8. La peggiore paura

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8. La peggiore paura

Appena misi piede fuori dall'ospedale, la forte luce del sole mi fece uno strano effetto agli occhi.

Quel giorno faceva particolarmente caldo e l'assenza di vento rendeva l'aria ancora più soffocante.

Le foglie dei grandi alberi che circondavano tutto il parcheggio dell'ospedale erano perfettamente immobili, come se fossero appese in aria.
Il cielo era limpido e le poche nuvole bianche che c'erano gli davano un aspetto ancora più tranquillo e rilassante.

Nel frattempo, Charlotte piangeva ancora. Da quando aveva visto l'ago in mano alla dottoressa, non aveva più smesso di strillare e di tremare.

La presi in braccio e lei mi strinse. Appoggiò le sue guance bagnate sul mio collo e ogni volta che piangeva le sue lacrime arrivavano a contatto con la mia pelle.

"Piccola, non piangere" le sussurrai accarezzandole i capelli. "Ormai è finito".

Quelle parole, però, non servirono a calmarla. Charlotte continua a piangere senza sosta.

Quando arrivammo alla macchina, dopo averla sistemata, presi la borsa.

"Guarda un po' chi ho qui come me" dissi catturando la sua attenzione.
Charlotte mi guardava con gli occhi spalancati, immobile e concentrata su cosa la mia borsa potesse contenere.

Lentamente, tirai fuori il suo pupazzo preferito, il cane viola di peluche e, appena lo vide, sfoggiò un enorme sorriso.
Lo prese e lo strinse tra le braccia per poi dargli alcuni piccoli colpetti sulla testa.

Sorrisi.
"Lo sai cosa mi ha detto prima?" le chiesi lasciandole un bacio sulla fronte.

La bambina mi guardava mentre ascoltava ogni mia parola attentamente. Ogni volta che faceva quello sguardo vedevo in lei la stessa espressione di Justin.

"Mi ha detto che non devi piangere" le risposi. La bambina si asciugò le lacrime con il dorso della mano e strinse ancora una volta il suo pupazzo.

Mi misi seduta accanto a lei.
"Ti ricordi quando gli si era scucita la zampetta?"

Charlotte guardò il cane viola e delicatamente gli toccò la zampa in questione.

Annuì e riprese a guardarmi.
"Quando l'avevamo cucita lui aveva pianto?"

Negò e si toccò il braccio sinistro all'altezza del cerotto che segnava il punto in cui le avevano infilato l'ago poco prima per delle analisi.

Le sorrisi e le accarezzai la guancia.

"Va bene, tesoro?"

"Va bene, mamma"

***

Mi mancava davvero fare quella passeggiata, respirare quell'aria e liberare un po' la mente, soprattutto perché quel giorno avevo tanti pensieri da scaricare.

Il sole se ne stava lentamente andando e il cielo iniziava a prendere uno strano, ma bellissimo, colore.

Il mare era agitato, ma il rumore che le onde provocavano quando si infangevano sugli scogli era rilassante e benefico.

Quel posto mi piaceva così tanto che per tutto il tempo era riuscito a distrarmi dalla malattia che affliggeva Charlotte. Presto avrebbe iniziato la prima seduta di chemioterapia e non sapevo se essere sollevata o meno.

L'avrebbe aiutata, però allo stesso tempo sapere che la mia bambina era costretta ad affrontare cose del genere mi provocava una stretta al cuore.

Non sapevamo ancora con certezza quando sarebbe durata la cura, forse poco, forse tanto.

In me nutriva l'insulsa speranza di una specie di miracolo che in qualche modo avrebbe potuto curare Charlotte. Sapevo benissimo che era come desiderare la Luna, però ci speravo ugualmente. Ero arrivata a tal punto da sperare in ogni cosa, anche nella più folle, perché ne sentivo il bisogno. Ero perfettamente consapevole che senza un briciolo di speranza sarei morta.

