42. Incubi e gabbia opprimente

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Balzai a sedere gridando il nome di Harry, ero così sudata che il pigiama mi aderiva alla pelle e il dolore alla testa era talmente forte che non lo sopportavo. Il riccio si scostò le coperte da dosso prendendo posto accanto a me, allacciai le braccia dietro al suo collo respirando il suo odore di fresco.

I singhiozzi abbandonavano ancora le mie labbra mentre sussultavo, la sua mano era pressata sulla mia spina dorsale provando ad infondermi tranquillità. Esagerava in premura e amavo questo particolare che lo caratterizzava e che era in contrasto al suo aspetto da duro.

«È solo un brutto sogno, shh.» mormorò tra i mie capelli che erano attaccati al fronte e un leggero strato di sudore decorava la mia pelle. 
Sciolse l'abbraccio mettendo le sue mani a coppa sul mio viso, incastrò i suoi occhi nei miei che erano ancora lucidi e qualche lacrima sfuggiva dal mio controllo; i suoi polpastrelli scacciarono prontamente quest'ultime dal mio viso, baciò poi la punta del mio naso all'insù.

Mi sentivo in una gabbia, io ero dentro rinchiusa in essa  e gli spettatori erano Deven, Rose e tutti i conoscenti delle superiori. Erano seduti sugli spalti mentre osservavano la mia vita andare in frantumi a causa loro, i ricordi apparivano remoti ed irraggiungibili eppure erano vivi nella mia memoria. 

«Non ce la faccio più.» mi lagnai contro il suo petto, quei maledetti incubi si erano insediati nuovamente nelle mie notti, il mio sguardo era perso e avvilito.

«Vuoi parlarne?» scossi la testa, avevo paura che si avverasse se fosse uscito fuori dalla mia memoria.
Gattonai sul bordo del letto, i miei piedi penzolavano al di fuori di esso e nella mia visuale comparì la figura del riccio che mi osservava esausto.
Era stanco e l'avevo disturbato durante la notte, la mia testa ciondolava in avanti come se non potessi sostenere il peso. Ero disperata, con lo sguardo avvilito racchiusi il mio palmo contro la sua mano che sembrava enorme rispetto alla mia.

Salterellai sui gradini giungendo nella mia cucina, mi sedetti sul divano affondando la testa tra le mani.

«Cosa hai sognato?» domandò porgendomi il bicchiere d'acqua che teneva stretto tra le sue dita, lo ripresi tremolante mentre sorseggiavo.

«Io.. tu e poi Deven lui..» mormorai confusa, era diverso dal solito incubo che mi squarciava dal sonno due anni fa, fortunatamente non li avevo più da un lungo periodo, bastò una piccola insicurezza per far crollare nuovamente  i muri, le barriere che mi ero costruita.

«Lui diceva che ero una poco di buono, che ti.. ti saresti stancato di me.» singhiozzai riferendomi agli avvenimenti di qualche ora fa. Lanciai uno sguardo fugace al pendolo che segnava le quattro e ventisei del mattino, lui scosse la testa affrettandosi al mio fianco.

«Nono, ehy» portò l'indice e il pollice sotto al mento costringendomi ad alzare lo sguardo, «non pensarlo nemmeno, io non... ti lascerò facilmente.» assentì, il mio sguardo era basso, fisso sulle mani incrociate sul ventre. Accesi il televisore, cercando qualcosa di carino da vedere e fermai su real time dove stavano trasmettendo un episodio di "ER: storie incredibili", calai la voce mentre sussurrai qualcosa simile a «Che schifo l'amore.»

«Cindy» mi richiamò, inclinai il capo nella sua direzione, «non è vero che non credi nell'amore. Ci credi tanto e sei arrivata torturati perché in giro ce n'è così poco, e quello che hai vissuto non era perfetto.» disse silenziosamente, sospirai.

«Tu sei fatta d'amore.  Ma devi credere prima in te stessa, poi nella vita e infine nell'amore.» espresse il suo pensiero abbozzato ma riuscì a trarre le conclusioni: io non credevo in me, non credevo nella vita né tantomeno nell'umanità.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora