Capitolo 1 - UNA NOTTE SENZA LUNA - prima parte

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Il rintocco delle campane violò la spessa coltre di silenzio che imperava in quell'umida notte di inizio estate. La guardia del portone centrale della Cattedrale Celeste di Florentia sbadigliò sonoramente, al suono del dodicesimo colpo di batacchio. Il suo commilitone, appoggiato alla sua alabarda, lo fissò annoiato. 

L'enorme cattedrale era la rappresentazione in terra del potere della Grande Madre. Lo stile architettonico sfarzoso e la pregevole fattura dei materiali erano la testimonianza di come gli uomini non avevano lesinato i propri sforzi, fisici ed economici, per celebrare i loro divini protettori. 

L'imponente porta d'ingresso era alta quasi otto metri e costituita da assi di robusto ebano, lungo le quali si incrociavano fasce e borchie di pesante metallo. Essa era posta al centro di una grande struttura orizzontale, sostenuta da una doppia fila di pilastri finemente intarsiati con disegni floreali. Due mastodontiche statue di fieri cavalieri sorreggevano un arco più ampio. Le figure, agghindate con pregevoli corazze, torreggiavano con la loro mole nello spazio antistante all'entrata, incutendo soggezione a chiunque si avventurasse in quel luogo. Sopra di esse, spiccava una grande volta, dove erano scolpiti i Sei Cherubini, i divini messaggeri della giustizia, scesi sulla terra per la salvezza del genere umano. 

Oltre la sconfinata facciata principale della cattedrale svettavano quattro torri dalle alte guglie a spirale e, in mezzo ad esse, una quinta ancora più alta terminava allargandosi in un grande ambiente dalla forma ellittica. Incise sulle candide pareti esterne, una moltitudine di simboli e rune, placcate con metalli preziosi, descrivevano l'importanza che aveva la cattedrale di Florentia per tutti i devoti del culto della Grande Madre. 

La sua funzione però, non si limitava al mero culto delle divinità: nel raggio di cento chilometri non vi era forse luogo meglio protetto di quell'enorme basilica. Al suo interno, infatti, vi alloggiava un'intera divisione dell'Armata Celeste, l'esercito deputato a proteggere il genere umano dalla minaccia del male, in tutte le sue forme.

«A che ora stacchi?» chiese una delle due guardie.

«Tra un'ora arriva il mio cambio, non ce la faccio più, sto crollando dal sonno».

L'uomo di mezza età si reggeva a fatica sulla sua alabarda, prevalentemente considerata ornamentale visto l'avvento delle armi da fuoco, ma che se maneggiata da mani esperte poteva risultare ancora estremamente letale.

«Stai invecchiando, amico mio. La notte è ancora giovane».

«Perché, tu che cosa hai intenzione di fare?» rispose la guardia sonnecchiante, dopo l'ennesimo sbadiglio.

«Appena mi levo da qui vado a farmi un giro al vicolo dei bordelli. Ho intenzione di chiudere questa fredda nottata tra le calde cosce di qualche giovane ragazza».

«Bravo, bravo, ma come fai con tua moglie?»

«Mia moglie? Le ho detto che siamo carenti di personale e ci tocca fare i doppi turn...ehi, ma cosa è stato?»

Un rumore sospetto fece sobbalzare la guardia.

«Stato cosa?»

«Guarda, si sta avvicinando qualcuno.»

Nonostante fossimo alle porte dell'estate, una spessa coltre di nebbia avvolgeva il tratto di parco che separava la cattedrale dal resto della città. All'interno di essa, una figura dal lento incedere si avvicinava ciondolando verso i due guardiani.

«Sarà il solito mendicante che viene a chiedere un giaciglio caldo dove dormire, oppure qualche ubriacone notturno».

«Sono stanco di questi villici che non sanno stare al loro posto!» disse uno dei due soldati stringendo energicamente l'asta della sua alabarda. «Ora ci penso io a dargli la giusta lezione.» 

***

I soldati, presenti nello spogliatoio della piccola caserma all'interno della cattedrale, erano indaffarati negli ultimi preparativi. Controllavano un'ultima volta che gli stivali fossero puliti e ben stretti e che, l'elegante divisa d'ordinanza fosse in buono stato. 

Appena fuori dalla stanza, quattro militari armati di moschetto erano impettiti, mentre il loro comandante li passava in rassegna. Era un uomo rude, dalla testa glabra, che mal sopportava la mancanza di disciplina dei propri subordinati.

«Voi, là dentro, datevi una mossa!» gridò l'ufficiale agli uomini rimasti all'interno dello stanzino. «Allo scoccare della prima ora dobbiamo esser pronti a cambiare la guardia».

I due soldati risposero all'ordine con un sonoro sbuffo.

Una piccola porticina, ricavata in un angolo della grossa porta principale, si spalancò, facendo uscire i quattro moschettieri. I soldati si allinearono in file parallele presentando le armi al passaggio del loro comandante; seguirono i due destinati a cambiare la guardia, armati di una grande alabarda. Attraversarono il piccolo corridoio che si era formato e, alla fine di esso, si voltarono picchiando sul terreno l'asta della loro arma. Il comandante, con un cenno del capo, indicò ai soldati presenti ai lati della porta, che il loro turno di guardia era finito.

I due non accennavano a muoversi.

Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui nessuno osò parlare, per non violare il rito del cambio della guardia. Infine il comandante spazientito si avvicinò a loro.

«Che succede? Vi siete per caso addormentati?» urlò, a pochi centimetri da uno di essi.

I soldati del turno precedente, con gli occhi completamente sbarrati, non emisero un fiato. Su tutte le furie il comandante si avvicinò ulteriormente, sbraitando come un cane rabbioso a pochi centimetri dall'orecchio di una delle guardie. Bastò la forza del suo respiro, per far scivolare la testa del sottoposto dal collo, facendola rotolare per terra.

L'uomo indietreggiò inorridito.

Dalla cima dell'arcata principale quattro mostruose ombre caddero sul pavimento: erano figure del tutto simili ad esseri umani, ma con il volto trasfigurato dal loro spirito malvagio. Era come se portassero su di esso i segni della loro brutalità. Dalle bocche deformi,  grandi come le fauci di un rettile, spiccavano quattro enormi canini, simili alle zanne di un feroce predatore carnivoro.

I soldati, colti di sorpresa, misero mano alle loro armi da fuoco cercando invano di usarle contro quelle misteriose creature. I loro sforzi risultarono inutili: le ombre si mossero con una velocità tale, da ucciderli ancor prima che potessero esplodere un sol colpo. I due alabardieri sollevarono le armi abbozzando un disperato tentativo di difesa, ma vennero colti di sorpresa da una di quelle creature che era sgusciata alle loro spalle. Mani artigliate penetrarono le gole soffocando per sempre il loro respiro.

Il comandante era talmente spaventato da non riuscire neanche a urlare. Nel disperato tentativo di salvare la pelle, provò a voltarsi e a correre verso l'ingresso. L'imbarazzante sortita si rivelò presto infruttuosa, annullata dalla sola forza di una mano artigliata, che andò ad avvinghiarne il volto rubicondo. 

Il signore dei vampiri, a differenza dei suoi subordinati, non aveva il viso deformato. I suoi lineamenti erano quelli di un uomo dalla rara bellezza, dotato di una folta chioma dai capelli argentei, che brillava alla luce delle stelle. Senza risparmiarsi un sorriso colmo di piacere, strinse con forza sovrumana la testa del malcapitato, facendogli schizzare gli occhi fuori dalle orbite.

LA TORRE SCARLATTA - Destini Intrecciati (Libro 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora