CAPITOLO 12 - GIORNI DI UN DOLCE PASSATO - seconda parte

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Alteria giaceva sul pavimento composto da assi marcescenti, in un luogo di cui non aveva memoria. 

Era legata mani e gambe da due grosse corde di nerbo e uno stretto bavaglio sulla bocca le rendeva difficile persino respirare. A pochi passi di distanza i suoi carcerieri confabulavano qualcosa che non riusciva a udire, lanciandole occhiate di tanto in tanto. 

Ansimava a stento, l'inaspettata cattività l'aveva resa dispnoica, inoltre, la paura atavica per il futuro incerto la stava divorando, prosciugandone ogni forza. 

Ridotta all'impotenza, strisciava a terra facendo scricchiolare il pavimento, cercando con sommessi mugugni di richiamare l'attenzione dei tre. Ricambiarono il suo patetico tentativo per attirare l'attenzione con insulti e risa di scherno. Come figure grottesche partorite del ventre del maligno, le ombre dei soldati proiettate dalla luce della luna sul pavimento, sembravano ghermire l'esile figura della ragazza. 

Alteria chiuse gli occhi e si morse la lingua per auto infliggersi dolore. Sperava che tutto quello che stava vivendo fosse soltanto un brutto sogno, un incubo da cui presto si sarebbe destata.

«E' inutile agitarsi così.»

L'ufficiale si avvicinò accovacciandosi davanti a lei, le prese il volto tra le dita sollevandolo per osservarla meglio: le lacrime cadute copiose inzuppavano le guance arrossandone il derma. 

«Come sei carina» disse, godendo dell'impotenza della sua prigioniera.

Alteria replicò cercando di gridare, ma la pezza di stoffa che ne riempiva la bocca rese infruttuoso il tentativo. 

I suoi due sgherri la raccolsero da terra trascinandola in un'altra stanza. Si trattava di una specie di magazzino abbandonato a giudicare dall'ampiezza. Le sciolsero momentaneamente le funi che le cingevano i polsi, per poi legarla in posizione eretta a un ceppo di legno, posto in piedi di fronte a un muro di pietra.

L'ufficiale sciolse il bavaglio, e lei come prima cosa cacciò un urlo fortissimo suscitando l'ilarità dei suoi aguzzini.

«Siamo in un magazzino abbandonato fuori città, qui non può udirti nessuno» la canzonò uno dei due sgherri, mentre sbavava come un porco leccandosi le labbra.

«Vi prego lasciatemi andare!» li supplicò, tremando come un gattino bagnato.

«Perché vuoi andartene? La festa non è ancora cominciata» la schernì il capitano.

Alteria ricambiò riprendendo a urlare con tutto il fiato che aveva in gola.

L'uomo traslò alle sue spalle e cominciò ad armeggiare con la cintura dei pantaloni.

«Si brava bambolina continua a urlare, così c'è più gusto.»

Le sollevò la gonna stringendole violentemente il sedere tra le dita. 

«Vedrai che tra poco urlerai ancora più forte.» le sussurrò all'orecchio, imbrattandole il viso con la saliva che gli usciva copiosa dalle fessure tra i denti.

Seppur in tenera età Alteria si era resa perfettamente conto di quello che le stava accadere. Lo stomaco le si strinse provocandole conati di vomito, le lacrime scoppiarono dagli occhi zampillando sulle guance arrossate. Prese fiato a pieni polmoni lasciandosi andare in un'ultima disperata richiesta d'aiuto.

La speranza era tutto ciò a cui potesse aggrapparsi, la flebile illusione che la Grande Madre ascoltasse le sue suppliche e fermasse la mano di quell'uomo che stava per privarla per sempre della sua innocenza.

«Ehi, basta fare tutto questo casino» disse una voce maschile che non apparteneva a nessuno dei tre militari.

«Chi cazzo ha parlato?» urlò il capitano schiumando dalla rabbia, tirandosi su le braghe calate con la mano sinistra.

"Le mie preghiere sono state ascoltate" pensò la giovane, appena si rese conto di ciò che stava accadendo.

«Aiuto! Aiutatemi per favore!» gridò con tutte le sue forze.

Intanto, i due subordinati non persero tempo. Avevano individuato l'intruso disteso a terra in un angolo del magazzino, sepolto sotto degli stracci che usava come coperta.

«Vattene, pezzente, se non vuoi passare dei guai!» l'apostrofò uno di loro.

Noncurante della minaccia l'uomo si rigirò nel suo giaciglio. 

«C'ero prima io qui, andatevene voi.»

Lo sgherro non gradì la risposta e sollevò il piede per sferrargli un calcio, ma il suo colpo andò misteriosamente a vuoto, perdendosi nelle coperte adagiate al suolo. Un mantello cremisi gli svolazzò davanti agli occhi, un istante prima di ricevere un potente diretto in pieno volto. Il colpo lo fece stramazzare al suolo.

«Ma cos... » fece appena in tempo a dire il suo compagno, prima di finire a sua volta steso a terra, colpito da un altrettanto attacco letale a mano nuda. Un paio di denti gialli saltarono via dalle gengive, mentre il suo corpo cadeva come un sacco di patate.

Alteria riuscì a sporgersi abbastanza da poter vedere cosa stava succedendo.

Era alto, con lunghi capelli corvini che cascavano fino a sfiorargli il collo. Avvolto nel suo mantello, rosso come il coraggio, sembrava uno di quegli eroi del passato, una scultura animata dei grandi personaggi che avevano caratterizzato un'epoca ormai dimenticata.

Un click metallico attirò l'attenzione del suo salvatore.

«E bravo il nostro eroe.»

L'ufficiale lo sfidava con in mano una pistola con cui lo teneva sotto tiro. 

Lui non si scompose, anzi, lentamente cominciò ad avanzare in direzione della minaccia. Si muoveva come uno spettro che non temeva la morte, in quanto nulla di tangibile sembrava poterlo ferirlo.

«Addio!» esclamò ridendo l'uomo armato, prima di esplodere un preciso colpo in direzione del petto del suo nemico. Incredibilmente il proiettile rallentò fino a fermarsi, sospeso nel vuoto, a pochi millimetri del ragazzo, poi la gravità tornò a svolgere il suo ruolo facendolo cadere a terra come un sassolino. 

Spaventato l'ufficiale indietreggiò di un passo, il suo volto pallido era imperlato di sudore.

«Bastardo! Muori! Muori!» gridò in preda al panico, mentre gli scaricava addosso l'intero caricatore dell'arma.

Un disperato e inutile tentativo.

Intorno all'assalito vorticava uno strano flusso d'aria che deviava qualsiasi colpo. I bossoli caddero in ogni direzione, resi inermi dagli occulti poteri di quello sconosciuto. Avanzò a corte falcate verso l'uomo armato ormai ridotto all'inedia, fino a stringergli il volto tra le mani. Paralizzato dalla paura non riuscì a proferire parola, finché il suo corpo, d'improvviso, non si trovò avvolto dalle fiamme.

LA TORRE SCARLATTA - Destini Intrecciati (Libro 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora