Capitolo 9.

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"Casa tua è molto più grande rispetto alla mia." Aggiunsi, sedendomi sul divano.

"Lo so, a mio padre piacciono le case grandi." Sorrise e si sedette accanto a me, scrollando le spalle.

"Capito." Sorrisi a mia volta. "Mi dici allora la cosa dell'altra sera?" Insistei.

Sì, ero molto curiosa di sapere di cosa si trattasse. Magari era una sciocchezza, o magari era una cosa seria. Però purtroppo ancora non lo sapevo.

"N-non è il momento adatto per dirtelo." Balbettò, per poi sospirare.

"E quando sarebbe il momento?" Tentai, sistemandomi a braccia conserte.

"Sbaglio o dovevamo parlare di te? Se ci sarà tempo, te ne parlerò dopo." Spiegò e sospirò, riprendendosi dall'apparente condizione di abbattimento che stava per colpirlo pochi secondi prima.

"Va bene..." Mi arresi e tenni lo sguardo basso per evitare di incrociare i suoi occhi.

"Allora, qual è l'argomento della serata?" Si sistemò per bene, facendo schioccare le dita delle mani.

"Isa e le amicizie perfette." Sospirai con voce triste e poetica. "Non ci siamo più sentite da stamattina. Ho paura, Ale..." Sussurrai, mentre i miei occhi divenivano lucidi.

"Paura di cosa? E poi, aspetta, tu di solito non mi chiami Casillo ?" Rise.

"Sì... ma Ale è più veloce da pronunciare. Comunque ho paura di perderla..." Lottai contro le lacrime e fortunatamente ebbi la meglio.

"Le persone come lei meglio perderle che trovarle... questo è poco ma sicuro." Sorrise, ma pur sempre con un velo di tristezza.

"La conosco da sempre, come potrei accettare di perderla? Non ce la faccio. Anche se è una cosa che succederà sicuramente..." Sibilai e la voce mi uscì più roca del solito.

"Ascolta, Dalba. Non devi farti mettere i piedi in testa da nessuno, hai capito?" Mise le mani sulle mie spalle, guardandomi dritto negli occhi, proprio come aveva fatto mia madre la sera precedente.

"E tu? Tu puoi mettermeli i piedi in testa?" Gli chiesi. Okay, ammetto di non sapere da che pulpito sia partita quella domanda.

"Be', sì, ma solo perché sono speciale. Comunque davvero... impara a farti rispettare, e noterai la differenza." Sorrise, pizzicandomi la guancia.

"Non ci riesco. Sono solo Serena, una ragazza serena che vive una vita serena. No, sbagliato completamente. Sono Serena solo di nome, e non vivo assolutamente una vita felice. Ma tutti sono convinti di questo. Che ne dici? Forse è meglio così." Mi scese una lacrima che non tentai di bloccare. Avevo un enorme bisogno di piangere.

"No, non è meglio. Devi stare bene tu per prima, e poi gli altri. Sai, se avessi saputo della tua situazione, non avrei mai fatto battute su di te. Non mi piace scherzare su queste cose." Sospirò e abbassò lo sguardo.

"No, è stato meglio così. Dove lo trovo uno psicologo come te?" Risi.

"Hey, non sono uno psicologo. Ma comunque mi fa piacere aiutarti. Mi fa... mi fa stare meglio." Curvò leggermente la bocca in quello che sembrava essere un sorriso.

"Sì, tu sei il mio psicologo. Ho deciso così." Sorrisi, scrollando le spalle.

"Il fatto che io riesca a farti ridere mentre piangi riesce a sorprendermi sempre di più." Scosse la testa, ridacchiando.

"Sorprende anche me, sai Casillo?" Mi sistemai a braccia conserte.

"Mi mancava sentirti pronunciare quel nome. Casillo." Ripeté il suo cognome un paio di volte, come se stesse citando qualche frase importante.

"Comunque, parlando seriamente... ho questo brutto presentimento. Cosa devo fare?" Gli domandai, guardandolo negli occhi.

"Non devi darle corda. Se vuole piantarla qui, assecondala. Si è comportata malissimo con te." Rispose, deciso.

Mentre mi diceva quelle cose, la mia testa era altrove. Mi perdevo nel suo sorriso, nei suoi occhi simili a due pietre preziose...

Ma cosa stavo mai pensando? La pietra più preziosa era al centro di lui, nel suo cuore... beato chi riusciva a conquistarlo.

Ma davvero pensavo questo? Impossibile... no no, era decisamente impossibile.

"Serena? Serena ci sei?" Mi schiaffeggiò dolcemente la guancia.

"Sì sì... sono qui!" Fissai nuovamente il mio sguardo su di lui.

"Dov'eri fino a due secondi fa?" Ridacchiò.

"Qui, scemo." Sbuffai rumorosamente.

Nonostante avessi capito che stesse cercando di tirarmi su di morale utilizzando le sue battute peggiori, non mi aiutava per niente. Stavo perdendo la mia migliore amica e il solo pensiero mi spaventava da morire. Sospirai silenziosamente e cominciai a torturarmi le nocche delle dita, osservandole rumorosamente.

"Rieccola che sbuffa." Rise e scosse il capo.

"Dai, Ale..." Lo implorai, con le lacrime agli occhi. La voce mi era uscita più supplichevole del previsto.

"Cosa c'è?" Inarcò un sopracciglio.

"C'è che non ce la faccio..." Le lacrime continuarono a bagnare il mio viso pallido, mentre con le mani tentavo invano di spazzarle via.

"Dalba..." Mi accarezzò la guancia, abbozzando un piccolo sorriso. "Devi farcela, è diverso. Tu ce la puoi fare." Mi avvolse il busto con le sue braccia possenti e mi strinse forte a sè.

"No, io non ci riesco..." Sibilai, rifugiandomi con il capo sul suo petto.

"Sì che ci riesci. Vedrai." Non smise di abbracciarmi, anzi, cominciò ad accarezzarmi i capelli pur di calmarmi.

"No, non riesco più a sopportare nulla. Soprattutto mio padre. Questa situazione mi fa soffrire un botto, sul serio." Sussurrai, con voce spezzata.

"Almeno tu un padre ce l'hai." Quella frase uscì rapida dalla sua bocca, quasi come se non avesse avuto realmente intenzione di pronunciare quelle parole.

"Anche tu ce l'hai, Casillo." Alzai lentamente lo sguardo, incrociandolo con il suo.

"Sì ma... intendevo... oh, lascia perdere." Sospirò e interruppe il legame creatosi prima tra i nostri sguardi, chiudendo nervosamente gli occhi.

"No, ora mi dici." Affermai, sistemandomi a braccia conserte.

Le sue guance divennero rosse tutt'ad un tratto, i suoi bellissimi occhi verdi iniziarono ad inumidirsi e le labbra a curvarsi come se il diretto interessato fosse prossimo al pianto. Poi però si ricompose e prese un bel respiro.

"È la madre che non ho..."

Rimasi di sasso. In quel momento capii tutto: la fotografia di sua madre poggiata in salone, il fatto che non gli piacesse scherzare su queste cose (non piace a nessuno, ma figuriamoci se il diretto interessato ha perso uno dei due genitori...). Lo abbracciai fortissimo e, dopo pochi secondi, scoppiò a piangere fra le mie braccia.

"Oggi... oggi sono 12 anni che è morta e... e io sto male perché mi manca, ricordo poco o nulla di lei!" Sussurrò tra i vari singhiozzi. "Mi fa male solo sentirti parlare di tuo padre, perché è come se non ce l'avessi nemmeno tu."

Non riuscivo a spiccicare parola. Niente, nemmeno un "Mi dispiace ", niente di niente. Avevo la bocca ancora semi-aperta per lo stupore e non facevo altro che stringerlo a me. Ne aveva bisogno, pertanto non mi tirai indietro: anche lui mi aveva abbracciata e consolata quando ce n'era stata la necessità.

"Odio tutto ciò, odio la mia vita e tutta la merda che la circonda. Noi due siamo molto simili, Dalba. Lascia che ti aiuti. Staremo meglio, entrambi." Sussurrò, con gli occhi chiusi.

Non riuscii a rispondere neanche 'sta volta. Mi limitai a stringerlo un po' più forte e a baciargli dolcemente la fronte. Io volevo che lui mi aiutasse, lo volevo a tutti i costi e lo desideravo. Era inutile continuare a negare l'evidenza.

E, se anche lui aveva bisogno di un aiuto, allora sarei stata pronta a donargli tutto ciò di cui aveva bisogno.

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