19. Tu non sei le tue paure

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19. Tu non sei le tue paure

Un raggio di sole penetrò oltre il morbido tessuto delle tende, arrivando dritto sul mio viso. Allungai la mano verso sinistra e solo quando continuai a sentire il vuoto accanto a me ricordai di essere da sola nella stanza d'albergo.

Odiavo svegliarmi ed essere sola.

Avevo dormito davvero poco quella notte, ero stanca, eppure non sarei rimasta sotto le coperte nemmeno per un altro minuto. Avevo trascorso ogni singola ora a pensare a cosa sarebbe successo il mattino seguente, a come avrei affrontato la situazione e se sarai stata all'altezza di un compito così importante, a come avrebbe reagito mio padre e a che decisione avrei preso.

"Ciao Gen"

La voce metallica dall'altro capo del telefono non mi permise di capire quali fossero le vere emozioni di Justin, anche se di primo impatto sembrava abbastanza tranquillo.

"Mi sei mancata"

Sorrisi dolcemente e abbassai lo sguardo nonostante lui non potesse vedermi.

"Come stai?" continuò; ero sicura che Justin fosse ancora a letto.
Quella domanda posta proprio da Justin, poiché a lui non potevo mentire, serviva soprattutto a me per guardare in faccia la realtà.

Sospirai e mi morsi il labbro inferiore. Perché doveva essere tutto così complicato?

"Com'è stato tornare lì dopo tutto questo tempo?"

Justin continuava a farmi delle domande per il semplice fatto che mi conosceva e sapeva benissimo che quando avevo così tante idee e pensieri per la testa era meglio aiutarmi ad iniziare un discorso sensato.

Mi morsi di nuovo il labbro: il nervosismo che provavo da tutta la situazione inziava a venir fuori, in un modo o nell'altro.

"È stato... strano" sussurrai cercando di risultare sicura di me, eppure accadde il contrario.

Justin non disse nulla, però il solo fatto di essere lì a parlare al telefono con me mi calmava.

"Va tutto bene?" chiese alla fine, stanco del mio silenzio.

Negai con il capo lentamente mentre il silenzio si impadroniva ancora una volta della nostra telefonata.

"Genesis" mi chiamò.

Mi affacciai alla finestra: la mia camera godeva della vista su una delle principali vie della città, affollata tanto da sembrare un formicaio. La frenetica vita cittadina sembrava non avere una fine e, dal mio punto di vista, nemmeno uno scopo.

"Lo so che non stai bene"

Sospirai e mi tirai leggermente i capelli per la frustrazione.
Aveva ragione, come sempre.

"Ieri sera è successo di nuovo, Justin. È stato orribile" dissi; dall'altro capo del telefono non ebbi risposta. "Mi sentivo come sott'acqua: stavo per essere soffocata dalle mie stesse emozioni"

Il solo pensiero dell'altra sera mi fece rabbrividire: erano anni ormai che non succedevano episodi come questi ed ero certa di aver superato il problema, ma dopo che a Charlotte venne diagnosticata la leucemia mi ricredetti.

"Fortunatamente sono riuscita a riprendere il controllo della situazione e ora sto bene, spero" conclusi incerta.

Justin sospirò a lungo, probabilmente si stava maledendo mentalmente per avermi lasciato intraprendere il viaggio da sola.
"Mi dispiace di non essere stato lì con te" disse con un filo d'amarezza che mi fece provare una strana sensazione. "Né ieri, né ora, né domani"

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