14 - Vigilia

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I due sconosciuti restarono a guardarmi con aria confusa, mentre io mi rendevo sempre più conto di essere disposto a riprendere le chiavi anche con la forza, se necessario. Così non andava bene, quello era un istinto troppo violento per la mia vera personalità. Se gli avessi fatto davvero del male, una volta tornato me stesso non sarei più riuscito a perdonarmelo... e poi cosa avrebbe pensato Sarah di me?

«Datemi quelle chiavi e andatevene, o non risponderò più delle mie azioni» cercai di avvertirli.

Evidentemente ero abbastanza arrabbiato da intimidirli, perché cambiarono subito atteggiamento.

«Tranquillo, non volevamo fare nulla alla tua ragazza, ecco le chiavi».

Le lanciò nella mia direzione e io le presi al volo, faticando per coordinare i movimenti di quel mio corpo privo di ali. Sarah adesso sembrava più preoccupata per me che per se stessa, mentre quei due, nel frattempo, si stavano già allontanando in tutta fretta, scomparendo nel buio del paesaggio notturno in pochi secondi.

Lasciarono dietro di sé un silenzio di tomba, nel quale vidi Sarah accasciarsi improvvisamente a terra. Mi chinai per controllare che stesse bene, accorgendomi che tremava e che il suo volto era pallidissimo. Sapevo che la sua reazione dipendeva anche da me, e avrei voluto spiegarle tutto subito, ma i brividi di freddo insieme a tutte quelle forti emozioni mi impedivano di concentrarmi.

«Cosa hai fatto? Come facevi a parlare con loro? I tuoi vestiti, le tue ali...» mi incalzava lei, intanto. Le tremava perfino la voce.

«Entriamo in casa e ti racconterò tutto, qui fuori fa troppo freddo» fui costretto a chiederle.

Annuì così debolmente che per un secondo temetti che non riuscisse a fidarsi di me, invece accettò la mia mano per alzarsi e dopo sembrò sentirsi un po' meglio. Aprii il cancello al suo posto con le chiavi che avevo ancora in mano ed entrammo insieme in casa, dove la differenza di temperatura mi colpì così intensamente da confondermi per qualche istante. Lei, però, sembrava stare molto peggio di me: si teneva a malapena in piedi ed ebbe bisogno del mio sostegno per arrivare a sedersi sul divano.

Lì, trascinato dal sollievo, mi ritrovai ad abbracciarla improvvisamente, con più forza di quanto avrei dovuto. 

«Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?» cercai di capire

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«Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?» cercai di capire. La sentivo tremare sul mio petto, pallida forse anche più di prima.

«No, nulla. Grazie a te, Abel. Ma non capisco, sei... umano?».

Non l'avevo mai vista così incerta, stringeva tra le dita il maglione che avevo addosso come se rischiassi di scomparire da un momento all'altro.

«Sì, in questo momento sì».

In risposta, si allontanò leggermente per osservarmi da capo a piedi in cerca di tutte le piccole differenze con l'Abel che era abituata a vedere, mentre sotto il suo sguardo indagatore mi sentivo sprofondare dall'imbarazzo. Poi, con la mano ancora tremante, Sarah raggiunse la mia schiena all'altezza delle ali, o almeno dove avrebbero dovuto essere; il contatto delle sue dita con le mie scapole "nude" mi fece rabbrividire... se mi fossero mancate le gambe, probabilmente sarebbe stata la stessa cosa.

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