Capitolo 3 - PRESENTE E PASSATO - terza parte

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In quel posto c'era tanta sabbia: un'immensa distesa, che si perdeva a vista d'occhio fino alla linea dell'orizzonte. 

Il ragazzo percorreva le dune sferzate dal vento, caldo come il fiato di un demone, lasciando dietro di sé la lunga striscia delle sue impronte. Erano giorni che camminava in quel monotono panorama, senza alcun punto di riferimento. Un piccolo pezzo di carta, su cui erano stati tracciati degli scarabocchi, era l'unico indizio che aveva per orientarsi. Oltre all'improvvisata mappa, soltanto un nome: Sal Azar. Un nome antico, appartenuto a uno dei primi arcimaghi della Torre Scarlatta. Dalle ricerche effettuate negli archivi, risultava che quell'uomo doveva avere più di centosessant'anni.

"Diamine, sto forse inseguendo un fantasma?" era il pensiero che lo tormentava, da quando aveva intrapreso quel viaggio.

Eppure, a sentire i berberi che gli avevano venduto quella specie di carta geografica, sembrava che un anziano saggio con quel nome, si annidasse in un'oasi sperduta in quella maledetta distesa senza vita. 

L'avevano forse ingannato per quei pochi spicci che l'aveva pagata?

"Non può essere, erano menti piuttosto semplici, non possono avermi fregato."

Dubitava però anche della sua lucidità. 

Erano anni che cercava di comporre il puzzle che aveva causato la morte dei suoi genitori e, ogni volta che sembrava aver trovato un indizio concreto, si ritrovava ad aver perso tempo dietro all'ennesima pista fallace. 

Secondo ciò che aveva scoperto negli archivi, il vecchio, se tale si può definire, era un conclamato storico dalla vastissima conoscenza, quindi l'idea che in un recente passato avesse preso contatti con i suoi genitori, era supportata da una logica consistente. Suo padre Thannis e sua madre Leda erano grandi appassionati di archeologia e avevano passato la vita a rincorrere miti e leggende. Ricordava che, tra i loro racconti di viaggio, gli avevano citato più volte il deserto del Luhanei, il luogo ove si trovava in quell'istante.

"Devono esser passati di qua, per forza." si auto-convinse.

La notte, calò rapida come un battito di ciglia, facendo precipitare di colpo la temperatura. Il tempo era estremo e inclemente, in quei luoghi dimenticati dalla Grande Madre. 

Alexandros, sfruttando i suoi poteri, accese un piccolo fuoco per scaldarsi, ma la completa mancanza di flora di quella regione non gli forniva nulla di combustibile per alimentarlo. Con il sopraggiungere del sonno, avrebbe perso la concentrazione per mantenerlo acceso, rimanendo così esposto alla notte gelida. Si rannicchiò in posizione fetale sotto il suo mantello rosso, cercando di ripararsi più che poteva. Aveva anche parecchia fame, erano tre giorni che aveva terminato le provviste, e che non trovava nulla di commestibile. Per la sete non c'era problema, con i suoi poteri, era in grado di controllare gli elementi, evocando acqua liquida dal nulla, ma gli era impossibile riprodurre qualcosa di organico come del cibo, così da poter soddisfare il suo stomaco. 

Sorrise ironico nel pensare che il tanto potere di cui disponeva, spesso gli faceva sottovalutare le più basilari regole di sopravvivenza. 

L'immenso deserto era un luogo estremo per chiunque, anche per un potente stregone. Certo, poteva sopravvivere ancora parecchi giorni a digiuno, ma la fame prolungata, indeboliva parecchio le sue capacità sovrannaturali.

Srotolò tra le dita per l'ennesima volta la mappa dei berberi, cercando tra quelle linee e simboli un po' di speranza . Stando alle indicazioni, l'oasi dove presumeva vivesse Sal Azar, doveva essere vicina.

"Me lo auguro, altrimenti per me si mette male."

Spense il fuoco stringendosi ulteriormente sotto la sua cappa, nella speranza che un sonno ristoratore lo trasportasse rapido fino all'alba del nuovo giorno. La notte particolarmente fredda e, lo stomaco che brontolava, non gli davano tregua. 

