepararle i suoi amati dolci.

Quel semplice pomeriggio mi ricordava tanto quanto andava tutto bene, quando tutto era al suo posto, quando tutto era normale. Ma ormai non lo era più.

Fuori pioveva già da un paio d'ore e il rumore delle goccioline d'acqua che sbattevano sui vetri mi calmava.

Presi dal frigorifero del latte e lo versai in un bicchiere per Charlotte; lei amava fare merenda bevendo un po' di latte.

Il telefono squillò all'improvviso, facendomi sussultare. Posai sul tavolo il bicchiere, afferrai il telefono e risposi.

"Pronto?" dissi mettendo l'apparecchio elettronico tra la mia spalla e l'orecchio, continuando a preparare i biscotti al cioccolato.

Tunnel; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora