Fourty Three. Fine dei giochi

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Tutto era così diverso adesso. Mi ripetevo continuamente che era tutto finito, che il peggio era passato, ma facevo fatica a credere nelle mie parole.

Sono sempre stata una persona ottimista, ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno e mai mezzo vuoto. Ho sempre affermato che dopo ogni tempesta tornava il sole a splendere negli stessi punti dove la stessa vi si era fortemente abbattuta.
Ma in quel momento, per quanto io ci provassi, non riuscivo ad essere ottimista. Guardavo continuamente lo specchio cercando di riconoscermi nel riflesso, ma il tentativo falliva miseramente ogni volta.

Chi ero? Chi era realmente Olivya Kylei?
Erano passate ormai due settimane da quando Harry fu rilasciato dal carcere di Portland. Aveva incontrato sua madre, sua sorella, per fino suo padre che non vedeva da anni, che gli avevano organizzato una festa per festeggiare il suo ritorno, alla quale, -sì, certo, avevo partecipato- ma non ero riuscita a vivermela come Harry realmente meritasse.

Giorno dopo giorno sentivo le pareti del mio stomaco comprimersi dalla paura.
Perchè ero convinta che tutto ciò non fosse realmente finito?
Mi sentivo letteralmente spaesata, come se tutto intorno a me fosse in disordine, e per quanto io volessi migliorare le cose, puntalmente tornavano nello stesso modo di sempre.

Avevo una confusione totale nella mente, troppe domande, troppi perchè. Probabilemente tutti si aspettavano da me una reazione differente. Dopo tutto quello che ci era successo nelle ultime due settimane avrebbero dovuto riportare in me tranquillità. Dovevo essere felice per la fine dei giochi di Cale.

Ma non riuscivo ad esserlo, lui aveva distrutto l'ultimo anno e mezzo della mia vita e delle persone che mi circondavano. Aveva ribaltato tutto, ogni mio equilibrio quotidiano ed ogni mia certezza. Cale Norwet era stato come un uragano, mi aveva trascinato nel pieno della sua voraggine, ed in fine, dopo aver fatto di me quel che voleva, dopo aver distrutto qualsiasi cosa le capitasse davanti, mi aveva scaraventato con le spalle contro un muro lasciandomi senza fiato spaesata. Confusa.

"Liv, stai bene?" Mi domandò mia madre quando rientrò nel bagno dove mi aveva lasciato poco prima.

"Cosa?" Dissi mentre sobbalzai. Ero completamente immersa nelle mie paure da non aver captato nessuna parola da lei pronunciata.

"Ho chiesto se stessi bene" replicò dolcemente, avvicinandosi a me. I suoi occhi erano sempre preoccupati, anche lei era spaventata per me, per i miei continui cambiamenti. Difatti mia madre era l'unica che aveva assistito a tutte le sfaccettature della mia persona.

Ero cambiata più volte, come se soffrissi di qualche disturbo di personalità. Ero per fino andata da un medico per chiedere se avessi qualche patologia a me sconosciuta, ma le uniche risposte che ricevetti furono consigli su come superare il trauma. Era normale, diceva la dottoressa, era normale stare male e creare una metamorfosi della personalità dopo tutto quello che avessi passato.
Ma io nella mia testa continuavo a ripetermi che non doveva essere assolutamente normale che qualcuno rovini la vita ad un'altra persona in questo modo.

"Si sto bene mamma" dissi senza guardarla in faccia, mi feci spazio tra lei e la porta e mi dirissi direttamente fuori.

Entrai nella mia camera ed afferrai il mio cellulare mentre mi lasciai cadere sul letto, composi il numero di Niall e lo chiamai, dopo un paio di squilli non ci fu nessuna risposta ed io gli lasciai un messaggio in segreteria

"Niall, umh, sono io, Liv, appena senti questo messaggio chiamami, dobbiamo parlare" dopo aver lasciato il messaggio, ripogiai il telefono sul comodino e chiusi gli occhi.
Questi erano i momenti che più odiavo, restare sola con me stessa. Adesso non avevo più uno specchio davanti nel quale fissarmi, ma al contrario, erano proprio i miei pensieri a fissare me, come se volessero aggredirmi da un momento all'altro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 25, 2018 ⏰

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