Si adagiò supino, per osservare lo spettacolare cielo stellato che, soltanto il deserto privo di nubi poteva offrire. Ripensava a quando da bambino gli raccontavano che le stelle erano le anime dei morti che ascendevano al cielo. Il pensiero che, anche i suoi genitori e la sua defunta sorellina potessero trovarsi tra quelle luci, prese forma nel suo cervello.

"Che scemenza! Pensare che da piccolo ero così ingenuo da bermi una favoletta simile."

Anche a sua sorella Cleo raccontavano la stessa storia. Non era stato un buon fratello per lei, ma ora che non c'era più, si pentiva ogni istante di non averle dimostrato il suo affetto come doveva.

Ripensò ad un incontro fatto pochi giorni prima: durante il suo peregrinare, nella città di Mirtia, aveva casualmente salvato una ragazzina da una brutta situazione. Somigliava molto a Cleo, oltre a condividerne l'età, aveva la stessa luce negli occhi, la stessa anima pura e gentile. Un incontro casuale, apparentemente con una persona che non aveva alcun significato per lui, però, sentiva che gli aveva lasciato un buon ricordo nel suo tormentato cuore. Si ripromise che, se fosse sopravvissuto, sarebbe tornato a trovarla. 

La stanchezza infine prese il sopravvento, facendo precipitare Alexandros tra le braccia del Dio del sonno.

***

L'indomani, seguendo le istruzioni della mappa, decise di proseguire verso nord. Dopo numerose ore di cammino, all'orizzonte non compariva ancora nulla. D'improvviso, la leggera brezza che accompagnava i suoi passi, si trasformò in un vento, sempre più frenetico.

Stava arrivando una tempesta di sabbia.

Una tremenda ondata lo investì in pieno, ostacolandone la marcia.

La polvere penetrava nei vestiti, sfregando sulla pelle viva, già provata dalle ustioni del sole cocente. Provò a coprirsi il volto, ma non fu sufficiente ad impedire alla sabbia di infilarsi dentro agli occhi. In quelle condizioni non poteva proseguire.

Decise che era giunto il momento di sfidare le forze della natura.

Si concentrò, creando una barriera d'aria che vorticava davanti a sé, deviando la furia della tempesta, la quale però, non accennava a perdere d'intensità. 

Debilitato com'era dalla fame, quanto avrebbe potuto resistere?

La risposta arrivò dopo pochi minuti; il suo incantesimo perse d'intensità diventando praticamente inutile.

***

Mi mancano le forze, i miei poteri mi abbandonano, non riesco più a tenere testa alla forza del vento. Mi rannicchio nel mio mantello, provo ad avanzare un passo dopo l'altro, ma le ginocchia mi cedono.

Cado a terra, con la faccia nella sabbia.

Sento il vento nelle orecchie esultare per avermi piegato. La natura si compiace di aver spazzato via uno stregone tronfio del suo potere, cieco nel non capire che, nonostante tutto, è solo un debole essere umano.

Tanti sacrifici per poi finire così? Che stupido che sono...

Gli occhi mi si chiudono, il caldo soffocante si trasforma in un dolce tepore, l'assordante sibilo del vento in una rilassante brezza. Ripenso ai momenti in cui i miei genitori erano ancora in vita, sono passati poco più di cinque anni da allora, ma sembra un tempo lontano quanto un'era geologica. Allora ero solo uno stupido e viziato figlio di papà, che passava le giornate nell'inedia. Finché non ho perso la mia famiglia non ne ho capita l'importanza.

Ero un incapace allora e lo sono tutt'ora. Me ne andrò da questo mondo, senza aver capito chi o cosa, ma soprattutto perché, siete stati uccisi.

È stato tutto inutile recarmi alla Torre Scarlatta, accettare il potere del Quaresh dentro di me, un potere che poco alla volta divora la mia anima.

Ho fallito, perdonatemi.

Prima di abbandonarmi all'oblio mi sovviene il ricordo della ragazza conosciuta a Mirtia. Una comune adolescente, di una città come tante, è il mio ultimo pensiero.

Come ha detto di chiamarsi?

Alteria sì, si chiama Alteria...

LA TORRE SCARLATTA - Destini Intrecciati (Libro 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora