5. Nessuna certezza

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5. Nessuna certezza

Il fastidioso rumore della pioggia non accennava minimamente a smettere, nonostante i meteorologici avessero annunciato il bel tempo.

Quel rumore era così fastidioso e anche le mie lacrime iniziavano ad irritarmi. Non volevano smettere, ormai era impossibile controllarle.

Charlotte si era addormentata sul divano ed io ero da più di mezz'ora nella vasca da bagno.
Le mie lacrime continuavano a cadere incessantemente dentro l'acqua ormai non più calda come quando avevo riempito la vasca.

Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi: avevo pianto talmente tanto che mi faceva male la testa e sembrava essere sul punto di esplodere.
Non potevo piangere davanti a Justin, anche se lui lo avrebbe capito ugualmente, ma soprattutto non potevo farlo davanti a Charlotte.

Pensai di nuovo a lei, la quale era perfettamente all'oscuro della situazione. La sua ingenuità era preziosa e le mie lacrime non l'avrebbero distrutta, soprattutto in un momento del genere.

Ad un certo punto, sentii dei passi fuori dalla porta, ma erano troppo pesanti per essere quelli di Charlotte.

"Gen?" domandò Justin bussando alla porta.
Mi risciacquai il viso e velocemente uscii dalla vasca.

Appena Justin aprì la porta la differenza della temperatura delle due stanze mi fece uno strano effetto e la mia pelle rabbrividì sotto l'accappatoio.

Lui mi salutò e io rimasi in silezio. Avevo bisogno di bere dell'acqua fresca e di farmi una bella dormita dato che iniziavo a non sentirmi molto bene.

Le morbide labbra di Justin si appoggiarono delicatamente sopra le mie, ancora bagnate. Il suo respiro si scontrò contro il mio collo non appena portò le sue labbra al lato di esso.

Quel momento mi fece quasi dimenticare il problema che mi affliggeva e che, purtroppo, mi avrebbe afflitto per tanto tempo.

Mentre Justin continuava a lasciarmi umidi baci sul collo, lo abbracciai in modo da non fargli vedere le lacrime che rigavano ancora una volta il mio viso.

Mi guardò in faccia, dopo aver sentito un mio singhiozzo troppo rumoroso.
"Cos'hai?" mi chiese con leggera preoccupazione.

Mi staccai da lui e mi affacciai alla finestra, mi morsi il labbro e chiusi gli occhi.

Respirai cercando di calmarmi e, quando più o meno riuscii a farlo, lo guardai.

Appena glielo dissi provai una terribile fitta al cuore. Vidi i suoi occhi spegnersi e perdere quel loro luccichio di cui mi ero innamorata, ma da un lato probabilmente era successa la stessa cosa anche a me.

***

Cercai con lo sguardo dentro la nostra camera da letto. Pronunciai il suo nome, nella speranza di trovarlo, anche se fu inutile.

Girando per la casa, finalmente, lo trovai. Era davanti a Charlotte, distesa sul divano, addormentata. Justin la guardava a braccia incrociate e il suo respiro era piuttosto irregolare.

"Sei stato qui tutto il tempo?" gli domandai, per poi posare gli occhi sulla mia Charlotte. Aveva le guance leggermente arrossate e quel loro colorito mi faceva venir voglia di baciargliele.

Justin annuì e prese la bimba in braccio con estrema delicatezza, come se fosse la cosa più preziosa del mondo, senza svegliarla.

La portò in camera sua e spense le luci. Justin chiuse la porta alle sue spalle e rimase a guardarla.

Alla fine, come ricordandosi che fossi lì, posò i suoi occhi sopra di me e fece una strana espressione con il viso.

"Il dottore mi ha dato questo" gli dissi tirando fuori dalla mia tasca il bigliettino. Lui lo prese e lo esaminò con molta attenzione.

"Ellen" bisbigliò. "Domani le parlerò".

"Dici che lei saprà cosa fare?"

Justin annuì e rimase a guardarmi. Sapevo perfettamente come si sentisse, ero in grado di percepire il suo dolore e di condividerlo insieme a lui.

Avrei davvero voluto svegliarmi da quell'incubo, ma non potevo. Dovevo solo aspettare, non potevo fare altro e quella mia inutilità mi distruggeva.

Rimasi per tutta la serata a guardare fuori dalla finestra, come se dovessi aspettare qualcosa: un aiuto, una cura, una certezza, anche se mi sarebbe bastata solo una parola di conforto. L'avevo cercata da Justin, ma lui doveva appena trovarla per sé stesso.

Non sapevo cosa sarebbe successo, che scelte ci saremmo ritrovati a fare e cosa sarebbe accaduto a Charlotte, non avevo nessun genere di certezza, niente di niente e questo mi spaventava.

Avevo paura per lei, avevo paura che qualcosa l'avrebbe strappata dalle mie braccia, sebbene l'avessi tenuta stretta. Avevo paura di non essere abbastanza per affrontare una situazione simile: una scelta sbagliata e tutto sarebbe andato distrutto.

Non volevo perderla, non volevo perdere la parte più importante di me. Non potevo.

Fuori la luna non c'era, era coperta dalle nuvole e la notte era buia. Le foglie degli alberi ondeggiavano tranquillamente in aria e la strada era deserta.

Justin entrò nella stanza senza far il minimo rumore.
"Pensavo stessi dormendo" disse quando mi vide. Spostai di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra. Vidi una macchina andare avanti lentamente, per poi svoltare, il leggero vento stava aumentando facendo muovere i rami degli alberi con più forza, ma della luna non c'era ancora traccia.

Non avendo più niente da vedere o forse non volendo più vedere qualcosa, chiusi la finestra.

"Gen" sussurrò Justin con voce stanca, venendo vicino a me. "Comunque se questo può consolarti, anche io ho paura".

"Perché dovrebbe consolarmi?"

Scrollò le spalle e guardò fisso il pavimento.
"Non lo so, magari aver paura in due fa meno paura che averla da soli. Non credi?"

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