***

"A cosa stai pensando?" mi chiese. Alcune volte odiavo il fatto che Justin mi conoscesse come le sue tasche. Lui sapeva perfettamente cosa significasse anche un mio semplice sguardo e questo molte volte mi metteva un po' in soggezione.

Mi strinsi nelle spalle, sperando si arrendesse e mi lasciasse un po' da sola, con i miei pensieri anche se questo non mi avrebbe fatto molto bene.
"A niente, credo"

Si mise accanto a me e studiò con attenzione ogni dettaglio del mio viso.
"Non si può pensare a niente"

Odiavo il fatto che avesse una risposta sempre pronta a tutto, però allo stesso tempo mi piaceva il suo modo di fare. Mi dava del filo da torcere.
"Sto pensando a quando Charlotte inizierà le sedute di chemioterapia"

Justin mi mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Intravidi una scintilla di tristezza e rassegnazione nei suoi occhi ogni volta che si toccava l'argomento. Poteva nascondere la sua preoccupazione agli altri, ma non a me.

"Perché pensi sempre e solo a quello?"

"Perché non riesco a pensare ad altro" risposi semplicemente.

Justin, infine, ribattè con una domanda.
"Hai paura?"

Annuii. "Sì, Justin" conclusi. "Ho paura. Tu, invece? Tu hai paura?"

Per un attimo evitò il mio sguardo, poi però si riprese.
"Direi di sì"

Iniziai a guardare di nuovo fuori dalla finestra. Era tardi e mi sarebbe servito dormire un po', ma non ce la facevo.

"Ho provato tante volte paura, eppure non era mai la stessa.
Ad esempio, quando avevo capito che mia madre era morta avevo paura del vuoto che lei avrebbe lasciato nella mia vita. Mi sentivo vuota e quella sensazione mi provocava terrore. Non volevo restare sola e, insomma, lei mi aveva lasciata sola"

Justin continuava ad ascoltarmi. Lui voleva sempre star a sentire quello che dicevo ed era una delle cose che amavo di più di lui. Justin era stato il primo, dopo anni, che sembrava interessato alle mie storie. Il primo che aveva prestato attenzione a me, dopo tanto tempo.

"Quando uscivo di casa con te, le prime volte, avevo paura. Era una paura malata, temevo di non riuscire a controllare la situazione e in quei momenti la mia stessa paura mi soffocava. Dovrebbe essere un campanello d'allarme che ci avverte del pericolo, ma per me non era affatto così. La paura mi toglieva la vita"

Mentre lo raccontavo, riprovai la sensazione che quel momento fosse ancora vivo in me e un brivido attraversò il mio corpo.

"Poi" ripresi con un po' di titubanza "avevo paura di amarti, Justin. Quando capii che provavo qualcosa per te, avevo paura. Avevo paura che tu non avresti ricambiato, di rimanere sola e di perdere l'unico amico che avevo"

A quelle parole, Justin sorrise. Non mi guardava, eppure ebbi la sensazione che lo stesse facendo.

"Però, in generale, avevo paura dell'amore"

"Ma perché?"

Scrollai le spalle e sorrisi, dopo tanto tempo.
"Perché non pensavo fosse in grado di generare tutto questo" risposi indicando frettolosamente con la mano tutto quello che avevamo attorno. "Altrimenti non avrei temuto l'amore"

Justin sorrise e mi baciò. Finalmente, dopo tempo, assaporai un pizzico di felicità.

"In ogni caso" continuai "questa paura che sto provando ora è diversa da tutte le altre ed è la più brutta perché se scomparirà porterà via con sé la metà del mio cuore. Se lei se ne andrà io smetterò definitivamente di vivere. E questa volta per sempre"

Alla fine, scoppiai in lacrime. Soffocai ogni mio singhiozzo nella maglia di Justin, ma per quel pianto, diversamente dagli altri, non mi odiai. Anche Justin pianse con me e allora compresi che quello che mi disse una volta era vero.
'Aver paura in due fa meno paura che averla da soli'

Tunnel; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora