34. Essere forti con il sorriso

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34. Essere forti con il sorriso

"Fai attenzione, Justin" lo ripresi, trattenendomi nel dargli una gomitata solo dopo aver ricordato cosa teneva in mano. "Così rischi di svegliarla"

Lui mi lanciò una breve occhiata. Fidati di me, mi disse con lo sguardo, e io lo feci. Percorremmo fianco a fianco tutto il corridoio, fino ad arrivare alla porta della camera di Charlotte, la quale era appena socchiusa.

"Forza, entra" ordinò Justin; con un sorriso sul volto, spalancai la porta. L'unica luce che illuminava la stanza proveniva dalle candeline sulla torta che Justin teneva in mano.
Appena mettemmo piede nella stanza, la bimba si svegliò: la sua rapidità nell'aprire gli occhi mi fece pensare che in realtà fosse già sveglia da tempo. Quando capì cosa stesse accadendo iniziò a battere le mani e a ridere di cuore; la sua felicità era talmente genuina e pura che mi mise addosso una leggera malinconia. Ognuno di noi nasce pieno di voglia di vivere, di sperimentare e di conoscere cose nuove. Negli occhi di ogni bambino si possono leggere tante cose che, purtroppo, con il passare del tempo tendiamo a perdere o addirittura dimenticare.

Charlotte non smise di ridere nemmeno quando spense le quattro candeline che si trovavano sopra la sua torta.
Guardava me e Justin con vivo interesse; nei suoi occhi marroni, i quali si spostavano velocemente su di me e su suo padre, si potevano leggere tutti i suoi sentimenti. Charlotte era elettrizzata, entusiasta e piena d'energia, tutti comportamenti tipici del suo carattere, anche se nell'ultimo periodo era un po' cambiata a causa della malattia e tutto ciò che essa comportava.

Justin si mise seduto sul suo letto, mentre la bambina era ancora sotto le calde coperte rosa.
"Buon compleanno, piccola" disse Justin con un filo di voce. "Spero che questo giorno sia speciale per te quanto lo è per me. Io e la mamma ti vogliamo bene, ricordatelo sempre, anche quando ti impediamo di fare qualcosa che ti piacerebbe, come ad esempio mangiare la cioccolata a cena o comprare l'intero negozio di giocattoli". Justin ridacchiò, ma la bimba continuava a guardarlo con un'espressione seria e consapevole di cosa il padre stesse cercando di dirle.

"Ti vogliamo bene, Charlotte, anche se molte volte ti obblighiamo a fare delle cose che preferiresti evitare. Lo facciamo per te, non dimenticarlo mai"
Justin mi lanciò un'occhiata, come per chiedermi se fosse il caso di dire altro. Scossi il capo lentamente: non volevo che esagerasse, in fondo era pur sempre il giorno del suo compleanno.

"Ti vogliamo tanto bene, non immagini quanto"

Il biondo la prese in braccio e la baciò sulla fronte con una delicatezza che sembrava forzata per un ragazzo di quell'età, eppure in quel momento fu la cosa più semplice e naturale del mondo.

***

Quello era un giorno speciale, io e Justin lo avevano atteso con impazienza da quando i medici ci avevano dato una delle più belle notizie degli ultimi tempi. Charlotte avrebbe potuto tornare a casa il giorno del suo compleanno; la piccola avrebbe spento la sua quarta candelina sopra la torta non in un freddo letto d'ospedale, bensì a casa sua. Le condizioni della bambina si erano finalmente stabilizzate e, sperando che non ci fossero nuovamente problemi, i dottori le avevano permesso di ritornare a casa per un tempo indeterminato, o almeno così tutti sognavamo.

