23. Non sprecare il tuo tempo

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23. Non sprecare il tuo tempo

"Alla fine ho lasciato stare e non gli ho più fatto quella domanda" risposi a Justin appena mi chiese quale fu la fatidica risposta di mio padre alla mia richiesta di sapere la verità. "Apprezzo già il fatto che lui si sia aperto così tanto con me. Abbiamo parlato come non abbiamo mai fatto, finché si è bloccato di nuovo, ma prima o poi scoprirò la verità"

Il buon profumo della coperta color crema, la quale mi isolava dalla neve che aveva iniziato a cadere durante la notte, rendeva quel caldo letto ancora più invitante.
Chiusi per un attimo gli occhi ed immaginai di essere a casa: per poco fu tutto perfetto, finché la voce di Justin dall'altro capo del telefono mi fece tornare alla realtà.

Ero a Toronto da quasi una settimana e il tempo sembrava essersi fermato. Il desiderio di tornare a Fort Myers era sempre più forte, ma avevo un importante compito da svolgere in quella città canadese.

"Credi che te lo dirà, finalmente?" domandò Justin, cogliendomi di sorpresa.

Sospirai e mi morsi il labbro. Avrei mai saputo il motivo che aveva spinto mio padre a lasciarmi andare?
"Ieri abbiamo avuto un confronto che mai avrei pensato di avere, quindi a questo punto tutto è possibile. Io lo spero, ho bisogno di saperlo"

"Lo spero anche io" mi rivelò Justin in completa sincerità. "Lo spero per te. Nonostante la sua rivelazione non riscatterà mai gli anni che tuo padre ti ha fatto perdere, è giusto che tu sia a conoscenza della verità. La tua vita non deve essere una bugia"

Eppure, lo è stata, pensai senza aprire bocca, lo è stata fin per troppo tempo. La mia vita non ha iniziato ad essere una bugia quando me ne andai da casa, non è iniziata ad esserlo quando ti conobbi, Justin, né quando mia madre se ne andò. Probabilmente, la mia vita è una bugia da quando sono venuta al mondo ed è per questo motivo che mio padre non riesce a darmi delle spiegazioni, non riesce a guardarmi negli occhi e non riesce ad essere sincero nei miei confronti. Forse tu fai difficoltà a capire, Justin, ma non sempre chi sta in silenzio non parla per nascondere necessariamente qualcosa.

"Prima che tu vada, c'è qualcuno che vuole parlare con te" disse Justin. Compresi subito chi fosse ed in modo automatico sorrisi.
La voce di Justin arrivò dal mio cellulare come un borbottio, finché Charlotte non prese parola.

"Ciao piccola" dissi, "come stai?"

La sua vocina, acuta e vivace, mi ricaricò completamente. Mi bastò sentirla parlare per poco tempo e subito tornai ad essere determinata e tenace: Charlotte mi fece tornare sulla retta via con delle semplici parole e senza nemmeno volerlo.

"Tornerai presto a casa?" domandò la piccola poco prima che la chiamata terminasse, con un filo di voce.

Sospirai e per un attimo rimasi in silenzio. Non volevo farle una promessa che forse non ero in grado di mantenere, ma non volevo nemmeno farla preoccupare inutilmente o farle credere di essere sola.

"Certo, tornerò presto" risposi, "ti voglio bene"

***

"Non è male per essere una stanza di una clinica di riabilitazione" dissi, guardandomi attorno. La camera non era molto grande, ma aveva tutto il necessario ed oltre ad essere ordinata, era anche accogliente.

Mio padre sbuffò e scosse il capo in modo deciso.
"È un bell'ambiente per le persone che non lo frequentano troppo spesso, ma non per chi ci vive" ammise, "io non voglio stare qui"

Quell'affermazione mi fece sentire a disagio e mi fece pensare di aver giudicato la situazione troppo in fretta. Dopotutto non sapevo quasi più niente di mio padre e della sua vita.

"Non sei obbligato a stare qui" risposi con sincerità.

