9. Un'oscurità perenne

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9. Un'oscurità perenne

Il sole era alto e i suoi raggi riflettevano la luce su tutta la spiaggia, illuminando fin troppo ogni singolo granello di sabbia. Faceva caldo, tanto caldo e attorno a me c'erano tante persone, soprattutto bambini che si rincorrevano o giocavano.

Di tanto in tanto, lanciavo qualche occhiata a Charlotte sulla riva del mare, intenta a costruire un castello di sabbia. Aveva un bellissimo cappellino rosa e il costume del medesimo colore, il quale però, era completamente ricoperto di sabbia.
La bambina era a qualche metro di distanza da me e alcune volte mi si avvicinava per ripararsi un paio di minuti sotto l'ombrellone dal sole cocente o per bere un po' d'acqua.

Lei era così adorabile e ogni volta che i miei occhi si incrociavano con i suoi non potevo fare a meno di pensare a quanto le volessi bene.

Però, all'improvviso, quando alzai di nuovo lo sguardo nel punto in cui avevo lasciato Charlotte pochi istanti prima, lei non c'era. Mi alzai e la cercai, la chiamai e domandai a tutte le persone che incontravo se l'avessero vista, ma di lei nemmeno l'ombra.

L'avevo persa.

***

Per tutto il tempo non ero riuscita a togliermi dalla testa il sogno fatto la notte. Provavo solo angoscia, era come una catena avvolta attorno al mio corpo che mi impediva di ritornare a galla.

Correvo ininterrottamente per quel lungo viale alberato da ormai più di un'ora. Non mi ero fermata nemmeno una volta per riprendere fiato e le gambe mi facevano male. Non avevo mai corso per così tanto tempo e, quando vidi il sole sorgere, compresi che forse sarei dovuta tornare indietro.

Tutto il viale, circondato da grandi alberi, era ovviamente deserto a quell'ora del mattino.
Quando mi fermai, fu come incominciare di nuovo a respirare. Mi appoggiai al tronco di un albero e rimasi immobile per un paio di minuti, giusto per riprendere fiato e per guardare il sole sorgere.

Quello era un nuovo giorno e chissà cosa mi avrebbe portato. Prima della malattia di Charlotte, non prestavo molta attenzione al tempo che avevo, che tutti noi abbiamo, a disposizione, però ormai avevo compreso che ogni giorno, ogni singolo istante era un dono.

***

Rientrai a casa poco prima delle sette e, lentamente, tutto iniziava a prendere vita, di nuovo.

"Non capisco proprio dove tu trovi la voglia di uscire di casa alle cinque del mattino solo per andare a correre" disse Justin appena mi vide entrare. Dai suoi capelli spettinati e dal suo sguardo perso, dedussi che si era appena alzato.

Soffocai una risata e mi tolsi le scarpe.
"Avevo bisogno di fare qualcosa" risposi avvicinandomi a lui e dandogli un veloce bacio.

"Io preferisco dormire"

Mi misi a ridere e gli diedi un leggero colpo sulla spalla.
"L'ho notato. Vuoi il caffè?"

Justin annuì e, sbadigliando, si trascinò fino ad una sedia.

"Non vorrei riprendere l'argomento, però mi sento in dovere di dirtelo" bofonchiò. "Dormi troppo poco".

Alzai gli occhi al cielo e versai il caffè nella tazza.
"Non è vero. Dormo quanto è necessario".

Justin fece una smorfia.
"Dormirai, se va bene, quattro ore al giorno".

Sbuffai.

"Lo sto dicendo per te".

Mi girai e lo guardai.
"Justin, smettila. Per favore, non sono dell'umore adatto, va bene?"

Bevve un sorso del suo caffè e sussurrò "ormai non lo sei mai".

"Ne abbiamo già parlato" risposi stanca, sperando che la smettesse. "Adesso basta".

Si alzò in piedi e il suo sguardo cambiò drasticamente.
"Non smetterò di parlarne finché tu non cambierai atteggiamento".

Lo guardai, scossi il capo lentamente.
"No, Justin" gli risposi. "Mi dispiace, ma non ci riesco, okay? Credimi, vorrei essere come sei tu, lo vorrei tanto. Tu sei forte, lo sei sempre stato, non come me e io ti ammiro per questo, lo dico sul serio. Però mi stai chiendendo troppo. Io non posso far finta che vada tutto bene, non posso chiudere un occhio o sorridere in pubblico. Non posso far finta che la mia vita sia perfetta quando in realtà si sta sgretolando tra le mie mani.
Hai ragione, forse dovrei solo accettare tutto questo, così potrei vivere meglio, però questo non cambierebbe la situazione. Ricomincerò a star bene solo quando la nostra vita tornerà come lo era prima. Non posso essere felice se so che qualcosa sta uccidendo Charlotte e se sono consapevole che io non posso fare nulla per fermarlo".

***

"Ma ti rendi conto? È una tragedia!" proseguì Meredith fuori di sé. "Come farò adesso? Cosa penseranno le mie amiche vedendo questo schifo?"

Mi massaggiai le tempie e cercai di calmarla.
"Meredith, calmati. Sono solo dei nastri, va bene?"

La giovane lasciò cadere sul tavolo l'oggetto in questione, uno dei tanti nastri bianchi che avrebbero circondato la chiesa il giorno del suo matrimonio, per poi guardarmi.
"Non vanno bene, non vanno per niente bene. Colin ha sbagliato di ordinarli: sono chiaramente dei nastri adatti per un battesimo, ma non per un matrimonio.
Mi spieghi cosa faccio adesso?"

Sbuffai e analizzai un nastro. Personalmente, non ci trovavo nulla che non andasse bene, però non glielo dissi per non peggiorare il suo stato d'animo.
"Puoi andare a cambiarli".

"No" sbottò Meredith. "Non posso".

Mi misi seduta su una sedia e chiusi gli occhi per un momento. Forse aveva ragione Justin, forse avrei dovuto dormire di più, ma sapevo benissimo a cosa sarei andata incontro cadendo nella dolce tentazione del sonno e in quel caso sarebbe stato peggio. Non volevo iniziare ad avere di nuovo quegli incubi terribili, come accadeva in passato. Se rimanevo sveglia questo non era un problema o almeno non lo era fino ad un certo punto.

"Ehi, mi stai ascoltando?" domandò Meredith con la sua voce squillante, interrompendo i miei pensieri.

Mi alzai e mi scusai, poi tornai a casa.

In macchina non feci altro che pensare a cosa sarebbe successo il giorno successivo: Charlotte avrebbe avuto la prima seduta di chemioterapia. Avrei voluto parlarne con Justin, ma ero sicura che alla fine lui si sarebbe arrabbiato e mi avrebbe accusata di pensare sempre e solo a quello.

Forse era vero, forse ci pensavo troppo, eppure non riuscivo ad evitarlo. Quando qualcuno a cui tieni sta male, alla fine inizi a star male anche tu. Quando due anime sono collegate, quando due cuori si fondono in uno solo, si provano le stesse sensazioni. Si condividono dunque l'amore, la gioia, la speranza e la sofferenza. Bastano poche parole per completarsi a vicenda e altrettante per farsi del male. Ci si ama allo stesso modo e ci si distrugge allo stesso modo.

Quando conobbi Justin, cambiai idea sul concetto che avevo di amore, ma in quel momento ebbi la sensazione che dopotutto anche quel sentimento, in un modo o nell'altro, ci conduce verso la nostra distruzione.

Tutto ciò che vediamo, che tocchiamo, che proviamo e che siamo è destinato a morire. Il ciclo della vita si conclude con un'oscurità perenne, ma è mai possibile che tutto faccia parte di essa?

***
Posso rendermi conto che, magari, fino a questo punto la storia potrebbe risultare un po' noiosa e monotona, ma volevo solo dire che dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della vicenda. Inoltre ci tenevo a precisare che questo problema non sarà l'unico che si riscontrerà nel corso della storia, perché ce ne saranno altri e presto inizieranno a manifestarsi.

Detto questo, grazie per aver letto il capitolo!

Tunnel; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora