7. Mr Styles

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«Non è mio figlio.» tentennai voltandomi nella sua direzione, e potei osservare la sua espressione mentre cercava di trattenere una risata, io dal mio canto mi limitai a scrollare le spalle.
Indossava dei jeans di un colore azzurro chiaro, scarpe alla caviglia marroni e una semplice camicia con delle stampe floreali slacciata sul petto, dove riuscii ad intravedere alcuni tatuaggi che continuavano anche sul braccio sinistro. Al collo erano legate due collane che ricadevano sul suo torace ben curato e
definito, il mio sguardo guizzò sul suo viso: i capelli erano tirati indietro dagli occhiali da sole e l'accenno di barbetta decorava la sua mascella dandogli un'espressione da duro.

«Mi stai sciupando.» fin quando restava in silenzio potevo concedermi di dire che era anche un bel ragazzo, alzai gli occhi al cielo difronte a tale maleducazione, volevo eclissarmi quando era nei dintorni ero sottopressione temendo sempre di sbagliare qualcosa.
Mi accorsi che Jason non era più tra le mie braccia lo vidi a poca distanza da me dinanzi alla corporatura di Harry, attento a scrutare il suo viso nei minimi dettagli.

Rimasi stupita nel momento in cui vidi il piccolo stringere il tessuto della maglia che rivestiva il più grande per richiamare la sua attenzione, un sorriso si estese sul mio viso quando vidi gli arti di Harry contrarsi per impugnare il corpo gracile del bambino e portarlo tra le sue braccia​; ero meravigliata.

Per la prima volta Jason si avvicinò a qualcuno di sua spontanea volontà, senza che gli venisse dato niente in cambio.

«Jas dai, lascia stare il signor Styles.» informai l'ingenuo biondino che mi ignorò, dal momento che era troppo impegnato a torturare i suoi ricciolini.

«Signor Styles.. al massimo ho due anni più di te.» proferì arricciando il naso disapprovando la mia educazione.

«Ho solo venti anni.» ribattei in fermandomi davanti all'altalena che Jason indicò con il ditino, Harry lo posò sulla sediolina alla quale mi avvicinai per spingerlo.

«Io ventitré.» schioccò la lingua al palato, con superiorità «Quanti anni hai?» cambiò discorso riferendosi al bambino che, come il suo solito, non rispose.

Harry non si arrese e provò ancora senza ottenere alcuna risposta.
Jason, dal suo canto mise il muso tirando in fuori il labbro inferiore e mi indicò.
«Ha due anni.» chiarii al suo posto mentre Harry mi fissava con la fronte aggrottata, potei immaginare cosa stava pensando e abbozzai una smorfia.

«No, non parla.» storsi le labbra rivelando la verità al giovane che fu colpito da quelle parole, scrollai le spalle mentre continuavo a camminare diretta verso l'uscita del parco.

«Immaginavo che non fosse tuo figlio comunque, non sai badare a te stessa figurati un bambino.» proclamò, ammiccando con sfacciataggine con lo sguardo rivolto sulla mia figura, boccheggiai incredula.

I miei occhi si ridusero a due fessure non riuscendo a capire a cosa si riferisse, mi sentii offesa. Cosa ne sapeva lui della mia vita?

«Non sai niente di me.» Lo lasciai lì mentre andavo via lasciando i miei dubbi e le mie domande, presi il bambino tra le mie braccia riportandolo dalla nonna che era solita a preparargli il pranzo, ma decisi di non tornare a casa bensì di fare un giro per la città.

Mentre percorrevo il percorso breve verso casa passai davanti al Wiko il quale mi riportò alla mente l'immagine del riccio, ripensai a quelle parole che mi sorpresero, lui non mi conosceva, perché era giunto ad una conclusione affrettata?

A interrompere le mie osservazioni fu un boato, alzai il naso mentre mi impegnai ad esaminare il cielo tetro ricoperto da grossi nuvoloni grigi pronti a riversare il loro contenuto sulla città.
Passai per accanto all'incrocio dove viveva Anastacia e potei scorgere la figura di Adam che molto probabilmente attendeva l'arrivo di quest'ultima, non sarei intervenuta una nuova volta già mi ero cacciata in troppi guai, era adulta e poteva essere capace di badare a sé stessa anche senza il mio continuo intervento. Non mi importò di risultare una persona egoista ma avevo speso molto tempo e denaro stando dietro ai suoi continui errori, ma stavolta se la sarebbe dovuta cavare da sola, non ci sarei stata per sempre e lei di questo ne era a conoscenza.

Amareggiata e delusa proseguii il mio cammino con le narici inebriate dal profumo della pioggia che di lì a poco si sarebbe scrosciata, alcune goccioline si batterono sul mio capo cogliendomi alla sprovvista tanto che sbattei gli occhi all'impatto, dopo poco arrivai fuori al piccolo terrazzino della mia casa mettendomi al riparo.

Mi accorsi in ritardo di una lettera poggiata sul pianerottolo, ormai imbevuta di acqua, la presi tra le mani cercando di riuscire a cogliere solo qualche parola e un numero di telefono.

Tentennai sul da farsi, torturando il mio polpastrello con i denti, era una mania che portavo avanti sin da quando ero bambina.
Giunsi alla conclusione che l'unico modo per venire a conoscenza del mittente della lettera era digitare l'unica parte comprensibile; il recapito telefonico.

Cercai il mio smartphone nelle tasche della felpa digitando la serie di numeri che si susseguivano mentre attendevo impaziente, quando stavo per mettere giù finalmente qualcuno rispose.

«Pronto?»

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora