Ripartimmo e arrivammo in aeroporto. Cameron dormì un po', poi lo svegliai e ci imbarcammo; per fortuna avevo il mio zaino con me, non sapendo nemmeno perché lo avevo sulle spalle, pensavo di averlo lasciato al locale. Saliti sull'areo, Cameron mi disse che avevo gli occhi troppo rossi, sia del pianto, che della stanchezza e quindi, mi impose di dormire. Mi fece ancora qualche carezza e io, continuando a piangere, ma più silenziosamente, mi appoggiai sulla sua spalla. Mi accarezzava ancora e io quasi mi abituati, era ipnotizzante e paradisiaco, era calmante. Poco dopo mi addormentai.
Cameron mi svegliò per farmi fare colazione e io mangiai molto poco, il mio stomaco era totalmente chiuso. Lui, però, decise di comprarmi un pacco di oreo e me lo mise nello zaino. Due ore dopo arrivammo in italia, a Napoli, alle sette precise. Scendemmo dall'areo e andai nel bagno dell'aeroporto per togliermi, alla bene e meglio, il mio trucco evidentemente sbavato. Lo tosi con un po' d'acqua e poi tornai da Cameron, che era andato, anche lui, in bagno. Dopo camminammo fino alla banca più vicina e cambiai i soldi in euro, poi prendemmo un taxi, che ci portò fino all'ospedale.
<<Signorina, non può andare da nessuna parte, l'orario delle visite è chiuso>> mi disse un'infermiera.
<<Ma io devo salire, lei non capisce.>> le risposi.
<<La capisco, ma davvero, non posso farci nulla. Le visite iniziano alle 10.>> mi disse. Chiesi il piano della stanza di mio nonno e decisi che avrei aspettato lì, quello si poteva fare. La signorina mi fece salire e con me venne anche Cameron. Scissi a mia mamma che ero arrivata in ospedale, non la chiamai perché non volevo sentire nessuno di loro. Non volendo mi addorementai, ero troppo stanca e avevo pianto molto. Feci solo incubi.
Mi svegliai quasi urlando e feci sobbalzare una signora vicino a me. Non vidi Cameron e mi spaventai, ma poi lo vidi arrivare in lontananza e mi tranquillizzai.
<<Non voui mangiare, ma devi bere>> mi disse porgendomi una bottiglietta d'acqua.
<<Cameron>> dissi, per riprendere a piangere, ma lui mi fermò.
<<Blue, ascoltami, sei qui, questo è importante. Tra mezz'ora potrai vederlo e tutto ti sembrerà migliore; ora, però, devi sforzarti di bere, hai le labbra tutte secche e non tocchi acqua da ieri sera.>> mi disse aprendo l'acqua e io mi sforzai e ne bevvi un sorso.
Alle dieci dissi all'ostetrica che volevo entrare, ma lei mi disse che nonno si stava farcendo un'operazione e che non poteva ricevere visite. Chiesi, allora, di poter entratelo stesso e lei mi disse che andava bene, ma che poi sarei dovuta tornare alle 17.00 per una visita. Restai nella stanza e poi chiamai mamma, con Cameron sempre vicino.
<<Lucrezia>> mi disse con voce più calma rispetto al giorno prima.
<<Sono in ospedale, voi dove siete? Sapevi che stavano operando nonno?>>
<<Non lo stanno operando, penso che stiano facendo qualcosa ai polmoni per vedere di salvarlo. Il volevate gli ha perforato un polmone, ma dicono che c'è una vaga possibilità di sopravvivenza>> mi disse e in me aumentava il nervosismo.
<<Quando evolvi dirmelo?>>
<<Non pensavo arrivassi adesso, te lo avrei detto in gioranata.>> mi rispose.<<Io voglio sapere tutto, tutto. Perché tu e papà avete litigato? Voglio sapere anche quello>>
<<Ne parleremo da vicino>> mi disse.
<<Contaci mamma>> risposi e attaccai.
Cameron non mi lasciava un attimo, mi dava vicina; ad ora di pranzo mi portò qualcosa del Mc e mangiò con me. Mi fece delle domande sulla mia famiglia, ma io non ero psicologicamente pronta a parlare di tutto, non volevo ricordarmi di quelle cose orribili. Il punto è che io le ricordavo tutte, fingevo solo di averle seppellite dentro di me. I genitori sbagliano, è vero, ma dovrebbero sapere che c'è una linea da non oltrepassare con i figli. Continuavo a ripromettermi che se mai avessi avuto dei figli io non averi fatto come loro. Io gli volevo molto bene, moltissimo, loro erano la mia famiglia, ma dentro di me sentivo che non volevo più vedreli, mai nella mia vita un singolo giorno, mai. Mi dispiaceva per mamma e Cloe, loro erano il mio tutto, ma anche mio padre, gli volevo bene, molto, ma delle cose, con tutto che provi a dimeticarle, non puoi. Io volevo solo vivere la mia vita, come qualunque altro adolescente: volevo le vancaze con loro, tutti inciseme, come quando avevo tre o cinque anni, volevo litigare con loro, volevo fare pace, volevo le mie certeze, il mio rifugio, il mio posto sicuro, ma io sentivo di non averlo più.
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Dramedy
Fanfiction*dalla storia* «Bene ti chiamerò così allora» «Ma aspetta, perché mai dovresti chiamarmi?» «Ha detto Hyde che farei lavori di gruppo, o mi sbaglio?» mi chiese con un ghigno sulle labbra «No, non ti sbagli, ma chi ti ha detto che li faremo insieme?»...