13. Punti di vista

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Fui avvolta dal silenzio e dal freddo intenso del mio appartamento inabitato da un paio di giorni, lanciai lo zaino sul divano decidendo sul da farsi.

Alla fine optai di andare da Anastacia, ero sua amica e non potevo lasciare che la droga prendesse la parte migliore di lei.
Cambiai la maglia che indossavo sostituendola con un maglioncino nero e con dei jeans a vita alta, presi il cappotto e uscii nuovamente.

Erano appena le undici, il sole era alto nel cielo di Northwich rendendo stranamente la giornata luminosa, con le cuffiette nelle orecchie imboccai la strada dove viveva la mora trovandomi presto sotto l'edificio dove passava la maggior parte delle sue giornate.

Bussai al citofono rispose una voce maschile che mi fece aggrottare la fronte, con chi stava?

Il portoncino venne aperto e salii la rampa di scale trovandomi dinanzi alla porta color ciliegia che si trovava al secondo piano che lasciai il pugno a mezz'ora aria accorgendomi poco dopo che era socchiusa, entrai urlando chiedendo permesso.

Un flebile «avanti.» venne sussurrato dalla rauca voce della mia amica.

Il rumore dei miei passi echeggiò per l'intero stabile, il salotto era vuoto privo dei quadri che un tempo decoravano la parete priva di qualsiasi forma di colore, il divano era posto al centro della sala e ai suoi piedi vi era un tavolino con su una piccola televisione.
Mi imbattei nel corridoio che separava l'entrata dalle camere, arrivai davanti alla sua avvolta dal buio, accesi la luce trovando solo un materasso lasciato per terra e ricoperto di polvere: non era mai stata una ragazza ordinata o chissà quanto benestante, aveva sempre vissuto in quel piccolo appartamento in un brutto quartiere, ma il letto fino a poco prima lo aveva.

Mi avvicinai alla stanza dove un tempo dormivano i suoi genitori, la porta era socchiusa e solo un fascio di luce mi fece distinguere due sagome, l'unica fonte luminosa penetrava attraverso un buco nella tapparella e adeguandomi all'oscurità entrai facendomi strada attenta a non urtare i vari cocci di vetro che erano sparsi sul pavimento e che avevo notato solo grazie al rumore che emettevano scontrandosi con la suola delle mie scarpe.

Quello trovai dinanzi ai miei occhi fu raccapricciante: il corpo della giovane ventitreenne era rannicchiato sul letto, teneva le sue stesse gambe in una stretta ferrea mentre dondolava su sé stessa. Era passata meno di una settimana da quando avevo scoperto della sua ricaduta, sta volta la droga stava agendo diversamente sul suo corpo, puntando direttamente sui suoi neuroni.

Aveva perso peso, le guance erano incavate e potevo notare le clavicole fuoriuscire dalla t-shirt che indossava, accanto al suo corpo giacente era inginocchiato un ragazzo dai capelli color miele che accarezzava le onde della giovane.

«Ana?» tentennai avvicinandomi, puntai i miei occhi nei suoi iniettati di sangue che calò al suolo schiavandomi.
Mi inginocchiai anch'io accanto al ragazzo sconosciuto che si stava prendendo cura della mia amica, presi la sua mano tremante stringendola mentre chiusi gli occhi cercando di prendere una parte del suo dolore.

Il ragazzo captò i miei segnali lasciandoci sole, sospirai prendendo posto accanto a lei non sapendo cosa dire, mi limitai a stringere la sua corporatura tra le mie braccia porgendole la mia spalla per piangere il danno che da sola si provocò.

«Ana perché?» chiesi invano, lei non rispose. Guardava un punto fisso dietro alla mia testa evitando il contatto visivo.
Mi alzai dal pavimento, evitando di provocarmi una ferita e mi avvicinai alla finestra che venne spalancata rivelando la luce del sole che per una rara volta bruciava nel cielo di Northwich.
Una folata di vento gelido sostituì l'aria viziata che circolava in quelle quattro mura, non osai immaginare da quanto tempo fosse lì, sdraiata su un letto inerme, in uno stato di trance.

Mi sedetti dal lato opposto del letto cominciando un monologo, non ero sicura che le mie parole arrivassero dritte nella sua mente, o nel suo cuore, ma ci provai.

«Non devi. Non devi danneggiarti per sopprimere i tuoi problemi Ana, parlane. Parlane con me, o con quel ragazzo che ha mi ha dato l'impressione di una brava persona e sai che il mio istinto non mente mai.» ridacchiai perdendomi nei ricordi dei momenti felici che passavano assieme, dove lei puntualizzò che ogni volta che dicevo qualcosa su un ragazzo si rivelava realtà.
Un sorriso amareggiato si espanse sul mio viso mentre provavo a trattenere le emozioni.

«Non è il modo giusto. Non è la cosa migliore. Stai facendo del male a te stessa, di nuovo. »

Strinsi il suo corpicino in un abbraccio, stringendola a me. Sembrava che il suo corpo potesse frantumarsi da un momento all'altro e scivolare via dalle mie braccia proprio come accadde con suo fratello. Era così fragile, si era fatta carico di una colpa che sentiva sua quando il vero colpevole viveva la sua vita tranquillamente.

I suoi occhi puntarono i miei per la prima volta i suoi occhi nei miei e giurai di aver visto qualcosa di diverso in essi, una piccola speranza di riuscire a venirne fuori bruciava nel color cioccolato che occupava gran parte della palpebra.

Le raccontai del viaggio a Londra che avevo affrontato con Harry, del mio improvviso malanno e dell'avvenimento di Maedly e del presunto padre.

Schiuse le labbra, pensai stesse per dire qualcosa ma dalla sua bocca non uscì alcun suono ma continuai ancora speranzosa.

«Avevo previsto il peggio.» confessai, le miei mani si muovevano su e giù lungo le gambe nel tentativo di scaldarle. «A Londra si è comportato diversamente, dovevi vederlo, sembrava un'altra persona. Per un momento ho pensato fosse bipolare o che avesse qualche disturbo della personalità, sai?» una risatina abbandonò le sue labbra, facendo nascere un sorriso anche sul mio viso.

Il mio monologo di interruppe quando entrò il ragazzo misterioso nella camera, porgendo una tazza fumante di the a me e ad Ana, che afferrò con la mano tremante portando il recipiente alle labbra.

Quello che scoprii si chiamasse Liam, stava studiando medicina all'università sin da bambino il suo sogno era quello di salvare la vita a tutte le persone che ne avevano bisogno e quando incontrò Anastacia sul ciglio della strada quasi priva di sensi l'accolse nel suo appartamento fin quando non riprese conoscenza.

Sorrisi al pensiero che esistessero ancora persone come lui e che fosse capitato proprio alla mia migliore amica.

Dopo aver passato gran parte della giornata con Liam ed Anastacia, salutai con un bacio sulla guancia quest'ultima e con un cenno del capo il giovane.

«Ci vediamo presto ragazzi.» salutai ancora una volta incamminandomi verso l'uscita.
Percorsi la strada di ritorno verso casa in tutta tranquillità con la quiete che Kayne West emanava con la sua voce direttamente nelle mie cuffiette, e tra una canzone e l'altra ritornai nuovamente nel mio rifugio.

Passai il resto della giornata guardando serie TV su Netflix e smanettando sul computer cercando qualcosa di interessante, quando mi imbattei nella pagina Facebook di Madley Parker.

Mordicchiavo il labbro inferiore mentre con le dita scendevo lungo il suo profilo, cliccai su una foto che ritraeva lei in una discoteca abbracciata ad un ragazzo.

Il campanello mi fece sobbalzare, lasciai il portatile sul divano con ancora il sito web lasciato aperto e percorsi il corridoio che portava all'ingresso e aprii la porta.


Mi scuso se il capitolo è minuscolo ma dopo ci sarà un bel colpo di scena, spero vi piaccia, baci R.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora