31. Alla ricerca di guai e vuole te.

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Scesi dal lettino barcollando, seguivo la figura misteriosa che aveva sostituito il ragazzo che teneva la mani affondate nelle tasche e un cappellino invernale a coprire la sua capigliatura. Intravidi Deven ma distolsi subito lo sguardo, Styles era intento a saltellare sui restanti scalini che dividevano la realtà da quella sorte di manicomio.

Una folata di vento scompigliò i miei capelli e rabbrividii rendendomi conto che non indossavo più la mia felpa ma una maglia verde bottiglia, come quelle che usavano gli infermieri.

Raggiunsi  la sua range rover impolverata e presi posto sui sedili anteriori, guidò tranquillo fino alla mia abitazione: la cosiddetta quiete prima della tempesta.
Scesi e intanto cercavo le chiavi nella borsa, la portiera venne chiusa in modo violento e mi raggiunse con delle falcate, richiusi il portoncino mentre tutto intorno a me appariva confuso e fuori luogo.

Mi accasciai sul divano e nella mia visuale entrò a far parte il castano che si piazzò davanti allo schermo del televisore spento.

«Che bravata avevi intenzione di fare?» disse in modo brusco, chiusi gli occhi ammettendo più a me stessa che aveva ragione e che non avevo nessun diritto di seguirlo.
«Perché cazzo hai seguito la macchina fuori casa mia?» sbraitò, mi veniva da piangere e non avevo nessun motivo per farlo: mi stava dicendo la verità.

«Se non ci fosse stato Zayn a chiamarmi, adesso non staresti qui a discutere con me», un singhiozzo abbandonò le mie labbra, sentivo il suo sguardo ardere  sulla mia pelle, «Non farlo più.»

Annuii mortificata, «Okay, scusami.. è che.» mi interruppe, «Niente Cindy,  non è giustificabile.» assentii mentre portavo le ginocchia al petto. 

«Proprio non vuoi stare lontana dai guai.» disse schivo, passò una mano tra i capelli scompigliati che si celavano sotto a quel cappellino prendendo posto al mio fianco.

«È che volevo sapere.. scusa hai ragione.» scossi la testa non avendo una giustificazione plausibile, «La tua mania di avere tutto sotto controllo non ti da il permesso di violare la mia privacy.» serrò le labbra in una linea, il volto contratto metteva in risalto la sua fottuta mascella.
La realtà era che evitavo le parole che mi aveva detto, scappavo via dalle situazioni e se mi fossi concentrata assorbendo quelle parole non avrei fatto eccezione a lasciarlo lì.

«È che.. è che  mi sento parte di ciò.. pensavo ci fossi tu in quella macchina e non potevo sapere cosa si nascondesse.» confessai con un filo di voce, ero mortificata.

«Non puoi sapere cosa significa essere parte di quella merda. Soprattutto se quella merda è tuo padre.» sospirò, mi sentivo davvero stanca e non sapevo da cosa dipendesse.

«Che cosa succede ora?» scrollò le spalle, «Lui crede che tu sappia qualcosa», confessò, «Ma non è così. » ribattei, adesso la mia curiosità era ancora più elevata.

«Che cosa.. che cosa mi hanno fatto?» osai chiedere, i suoi occhi si sgranarono ed era restio.

«Stavano iniziando un protocollo », spalancai gli occhi e la bocca, « per sperimentare dei nuovi farmaci.» deglutii e capii solo in quell'istante che aveva ragione quando diceva che non avrei voluto saperlo.

«Come.. come una cavia?» lui annuì, calai lo sguardo incrociando le mani sul mio grembo.

«La maggior parte della popolazione è stata sottoposta a delle prove.» inclinai il capo, pensai di poter perdere i sensi da un momento all'altro.

«Hanno tutti.. non sono, insomma sono stati delle prove  per voi?» spalancai la bocca stupefatta.

«Perché?» chiesi ingenuamente.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora