14. Sorprese non gradite.

5.6K 224 15
                                    

Il mio corpo si pietrificò alla vista della persona che si celava al di fuori della mia casa, era disinvolto: le sue mani erano incrociate al petto mentre scrutava dall'alto una mia reazione che non tardò ad arrivare.

«Cindy!» disse con troppo entusiasmo, provò ad attirarmi in un abbraccio che scansai facendo aderire la mia mano sulla sua guancia.

«Non toccarmi.» sibilai a denti stretti, gli rivolsi uno sguardo truce dove trapelava il mio disprezzo.

Il mio respiro divenne più pesante intanto tutto intorno a me iniziò a vorticare e una familiare sensazione di nausea iniziò ad espandersi nel mio stomaco: odio, rabbia e timore furono le uniche emozioni che nutrivo nei suoi confronti e con uno sguardo disgustato sparii dietro alla porta, l'unica barriera che mi impediva di crollare davanti ai suoi occhi, ancora una volta.

"Non è possibile." furono le uniche parole che in loop echeggiavano nella mia mente, cercai una spiegazione alla sua improvvisa comparsa.

Avevo imparato a difendermi da tutto ciò che mi circondava e non provai a nutrire amore nei confronti di nessuno, troppo sconvolta e ancora con il cuore spezzato.

La causa delle mie notte insonne si era presentata alla mia porta, facendo crollare tutte le mie certezze e facendo emergere dei sentimenti che pensavo fossero finiti
in un luogo irraggiungibile dai miei pensieri e dal mio cuore.

Ma non fu così.

Mi trascinai in cucina allontanandomi il più possibile dal nemico e con una mano tremante estrassi il whiskey che giaceva infondo al frigo, versai un bicchiere portandolo alle labbra assieme al pacchetto di sigarette che bruciai, una dopo l'altra, e piansi. Piansi fin quando non sentii i polmoni bruciare.

***

Mi svegliai distesa sul pavimento della cucina, mi ero ubriaca per poi impazzire in una crisi isterica di pianto fino ad addormentarmi. Le cicche erano accumulate dinanzi ai miei piedi, mi alzai tendomi al bancone e per poco non caddi perdendo l'equilibrio. Che scena disgustosa. Barcollai avviandomi verso la porta, poco mi importava di uscire in quelle condizioni. Avevo bisogno di evadere dalla realtà che mi circondava, il vento scompigliava - per quanto fosse ancora possibile- i miei capelli che soffiai via in uno sbuffo, non sapevo dove ero diretta, camminai a lungo fino a scorgere uno specchio di mare.

Le onde si infrangevano con rabbia contro gli scogli causando un piacevole suono, scesi le poche scale che portavano alla spiaggetta deserta in quel periodo, mi sedetti sulla sabbia umida segno della pioggia che durante il lasso di tempo che avevo passato a dormire aveva battuto sulla città.

I colori lievi dell'alba illuminavano il cielo, il freddo pungente mi fece rabbrividire ma non mi mossi: amavo il mare d'inverno e la solitudine che avvolgeva lo spazio a sé stante, la mia mano afferrò un sassolino poco lontano dalla riva e con tutta la forza lo lanciai in acqua immaginando che quelli fossero i pezzi del mio cuore che un tempo appartenevano a Deven.
Ero in bilico tra il passato e il presente, camminavo sui frammenti del mio cuore indecisa se tornare indietro o proseguire il cammino verso il futuro rischiando di soffrire ancora.

Deven fu il mio primo fidanzato, le mie prime esperienze le feci con lui ed era inevitabilmente una parte di me.
Quando scoprii che la mia migliore amica era innamorata di lui e che da un anno si frequentavano alle mie spalle fu devastante per me: questi eventi portarono in me diffidenza per il sesso opposto e per la maggior parte delle persone che mi si avvicinavano.

Solo quando presi la manica della felpa per asciugare una lacrima solitaria che era sfuggita dagli occhi mi accorsi del sangue che macchiava il tessuto, supposi che mi tagliai con i cocci di vetro che si erano creati quando il bicchiere dal quale bevevo venne schiantato contro il muro provocandomi un taglio superficiale sul polso.

Decisi di rincasare, le strade di questo paese sono lisce e solitarie di primo mattino, tutto tace. L'ombra di un uomo era ancora visibile davanti all'uscio della mia casa, adesso egli aveva cambiato i suoi vestiti non come me che ho indossato le stesse vesti per due giorni interi, tra le mani aveva una rosa rossa, mi convinsi che non avevo bisogno di lui, che tuttavia le sue attenzioni erano solo per riparare la sua coscienza che ogni notte lo perseguitava.
Avevo rischiato la vita per colpa sua, se mia madre non fosse arrivata in quel momento oggi ogni persona mi ricordava come una brava ragazza strappata al mondo troppo presto, perché è così che funziona gli elogi solo dopo la morte.
A diciassette anni desideravo morire.
A diciotto ero ad un passo dal farlo, avevo ingoiato l'intero contenitore di ansiolitici che mi prescrisse lo psicologo per calmare i continui attacchi di panico.
Non dimenticherò mai le grida disperate dei miei genitori pregare per non andare via in modo precoce, quando mi fui ripresa decisi di venire a Northwich per vivere con mia nonna che dopo un anno mi abbandonò anche lei.

Schiuse la bocca per dire qualcosa, ma lo precedetti.

«Lasciami in pace. Non ti è bastato il dolore che mi avete causato?» chiesi in modo retorico senza aspettarmi una risposta.
Lo guardai amareggiata lasciandolo lì con i suoi sensi di colpa che lo torturavano.
Abbandonò finalmente il sentiero della mia casa, e senza voltarsi indietro sparì e sperai che lo avesse fatto per sempre.

Allora compresi quanto fosse profondo e irrimediabile il male che mi avevano inflitto: ero nata per essere felice, mi costrinsi a pensare, per amare e non per infliggere odio e portare rancore.
Ero in preda al panico non sapevo quale fosse la scelta più giusta da fare e mi augurai che fosse tutto un brutto sogno, un incubo.
Sarei mai riuscire a fidarmi nuovamente di un uomo? Sarei mai stata capace di ricominciare daccapo, senza spaventarmi, senza mostrarmi debole e rinunciare ai pensieri negativi? Era diventato tutto così opprimente, una gabbia dalla quale non c'erano possibilità di uscire integri, ogni scelta portava ad una conseguenza che in ogni caso mi avrebbe ferito.

Avevo bisogno di aiuto, Anastacia era l'unica a conoscenza di tutta la merda che mi circondava, ella mai aveva osato giudicarmi ma adesso non poteva aiutarmi.

Uscii nuovamente di casa, avviandomi ugualmente a casa di Anastacia in cerca di conforto e di un suo abbraccio.

Camminavo a testa bassa e con le cuffiette nelle orecchie, attraversai guardando velocemente la strada quando un auto passò sfrecciando a tutta velocità, facendomi perdere l'equilibrio per alcuni secondi.

Il clacson risuonò nei miei timpani nonostante la musica assordante, la vettura accostò qualche centimetro più in là rivelando chi si celava dietro al vetro oscurato.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora