Capitolo 6.

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"Eccoci arrivati." Si stiracchiò e si sedette su una panchina trasandata.

"Il parco abbandonato?" Domandai, guardandomi intorno.

"Esattamente. Vieni, siediti e parliamo." Mi indicò il posto accanto a lui e obbedii immediatamente al suo comando, sedendomi.

"Non ho molto da dire." Affermai, decisa.

"Dimmi quello che sai." Mi guardò negli occhi.

"Già se mi guardi così, non riesco..." Abbassai lo sguardo.

"Eh va bene, va bene, non ti guardo!" Sbraitò.

Per colpa del suo comportamento decisamente infantile stavo per alzarmi e andare via. Tuttavia, decisi che forse sfogarmi con qualcuno avrebbe potuto farmi sentire meglio.

"Sono cresciuta da con mia madre, eravamo sole. Quando ero piccola, tutte le mie amiche avevano il papà e io no... ma ovviamente non riuscivo a spiegarmi il perché. All'età di 12 anni, mamma mi ha detto tutto."

"Tutto cosa?" Domandò, curioso.

"-Tuo padre mi ha lasciata quando gli ho detto di aspettare un bambino. È scappato, sparito, non lo sento da allora e non so dove sia. Due anni fa mi aveva chiesto di vederti, ma io non gliel'ho permesso. Ci ha abbandonate. Entrambi.- testuali parole..."

Non mi ero accorta di avere gli occhi lucidi e la voce roca mentre parlavo. Ricordare di quei tempi tanto bui e tristi per me, mi faceva sempre venire la pelle d'oca.

"Mia madre si è fatta in quattro tra me e il suo lavoro per mantenerci. Lui non se n'é mai fottuto di niente, non ha mai spedito soldi, non si è mai preoccupato della mamma o di me. E adesso sai la qual è la novità? Vuole vedermi, ancora, ma io rifiuto e lui insiste. Non riuscirei a guardarlo in faccia mezzo secondo senza bestemmiare!"

E sta volta non mi ero accorta nemmeno che le lacrime avessero cominciato a rigare il mio viso pallido. Casillo mi guardava impotente, con i suoi due occhioni grandi lucidi per lo sconforto. Mi prese la mano, e la strinse nella sua.

"È una cosa terribile..." Commentò, accarezzandomi le dita.

"Lo so." Confermai, annuendo con il capo.

"Sai, mi dispiace davvero. Non pensavo che soffrissi così tanto..." Mi lanciò un'occhiata.

"Nessuno lo immagina. E il mio nome non aiuta." Scrollai le spalle. A nessuno importava di Serena Dalba.

"Ma tu all'apparenza sei felice. Io con te ci ho sempre scherzato, e non mi ero mai accorto che l'altra tua faccia fosse così... sconvolta." Spiegò.

"Lo so. Fingo con tutti. Solo Isa, e adesso anche tu... insomma, siete gli unici che sapete la verità. Io non riesco più a fingere, non trovo nemmeno un buon motivo per sorridere..." Scoppiai definitivamente a piangere, singhiozzando rumorosamente, e portai entrambi le mani sul viso nel tentativo di coprirmi.

Non volevo che mi vedesse mentre ero al peggio delle mie condizioni. Temevo che, il giorno successivo, avrebbe potuto prendermi in giro assieme ai suoi amici. E mi sarei sentita mille volte peggio.

Pochi secondi dopo, sentii un paio di braccia avvolgermi dolcemente il busto. Il mio cuore batteva incessantemente mentre Occhi Verdi mi abbracciava. Rimanemmo così per un po', mi sfogai mandando giù abbastanza lacrime. Quando ci staccammo guardai i suoi occhi; erano lucidi e rossi, e ciò voleva dire che... aveva pianto anche lui!

"Sono sicuro che lo troverai." Si ricompose, strusciandosi una mano sugli occhi.

"Cosa?" Chiesi, distratta. Ero rimasta davvero sconvolta dalla sua sensibilità.

"Un buon motivo per sorridere." Mi fece l'occhiolino.

Arrossii e sorrisi istintivamente, senza nemmeno volerlo. Ah però... Mr. Casillo-Nonhouncuore ci era riuscito. C'era riuscito a farmi sorridere.

"Te l'avevo detto io, che sono speciale. Riesco a farti ridere anche mentre piangi. Sono un mostro." Ammise soddisfatto.

"Infatti... sei un mostro." Scherzai, spintonandolo amichevolmente.

"No, piuttosto un bel tipo che va incontro alle povere ragazze con problemi di qualsiasi genere, e le aiuta a risolverli." Spiegò con tono professionale, scrollando le spalle.

Scoppiai a ridere e, subito dopo di me, mi seguì anche lui. Un'altra volta, c'era riuscito un'altra volta.

"Bella Casi', ti ci vedo come psicologo." Ironizzai.

"Io? Psicologo? Spero tu stia scherzando." Fece una faccia orribile. La mia stessa faccia quando, una volta, mi venne il ciclo e scoprii di non avere più assorbenti con me.

"E come le aiuteresti le povere ragazze, scusami se insisto?" Mi sistemai a braccia conserte, inarcando un sopracciglio.

"Facendole passare... serate piacevoli, in un certo senso." Gesticolò, ridendo sotto ai baffi.

"In pratica le porti a letto?" Arrivai dritta al punto, sbuffando.

"Sì, me le scopo. Bell'intuito, Dalba, non ti facevo così intelligente." Sorrise.

"Quindi io qui cosa ci faccio? Vuoi portarti a letto anche me?" Domandai inorridita.

"No!" Urlò. "Nemmeno per sogno!" Gli si disegnò un ghigno di disgusto sul viso.

"Hai ragione, sono troppo per bene e brutta per competere con le puttane che ti porti a letto. Me ne vado." Mi alzai, ma mi impedì di andare via trattenendomi per il braccio.

"Fermati." Ordinò con una voce strana eppure dolce allo stesso tempo. "Io da te non voglio questo. Assolutamente no. Ma se proprio insisti..." Rise maliziosamente.

"Ma no, che schifo!" Urlai.

"Perfetto. Ti riporto a casa, dai." Si alzò e si stiracchiò, così come aveva fatto appena eravamo giunti qui.

"Aspetta un attimo, non dovevi dirmi qualcosa anche tu?" Domandai, cercando di ricordare.

"No, e se anche fosse ho dimenticato. Andiamo, su." Mi prese per un braccio ma mi liberai violentemente dalla sua presa, guardandolo truce.

Non ero una bambina. Gli sarei rimasta accanto, nonostante fosse scorbutico e alle volte lontanamente dolce e sensibile.

***

"Eccoci arrivati. È casa tua questa, vero?" Chiese, guardandosi intorno.

"Sì sì, è qui." Sorrisi. "Grazie per avermi fatta parlare. Mi sento un po' meglio, sai?" Ammisi.

"Mi fa molto piacere questo. Allora ci si vede a scuola." Mi salutò dapprima con un cenno del capo, poi si avvicinò.

Mi baciò la guancia.

Fu un bacio leggero, di pochi secondi, come se delle piume mi avessero sfiorato la pelle. Poi sparì, nel buio della notte.

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