Nonostante tutto, trascorremmo il compleanno di Charlotte in perfetta armonia. Quella fu l'unica giornata durante il periodo della malattia della bambina in cui non pensai neanche una volta agli ospedali, alle medicine e ad un dottore in camice bianco che mi diceva che era necessario aumentare i cicli della chemioterapia.
Quando Charlotte scartò il regalo che io e Justin le avevamo comprato non mi passò per la mente la scena alla quale ero stata costretta ad assistere solo qualche settimana prima, quando ebbi veramente paura che lei fosse prossima alla morte; in quel momento non pensai alla possibilità di perderla. Non mi ricordai del fatto che mia figlia non avesse più i capelli, non pensai a quando la sentivo piangere dopo essere ritornata a casa dall'asilo per il semplice fatto che fosse diversa dagli altri bambini. In quel momento era solo Charlotte, e mi bastava, dannazione, lei mi basterà sempre. Per me sarà abbastanza con o senza capelli, fragile o forte, in lacrime o con il sorriso, tra le mie braccia oppure in una stanza d'ospedale.

Mentre camminavamo tutti e tre sul lungomare della città, con Charlotte che teneva la mano a Justin e a me, realizzai di star sbagliando tutto. Non mi serviva trascorrere le notti a pensare, non era necessario distruggersi fisicamente e psicologicamente per capire cos'era giusto fare, non avevo bisogno di tutto questo.
Quando Charlotte strinse più forte la mano a me e a Justin, prese una piccola rincorsa per poi staccare per qualche istante i piedi da terra, sorretta dai suoi genitori, scoppiò in una rumorosa risata.

Avevo sprecato tutti quei mesi a piangere pensando a cosa potessi perdere, non avevo fatto altro che togliere tempo a ciò che era veramente importante. La malattia che stava consumando Charlotte aveva avuto lo stesso effetto su di me: mi aveva tolto la capacità di pensare, il potere di riflettere e il dono di essere più forte difronte le mille difficoltà della vita.
Avevo perso troppo tempo a pensare a quanto stessi rischiando di perdere, senza però ricordarmi quanto avessi già. La paura mi aveva fatto chiudere gli occhi e mi aveva fatto scegliere di piangere qualcosa che però non mi era ancora stato tolto. Mi ero rassegnata al fatto di dover per forza soccombere davanti agli ostacoli che la vita mi poneva senza la nostra migliore arma: il sorriso.
Perdersi d'animo equivale ad essere sconfitti già in partenza, ma rassegnarsi davanti a tutto vuol dire rifiutarsi di intraprendere una battaglia.

Difendi ciò che ami, senza darlo per scontato ma nemmeno sapendo in cuor tuo di averlo già perso.

"Sono felice che finalmente si stia divertendo" mi confessò Justin mentre eravamo seduti su una panchina. Entrambi guardavamo Charlotte andare sull'altalena e giocare assieme ad un'altra bambina. "So che è difficile per tutti, ma dobbiamo cercare di non farle pesare troppo ciò che sta passando"

Io annuii, nel frattempo Charlotte stava mostrando il suo braccialetto alla sua nuova amica.
"Sono sicura che ce la farà, Justin, ne sono certa. Sta migliorando, forse questo non vuol dire che sta guarendo, ma lei migliora di giorno in giorno ed è impossibile non notarlo. Sarà una persona molto forte in futuro"

Lui fece una smorfia, poi mi sorrise.
"Per l'età che ha lo è già abbastanza"

Non è vero che sono sempre i bambini ad imparare da quelli più grandi di loro. Ognuno di noi, indipendentemente dall'età, ha qualcosa da insegnare a chiunque voglia prestargli attenzione: questo è il dono di apprendere la conoscenza dalle esperienze altrui.
Charlotte, senza dirmi una singola parola, a soli quattro anni, mi insegnò qualcosa di essenziale. Lei, volendolo oppure no, mi insegnò più di quanto chiunque possa pensare; ciò che appresi è l'arma segreta di molti, il sogno di tanti e la vittoria di pochi: Charlotte mi insegnò ad essere forte con il sorriso.

***

Ci tengo a specificare che questo è un capitolo molto importante, se non fondamentale per lo svolgimento della storia.
Spero vi sia piaciuto e se avete qualcosa da dirmi o da chiedermi potete tranquillamente contattarmi su wattpad o su twitter (artvdrew), anche se avete qualche consiglio per migliorare la storia.
Un bacio💋

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