Capitolo 13.

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"C-cosa? Ma è sicuro?"

"Si, purtroppo si. Deve correre, la cosa è urgente."

"Come arrivo da Milano? A piedi?"

"Molto spiritosa. Bhe, non so cosa possa fare.. cerchi di essere qui il prima possibile."

Staccò.

Intanto Casillo era dietro di me, e mi sentiva parlare.

"Chi era?" domandò.

"Ale.." mi girai con le lacrime.

"Che succede?" mi si avvicinò velocemente.

"Mamma.. ha avuto un incidente.." scoppiai a piangere.

"Piccola.. andrà tutto bene, vedrai." mi abbracciò forte.

"No, altrimenti non mi avrebbero detto -Deve correre. La cosa è urgente.-" piagnucolai.

"Come ci arriviamo a Roma?" domandò.

"Non lo so! Non so più niente!" urlai.

"Calmati.." mi accarezzò il viso, ma spostai la mano.

"No, non mi calmo. Come faccio a calmarmi?" mi sedetti piangendo.

"Andrà sicuramente tutto bene. Mio fratello può accompagnarci a Roma."

"Ma no, poi davvero devono farti santo. Ti sto chiedendo tanti favori." sospirai.

"A me fa piacere. Allora, devo chiederglielo o no?"

"Come vuoi.."

"Lo chiamo. "

Rimasi sul divano a piangere e a cacciare tutte le mie lacrime.

//

"L'ho convinto. Prepara una borsa, che sta arrivando." sorrise.

"Ale.. grazie mille, davvero" lo abbracciai.

"Grazie a te. Perché mi stai insegnando che cos'è la vita. È da 12 anni che non vivo." mi strinse.

"Ti voglio bene, Casillo."

"Anche io, Dalba. Muoviamoci, su."

Preparai una borsa con qualche vestito, e tornai a sedermi sul divano. Mi abbracciò ancora, è asciugò le lacrime.

"Te l'ho già detto. Sei molto più bella quando sorridi." mi baciò la guancia.

Rimanemmo per un po' così, Milano-Roma sono 6 ore di macchina.. ma per la mia mamma questo ed altro.

"È arrivato" controllò il cellulare "Andiamo."

Mi prese la mano e scendemmo. Trovammo già la macchina scura, con dentro suo fratello Michele. Salimmo.

"Ciao Serena!" mi salutò.

"Ciao Michele.." mi limitai.

Mi abbracciai ad Alessandro e appoggiai la testa sul suo petto. Lui mi baciò prima la testa, poi la fronte e mi accarezzò la schiena. Tornai a piangere, Michele era già stato informato da Casillo.. e non osava spiccicare parola. Piansi in silenzio, mentre lui tentava di consolarmi in tutti i modi.

//

"È questo l'ospedale." disse Michele, parcheggiando.

Erano ormai le 18 passate..

"Entrate voi due, io rimango qui." disse infine.

Uscimmo dall'auto ed entrammo nella struttura gigante. Ci avvicinammo alla segreteria.

"Sono Serena Dalba..vengo per Giovanna Dalba, mia madre."

"Alla fine ce l'ha fatta a venire" abbozzò un sorriso "Stanza 104."

Stavo per darle un pugno ma Alessandro mi trattenne.

Percorremmo vari corridoi e salimmo delle scale, e finalmente ci trovammo davanti a quella stanza maledetta.

"Non ho il coraggio di entrare.." piagnucolai.

"Devi..forza." mi accarezzò dolcemente la schiena.

"Si.."

Appoggiai la mano sul pomello.. e aprii. Seduto sul letto accanto a mia madre, c'era un uomo. Era sicuramente mio padre. Non me lo sarei mai immaginato così. Era alto, più o meno sulla quarantina, con occhi azzurri e capelli neri.

"Serena..la mia Serena.." si avvicinò, con gli occhi lucidi.

"No, lasciami stare. Io sono qui per la mamma. Potresti uscire?" chiesi gentilmente.

"Non ti avevo mai vista, sei bellissima."

"Puoi uscire?" chiesi ancora.

"Identica a tua madre." sorrise.

"Scusi, non sente cosa ha detto? Serena vorrebbe rimanere sola con sua madre." intervenne Alessandro.

"Lui chi è? Il tuo ragazzo?" sorrise ancora.

"No.. è il mio amico migliore."

"Migliore amico vuoi dire?"

"Diciamo di si. Lasciami sola."

Finalmente ascoltò la mia richiesta e uscì, chiudendo la porta. Mi sedetti accanto alla mamma e piansi, piansi a lungo. Le chiedevo il perché, perché una donna così buona come lei doveva subire tutto questo. Entrò Alessandro.

"Scusa se ti interrompo..ma dovremmo uscire.." si avvicinò.

"Si..scusa" asciugai le lacrime e uscii.

"Potete venire a casa mia, c'è posto per tutti" s'intromise mio padre.

"No, grazie, troveremo un albergo." lo ignorai e continuammo a camminare.

"Ascolta, Serena.. so che sei arrabbiata con me."

"Perché non dovrei esserlo?" incrociai le braccia.

"Non hai nessun torto. Ma eravamo ragazzini. Quando ho sentito che tua madre era incinta io.. io ho avuto paura!"

"Non hai saputo prenderti le tue responsabilità, ecco."

Camminai velocemente con Alessandro che mi teneva la mano. Scendemmo e fui chiamata da un dottore.

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