Lui sorrise quasi amaramente, facendomi sentire ingenua e di nuovo bambina. Chissà cos'aveva passato quell'uomo negli ultimi anni, chissà cosa lo aveva portato ad essere così, chissà perché si era lasciato andare.

Sul volto aveva un'espressione indecifrabile: quell'uomo, nel corso degli anni, era diventato ancora più complicato di quanto lo era in passato. Lui era la classica persona che nessuno riesce mai a capire: per un motivo o per un altro risultava essere sempre apatico e distaccato nei confronti di chiunque, anche di chi cercasse di aiutarlo e sicuramente questo era una delle ragioni che lo aveva portato in quel vicolo cieco che era la solitudine.

"Se non voglio rischiare di avere un altro infarto, ma questa volta che mi porti via da qui, questo è l'unico posto dove posso stare" disse.

Ogni volta la sua sincerità mi stupiva, eppure le sue affermazioni erano più che prevedibili.

La stanza di mio padre si trovava al secondo piano dell'edificio e dalla finestra ero in grado di scorgere la strada sulla quale avevo camminato avanti e indietro solo il giorno prima, nella speranza di riuscire a chiarire con quell'uomo la questione una volta per tutte. Su quella fredda e comune strada avevo continuato a pormi delle domande, alle quali però non ero in grado di rispondere. Ogni cosa su quella strada sembrava complicata e lontana da dove ero io, soprattutto i miei obiettivi. In quel momento avevo la risposta alle mie domande davanti a me, però non avevo il coraggio di dire nulla.
Io e mio padre eravamo riusciti a non parlarci per anni interi, ma quel pomeriggio mi chiese di venire da lui, senza una reale motivazione. Solo pochi giorni prima aveva brutalmente rifiutato il mio aiuto - e il mio amore - finché qualcosa in lui non cambiò di colpo, obbligando me stessa a capire cosa lo avesse spinto ad essere com'era.

Minuti interminabili di silenzio delinearono le nostre povere conversazioni; quel silenzio fu come una pausa di cui entrambi avevamo bisogno.

"Perché mi hai chiesto di venire qui?" domandai quando trovai dentro di me un briciolo di coraggio: forse avevo realizzato che non avevo più nulla da perdere. "Devi dirmi qualcosa?"

Si passò frustrato una mano sul viso, poi finalmente prese parola.
"Perché sei tornata?"

Perché ero tornata da lui? Non di certo perché mi sentivo costretta, non perché volevo fargliela pagare, non perché avevo bisogno di lui, non perché volevo avere qualcuno a cui addossare tutte le mie colpe e le mie insicurezze.

"Perché ne sentivo la necessità" risposi, "sentivo il bisogno di strarti accanto. Solitamente ci si comporta così nei confronti di una persona a cui si vuole bene"

"Tu sei fin troppo buona con me" disse, "nonostante tutto ciò che ti ho fatto, tu sei riuscita a perdonarmi e non so quante persone ne sarebbero state capaci: il tuo è un dono. Saper perdonare è un'arte al giorno d'oggi"

Estrasse dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette e, dopo averne accesa una, spalancò la finestra in modo da far uscire fuori dalla stanza l'odore di fumo.
Mio padre fumava dapprima che venissi al mondo: quando era frustrato, agitato o anche solo annoiato, con la solita espressione, accendeva una sigaretta. Il passare del tempo e l'avanzare dell'età non gli avevano fatto perdere il vizio del fumo e sicuramente un semplice cartello che imponeva a chiunque si trovasse all'interno della clinica di non fumare non mandava all'aria i suoi piani.

"Saresti disposta a farmi un favore, Genesis?" chiese, dopo aver finito la sua amata sigaretta.

Annuii, lui chiuse con un gesto veloce la finestra, anche se la puzza di fumo era ancora presente nella stanza.
"Ormai qui nulla ti appartiene più, a casa hai delle persone che ti aspettano e hanno bisogno di te, sicuramente più di quanto ne ho bisogno io. Non sperecare il tuo tempo"

"In realtà l'unica persona che qui sta sprecando il suo tempo sei tu, ma non con me. Non farti sprecare il tempo, non trascurare l'unica cosa che ormai ti è rimasta"

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