Capitolo 8 - SERVO DEL MALE - prima parte

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Le catene strette gli laceravano i polsi tanto che, l'acuto dolore lo fece rinvenire. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, ricordava soltanto una fortissima fitta simile a un'implosione che gli aveva fatto contorcere le viscere, poi più nulla. Vaghi erano anche i ricordi del periodo antecedente, i fratelli Seth e Richard, il combattimento con i vampiri, Sex Machine e poi quella ragazza. L'ultimo fotogramma impresso nella mente era un sorriso beffardo, che contrastava con l'innocente espressione del suo viso. 

Nonostante la confusione che albergava nella testa e la vista ancora offuscata, il colore argento dei lunghi capelli del tizio che sedeva davanti a lui, fu sufficiente per identificarlo.

«Buongiorno!» esclamò Lothor.

Sedeva sul suo scranno, con il viso appoggiato al pugno sinistro. Alexandros ciondolava davanti a lui, con le braccia legate al soffitto e con altre pesanti catene che lo ancoravano al suolo per le caviglie.

Lo stregone cercò di orientarsi, osservando l'ambiente circostante: si trovava in una fredda grotta dal soffitto ricco di stalattiti, il pavimento, invece, era lastricato con solida pietra. Ovunque in quella stanza, ricavata nelle viscere della terra, erano sparse monete d'oro e preziosi monili di ogni tipo. 

Un tesoro che avrebbe fatto invidia perfino ai più ricchi sovrani del mondo. 

Il signore dei vampiri, suo attuale carceriere, occupava un trono di legno pregiato, riccamente intarsiato di nobili metalli e pietre preziose.

«Non trovi che tanto lusso sia effimero davanti al dono dell'eterna giovinezza?»

Nell'udir le parole del nosferatu, un gorgoglio di sangue risalì dallo stomaco di Alexandos fino alla bocca.

Vlad Lotaresku, il nome con cui era conosciuto secoli or sono, aveva mantenuto intatto il bellissimo corpo, scolpito al caro prezzo della maledizione che lo aveva trasformato in un malvagio non morto emofago.

«Perdonami, ma la strada che scegliete voi della Torre Scarlatta la trovo quantomeno discutibile.»

Il prigioniero lo fissò con sguardo interrogativo.

«...Cioè, avete a disposizione tanto potere, per un tempo davvero troppo breve. Credete nel giro di pochi anni di poter accumulare ricchezze pari alle mie o un numero di seguaci tanto elevato?»

Lothor si alzò dalla seduta, avvicinandosi a un piccolo mucchio di oggetti preziosi.

«...Poi, anche se ci riusciste nel lasso della vostra breve vita, non avreste neanche il tempo di godervele» concluse, passandosi tra le mani una collana di perle appena raccolta dai suoi possedimenti.

«Conosco gente che ha superato i centosessant'anni» rispose Alexandros, sarcastico.

«Vecchie cariatidi che autolimitano i propri poteri per non lasciarsi divorare dal... mi pare che voi lo chiamate Quaresh, giusto?» 

Il vampiro chiuse il pugno stritolando il ninnolo, facendo cadere a terra le preziose perle.

«Invece io, oltre alla giovinezza eterna, posso tranquillamente rompere l'osso del collo di un toro, con la sola forza delle mani.» concluse, vantandosi apertamente delle sue capacità.

«Che vuoi da me?» tagliò corto lo stregone, stanco di sopportare il tedioso monologo.

«Dritto al sodo! Mi piacciono le persone pragmatiche come te!» esclamò il vampiro, che si divertiva a punzecchiare il suo ospite.

«Non posso dire lo stesso, è parecchio che mi annoi con le tue chiacchiere!»

«Giusto,» sorrise Lothor, fingendo di accettare la critica, «ti dirò perché ti trovi al mio cospetto appeso come un salame e non sei ancora passato a miglior vita.»

Il vampiro schioccò le dita: nascosto nell'ombra, fino a quell'istante, un servitore fece rotolare qualcosa sul pavimento, fino a farlo giungere ai piedi di Alexandros. Un conato di vomito gli risalì lungo l'esofago, quando si accorse che si trattava della testa mozzata di Sex Machine.

«A differenza tua, l'inutile tuo amico non ha avuto la stessa fortuna.»

«Va a farti fottere!» gli urlò contro Alexandros, stanco per le continue provocazioni. La rabbia cresceva sempre più all'interno del suo corpo, e con essa, la voglia di ardere vivo il suo loquace carceriere.

Lothor si avvicinò a pochi passi dal prigioniero, calciando la testa del defunto cacciatore di taglie.

«Non esser maleducato, tanto lo so che di lui non te ne frega nulla. Ho fatto delle ricerche su di te amico, e ho visto che non sei quel genere di persona che si fa troppi scrupoli per raggiungere un obbiettivo.»

Alexandros distolse lo sguardo, accusando in pieno la critica che gli era stata rivolta; il suo interlocutore aveva colto nel segno.

«Vedi Lothor, le tue ricerche però, sono state un po' troppo superficiali....»

«Che intendi?»

«...Altrimenti, dovresti averlo saputo che non sarebbero bastate queste catene a tenermi prigioniero!» esclamò spavaldo, in faccia al signore dei vampiri colto alla sprovvista.

Lo stregone aveva fuso le catene con i suoi poteri e le strappò con facilità, allargando semplicemente le braccia. Balzò a terra, e con Lothor immobile a pochi centimetri da lui, si protese in avanti, per stringergli il collo in una presa mortale.

«Addio bastardo!» disse a denti stretti Alexandros, pronto a incenerirlo con uno dei suoi incantesimi di fuoco, del quale era l'indiscusso maestro.

Vide però, che l'espressione di terrore dal volto del vampiro era scomparsa, lasciando spazio ad un diabolico sorriso.

Lo stregone urlò dal dolore, accasciandosi a terra: le sue braccia erano avvolte dalle fiamme, i poteri si erano rivoltati contro di lui.

«Sono al mondo da un sacco di secoli, mi credi davvero così stupido?»

«Che mi hai fatto?» chiese l'uomo, sofferente al tappeto, con le braccia che presentavano gravi ustioni.

«Come? Ancora non l'hai capito? Forse sono io ad averti sopravvalutato!»

Lothor si voltò verso un ingresso alla sinistra.

«Vieni qui, Vanessa.»

«Eccomi, mio signore.» rispose una voce femminile, una voce che Alexandros riconobbe subito.

Era la giovane contadina prigioniera dei fratelli al Titty Twister. Sul volto portava ancora i segni del colpo ricevuto da Seth, ma a differenza di allora, indossava una tunica di colore nero che le scopriva le braccia all'altezza delle spalle. L'innocente volto della diciassettenne tuttavia sembrava esser a suo agio in quel luogo lugubre, come se si trovasse tra le mura di casa.

«Quando, forte dei tuoi poteri, eri tutto preso a massacrare i miei sottoposti, è stata lei, che si era guadagnata la tua completa fiducia, ad applicarti un potente artefatto sulla schiena!»

Lo stregone si passò una mano sotto le vertebre cervicali, sentendo al tatto un oggetto circolare di pochi centimetri di diametro, simile a un medaglione, incastonato sotto la pelle.

«Non sei una vampira, per quello non ho sospettato di te» disse rammaricato, per essersi fatto fregare facilmente, «non ho percepito in te neanche un briciolo di malvagità.»

«Devi sapere che Vanessa è una mia accolita. Una semplice ragazza al mio servizio.»

«Mi dispiace, signor mago» disse candidamente lei, sottostimando il dolore che aveva provocato con quella sua azione «è stato il mio signore a ordinarmelo!»

«Comunque» prosegui Lothor «si tratta di un potente artefatto di un'epoca perduta, quando la magia non era sola prerogativa degli abitanti della Torre Scarlatta.»

Si avvicinò alla sua vittima inerme, bisbigliandogli a pochi centimetri dalla faccia: «Sai, l'ho acquistato secoli fa, in uno dei miei viaggi a Zenobia!»

«Zenobia» ripeté Alexandros, senza tentare di mascherare il suo interesse.

«Zenobia» esclamò Lothor, sicuro di aver fatto centro.

«Vedi, ora so anche il motivo per cui mi stavi cercando.»

LA TORRE SCARLATTA - Destini Intrecciati (Libro 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora