6. Sbronze mattutine e giovane madre.

8K 287 13
                                    

Aprii gli occhi serrandoli un secondo dopo quando uno spiraglio di luce puntò proprio su di essi.
Dimenticavo sempre di calare le tapparelle la sera costringendomi a svegliarmi appena il sole sorgeva, diedi uno sguardo eloquente alla sveglia sistemata sul comodino, rigorosamente bianca abbinato alla mia stanza monocromatica, che segnava appena le sei di mattina.

Sbadigliai più volte, la voglia di lasciare quel caldo ammasso di coperte e di  lenzuola scarseggiava così presi la decisione che a mio parere era la migliore: avvolsi il mio corpo tra il tra il caldo cotone riprendendo a dormire ignorando il mal di testa allucinante che mi stava torturando.

Tra meno di due ore Marie, l'anziana vicina mi avrebbe portato i suoi nipotini per occuparmi e badare a loro poiché a causa della sua età non riusciva a stare dietro a tutte le  marachelle. Era una famiglia benestante, potevano permettersi di avere una baby-sitter nonostante loro fossero in casa, intanto a me faceva solo piacere siccome mi offriva un lavoro e una buona paga.

Mi ritrovai a rimuginare sulla giornata precedente esaminando il susseguirsi degli eventi e riflettei a lungo su gli unici episodi che ricordavo chiaramente, e suppongo fossero i più importanti.

Anastacia ebbe una ricaduta, pensavo che il capitolo "dipendenza" l'avessimo terminato già da un pezzo, insieme: ma mi sbagliavo. Quando la vidi in compagnia di quei due non pensai fossero degli spacciatori, non avevano la faccia di due anime pure ma non mi sarei aspettata aspettava tutto ciò, non di nuovo.
Questa volta non avrei potuto aiutarla, avevo cambiato le mie abitudini domestiche e sociali solo per darle la giusta accortenza e nonostante​ il notevole sforzo che  si era proseguito nel corso del tempo aveva ceduto alla tentazione fare uso di una sostanza che non avrebbe fatto altro che contribuire alla sua morte in modo precoce.
Sospettavo già da un po' che avesse avuto questa ricaduta, speravo di illudermi ma purtroppo non fu così.

Nella mia mente balenò l'immagine di Harry Styles che ricollegai alla notte precedente, per un momento  pensai che mi odiasse perché sua madre elogiava il mio corpo e la mia educazione ogni volta che poteva, mentre il figlio venne a conoscenza di un lato di me che poche persone conoscono, solo i miei amici.
Se avessi saputo che frequentava quel locale non sarei mai andata lì, non potevo permettermi di perdere il "Lavoro" che mi offriva Anne ogni fine settimana e se questo significava sacrificare anche il mio divertimento l'avrei fatto senza dubbio.

Cercai di ricordare come fossi arrivata a casa, ma il mio cervello sembrava avesse cestinato quell'evento ritenuto magari poco importante: effettivamente non aveva chissà quanta importanza, mi limitai a scrollare le spalle rigirandomi ancora una volta tra le lenzuola scivolando dal lato opposto sicuramente più fresco.

Dopo un'oretta mi alzai ripetendo come da copione le azioni svolte in precedenza, ma con un po' di fretta.
Il mio sguardo cadde sulle compresse presenti all'interno di un cassetto del comodino ne ingerii una per l'emicrania che nemmeno dormendo passò.

Portai una mano svogliatamente davanti alla bocca smorzando uno sbadiglio e mi sedetti sul bordo del letto lasciando i piedi penzolanti rubando ancora qualche minuto  per riuscire a svegliarmi del tutto, cervello compreso.

Andai nel bagno dove svuotai la mia vescica e mi guardai allo specchio che rifletteva la mia figura con delle occhiaie violacee a contornare i miei occhi verdi, i capelli che un tempo avevano delle morbide onde che ricadevano sulla mie spalle  assunsero la forma di un nido per volatili senza dimora fissa, sul mio collo notai un segno rosso un succhiotto probabilmente, ma per quanto mi sforzai non riuscii a ricordare un bel niente.

Sciacquai il viso abbondantemente con dell' acqua fredda, raccogliendo i capelli in una coda alta non curandomi delle ciocche sfuggite all'elastico rosso, l'unico che non avevo perso, per il momento.
Indossai il pantalone della tuta verde militare dell'adidas e una maglia bianca della stessa marca, non misi le scarpe ma solo i calzini dal momento che sarei dovuta rimanere in casa.

Mi recai nel soggiorno aspettando con impazienza che arrivasse il piccolo Jason che bussò alle nove in punto mi trovai sull'uscio della porta la  nonna del piccolo, quest'ultimo era aggrappato alla sua vestaglia rigorosamente blu, non voleva staccarsi dall'anziana donna che doveva portare a scuola il suo fratellino.
Richiamai il suo nome  più volte, ma si decise ad entrare soltanto quando gli promisi una passeggiata al parco e qualche dolciume, gli tesi la mia mano che tibutante accettò.
Mi guardava con gli occhioni blu spalancati, sembrava fosse sempre la prima volta che restava solo con me era un bambino molto riservato e poco confidenziale a causa del passato che aveva vissuto, tendeva sempre a chiudersi in sé stesso limitandosi ad agitare la testa in segno di negazione e accennare appena un sorriso per acconsentire.

«Jas.» cinguettai allegramente avvicinandomi alla chioma bionda e riccioluta accomodandomi dal lato opposto del pavimento, in modo da averlo di fronte a me e da poter notare le sue espressioni facciali.
Lui in tutta risposta poggiò il suo sguardo un po' assonnato nei miei occhi,  invitandomi a continuare.

«Andiamo al parco giochi?» aggrottai la fronte, ma quando non vidi nessun cenno da parte sua riprovai ancora: «Al laghetto?» scrollò le spalle mentre continuava ad ignorarmi.

«Decidiamo lungo la strada dove andare, su.» indossai le scarpe velocemente e presi la giacca, l'inverno era alle porte e l'aria frizzante di novembre era facilmente percepibile. Presi qualche caramella al lampone dalla credenza porgendola al piccolo che mi tese la sua manina ed uscimmo.

Jason  era affetto da mutismo che era sorto durante il primo anno di vita, aveva avuto un trauma  portando il suo cervello a tacere.
Adesso lui ha due anni e qualche mese, prima di questo trauma egli chiamava la nonna e si limitava a dire qualche simpatica parola, poi il nulla.

A distogliermi dai pensieri fu il riccio che impiantò i piedi sul terreno davanti al cancello dell'unico parco del Cheshire, sul terreno padroneggiavano le foglie secche e giallognole tipiche di quel periodo era tutto dannatamente silenzioso l'unico rumore era provocato dai nostri  passi scoordinati, incitai Jason a sedersi accanto a me sul terreno mentre incominciava una battaglia a chi lanciava la pietra più lontana.

«Ho vinto io.» esultaii ridendo a crepapelle, facendo imbronciare Jason di proposito che scosse il capo mentre incrociava le braccia al petto, il mio dito si parcheggiò in modo diretto sul suo pancino muovendosi velocemente.
Adesso nell'aria non c'era più silenzio, ma il rumore delle nostre risate che vanno via nel vento, e con il cuore più leggero per aver regalato un sorriso a chi di sorridere non ne voleva proprio sapere, lo strinsi al petto sentendo il bisogno di proteggerlo.

«Sei anche una giovane madre, chi l'avrebbe mai detto.» cinguettò una voce giovane con un accento di ironia nel tono, Jason sobbalzò mentre il posto accanto a me venne occupato da quel maledetto ragazzo che sembrava mi stesse inseguendo.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora