38. Colpa mia e parco giochi

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Sorseggiavo la tazza di caffè che avevo preparato dopo il pranzo mentre Harry stava facendo una doccia rinfrescante, ero appoggiata al bancone della cucina e davo uno sguardo al mio cellulare. Il ragazzo sembrava si fosse stabilizzato ma non ebbi il coraggio di chiedergli niente, mi sentivo ancora in colpa.
Il flusso dell'acqua cessò e qualche minuto dopo la sua figura fece ingresso nella cucina: aveva i capelli tirati in uno chignon disordinato dal quale fuoriuscivano alcuni ricciolini ribelli, indossava una maglia grigia e la tuta del medesimo colore.
Si sedette su una sedia a qualche passo da me, non volevo demolire l'aria che si era formata tra di noi ma volevo sapere cosa ne sarebbe successo.
Schiusi le labbra richiamando il suo nome, mi concesse la sua attenzione e parlai.

«Cosa.. cosa succederà?» mi fissò scettico facendo spallucce, annuii lentamente non avevamo ancora avuto modo di parlare su quello che era accaduto.

«Non lo so.» spiattellò tenendo la testa pressata tra due dita, avevo anche io una forte emicrania dovuta a tutto lo stress che avevo assorbito in quella giornata che sembrava non finire mai.

«Non avere paura, non ti succederà niente.» confidò qualche secondo dopo, lasciò la bocca semiaperta e pensai volesse continuare ma la richiuse subito dopo.

«E a te?» gli angoli delle sue labbra si alzarono per poi calarsi nuovamente, scosse la testa.

«Non lo so.» soffiò in un sospiro, mi avvicinai alla sua figura cingendo con le braccia il suo collo. Mi fece sedere sulle sue ginocchia e rimasi in quella posizione per un po'.

«Ho paura per te» confessai, deglutii nervosamente mentre poggiò la sua fronte contro la mia, «perché ti ha.. perché ti hanno fatto del male?» il disprezzo nella mia voce era marcato e sembrò accorgersene anche lui, tracciava il contorno delle mie labbra distraendo la sua attenzione dalla domanda.

«Non pensarci più, ora sono qui. » mi strinsi al suo corpo, desideravo le sue labbra impiantate sulle mie. Una lacrima solitaria sfuggi dai miei occhi e sembrò accorgersene, il suo polpastrello la raccolse all'istante mentre mi tenne più vicino.

«È colpa mia, vero?» mormorai sul suo petto, più trattenevo le lacrime più esse si formavano sfuggendo dalla mia presa.

«No, Cindy. Tu non c'entri nulla in tutta questa merda. Sei l'unica cosa per cui vale la pena lottare. » nel mio petto si gonfiò qualcosa, il mio naso contro il suo era una dolce tortura che mi faceva oscillare da baciare o meno le sue labbra.
Trattenni quest'ultime tra i denti, questo fu un incentivo per spronarlo a baciarmi. Toccò rapido le mie labbra, rubandomi un bacio. Sorrisi nel bacio, le mie mani strette dietro al suo collo, le sue sulle mie anche.

« Adesso.. non lavori più per lui?» scosse la testa, mi alzai dalle sue ginocchia ignorando la sua espressione contrariata. Sbuffai.

«Che c'è?» chiese, tirai il labbro in fuori, «Mi annoio.» replicai.

Sembrò rifletterci per qualche minuto, schiuse le labbra fissando nella mia direzione, «Potremmo andare al mercatino di natale qui vicino.» rivelò.

«Davvero?» saltai tra le sue braccia, ero davvero felice! Non mi muovevo mai dal quartiere ed uscire con Harry era un'ottima idea.

***
Eravamo dovuti passare per casa sua perché doveva cambiarsi, aveva indossato uno skinny jeans nero ed un  foulard, la camicia che mise era invisibile dai miei occhi poiché era ricoperta dal cappotto.
Insistette per prendere la sua automobile e alla fine cedetti, non avevo voglia di guidare a lungo e lo lasciai fare salendo sui sedili anteriori. Avevo indossato un jeans a vita alta ed un maglioncino rosso, avevo messo nella borsa anche un paio di guanti ed un cappellino nel caso facesse più freddo.
Finalmente arrivammo e abbandonai la vettura seguendo l'imponente figura del riccio.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora