47. Vuoto

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La pioggia scendeva fredda su di me, camminavo velocemente mentre la mia sagoma veniva riflessa distrattamente nelle finestre oleografiche dei palazzi. Avevo severamente vietato ad Harry di venirmi a prendere ogni giorno, non volevo che pensasse mi stessi approfittando di lui. Non distava molto la compagnia e, quei rari giorni in cui non pioveva, era anche piacevole passeggiare. Uno scricchiolio alle mie spalle mi fece sussultare, sospirai pensando fosse solo frutto della mia immaginazione. Inevitabilmente il mio passo aumentò, sentivo una presenza alle mie spalle e non avevo intenzione di voltarmi. Cominciai letteralmente a correre quando mi accorsi che la figura retrostante fece lo stesso. Ero bloccata in una strada senza via di uscita.

Mi voltai raccattando quel briciolo di sicurezza che era ancora cosparso in me e con gli occhi socchiusi scrutai la sagoma vestita di nero e coperta dal cappuccio di una felpa.

Scavai all'interno della borsa lasciando tutti i soldi e il cellulare sul suolo umido.

«È-è tutto quello che ho, non- non farmi del male» ammisi indietreggiando, lui, era davvero robusto in confronto a me. L'unica cosa che riuscivo a vedere chiaramente erano le mani decorate da uno strano simbolo, probabilmente era un salice. Si stava avvicinando e pensai volesse prendere gli oggetti che avevo lasciato lì, approfittando della sua distrazione corsi velocemente verso l'uscita della strada ma venni bloccata da altri due uomini. Mi dimenai urlando con tutte le forze, i polmoni mi bruciavano ma continuai a gridare nella speranza che qualcuno potesse venire in mio aiuto.

La stessa mano di prima poggiò un fazzoletto imbevuto di chissà quale sostanza sul mio naso, sussurrai frasi sconnesse prima di abbandonarmi al mio destino.

***
Sentivo i muscoli delle gambe indolenziti, uno spiraglio di luce penetrava da uno spiffero che non riuscivo a mettere a fuoco. Ero stesa su un vecchio materasso, i miei vestiti erano ammassati in un angolo di quella cella sotterranea. Non capivo, perché ero lì?

Provai con tutte le forze che avevo a dimenarmi, ma il sonnifero che avevo inalato era ancora vivido in me, provai ad issarmi ma una catena bloccò i miei movimenti. Ero trattenuta da essa che era saldamente legata alla mia caviglia. Le lacrime scendevano incontrollate sulle mie foto, avevo freddo ed ero tremendamente impaurita.

Guardai le mani che erano legate sul grembo, pensai quando Harry le accoglieva teneramente, non volevo metterlo in ulteriori casini..

Provai a capire dove mi trovassi ma nella mia mente vacillava il nulla, l'assenza di luce e di lucidità non giocavano a mio favore. Mi accasciai nuovamente su quello che doveva essere una sorta di letto e attesi.

Passarono secondi, minuti ed ore.

La luce diventava sempre più fioca, sussultai quando un assordante rumore di chiavi sbloccò la porta ossidata causando un gran trambusto.

Era una figura esile, diversa da quella che mi aveva rapito. Aveva il volto coperto da un panno nero, mi era impossibile riconoscere i suoi tratti ma mi accorsi che era una donna.

Si avvicinò sicura di sé e senza proferire parola slegò la mia caviglia lasciando un pasto ai piedi della brandina.

Trasalii non avendo nemmeno il coraggio di chiedere spiegazioni, ero troppo impaurita da ciò che mi circondava, mi limitai a serrare gli occhi attendendo che andasse via.

***
Due settimane dopo

Traccio sul muro un'ennesima linea, avevo cominciato a conteggiare i giorni delle mia prigionia; impiegavo parte dei miei giorni pensando all'unica persona che era ancora capace di farmi sentire umana. Non poteva essere possibile, lui non era venuto a salvarmi come ogni sera sognavo, lui era semplicemente presente nei miei pensieri. E basta.

«Alzati.» sobbalzai quando udii l'unica voce femminile che una volta a settimana veniva a riprendermi, mi bendò gli occhi mentre tirava i ceppi dove aveva legato i miei polsi. Percorrevo il tragitto che parve interminabile a causa dell'assenza di forze. Le gambe cedevano, sembrava che non volessero reggere il peso della mia persona.

La luce improvvisa mi abbagliò nonostante avessi gli occhi coperti, cominciai a trasalire quando i miei piedi nudi vennero in contatto con qualcosa di freddo che non riuscivo a distinguere. Bloccai i miei movimenti e riuscii a percepire la frustrazione della donna che, avvicinandosi pericolosamente, racimolò i miei capelli in una morsa ferrea strattonandomi.

Piansi silenziosamente, volevo scappare via, il più lontano possibile. Volevo raggiungere la pace, magari quella eterna e irraggiungibile misericordia che ogni uomo cerca.

Il brusio dell'acqua mi fece sollevare il morale, avevo bisogno di lavare via dei peccati che sentivo miei nonostante non mi appartenessero minimamente, la donna mi denudò dell'unico indumento rimastomi indosso, la tunica bianca, mi liberò i polsi spingendomi verso la vasca. Ero ancora bendata e la mia fiducia scarseggiava sempre di più, avevo bisogno di un bagno rilassante dove avrei potuto spenderci ore ed ore non una veloce doccia fatta in comune con una sconosciuta che, probabilmente, preferirebbe vedermi giacente e priva di vita.

Dress code [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora