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È passata ormai una settimana dal compleanno di Tom e le cose tra noi vanno a gonfie vele.

La giornata al lavoro è passata tranquilla e alla chiusura, io ed Anna abbiamo brindato ad un lieto evento: è diventata nonna!
«Sono davvero contenta Anna, davvero!» le dico mentre l'abbraccio.
Prima che lei possa rispondere, il campanello sopra la porta tintinna, segno che sia entrato qualcuno.
«Mi dispiace, stiamo chiudendo. Torni domani!» dico, senza neanche guardare in viso la persona, troppo presa dalla proprietaria e le sue lacrime di gioia.
«È chiuso anche per me?»
Alzo lo sguardo e riconosco quasi immediatamente chi ho di fronte: è Simon, il ragazzo gentile che ho conosciuto al bar tempo fa ed ora eccolo qui, davanti a me con un sorriso sghembo e una scatola di pasticcini in mano.
«Ciao Sim-»
«Simon! Tesoro!» gli corre incontro Anna, interrompendomi.
«Oh, quindi voi due vi conoscete presumo!» dico sorridendo.
«Lei è mia madre, Amy.»
«Oh... Oh! Ma quindi... Sei diventato papà? Insomma questa è... è una notizia fantastica!» rispondo io, andandolo ad abbracciare.
«Sì... davvero fantastica... se non fosse che quello ad essere diventato padre è mio fratello.»
A queste parole gelo e rimango immobile per l'imbarazzo. Ancora stretta a lui, alzo la testa e inizio a ridere istericamente per la brutta figura.

«Ehi signorina! Dove stai andando tutta di fretta?» mi chiede Simon vedendomi prendere il cappotto.
«A casa! Dove vuoi che vada altrimenti?»
«Ed hai intenzione di andarci a piedi di notte e con questo freddo?» ribatte, incrociando le braccia al petto e sorridendo.
«Uhm... e chi sarebbe così tanto gentile da aiutare una povera ragazza disperata?» faccio, con tono teatrale, facendo ridere il ragazzo.
«Dai ragazza disperata, andiamo! Ti accompagno io a casa.»
Così, saluto Anna e dopo averle fatto gli auguri per l'ennesima volta, esco insieme a Simon.

«Eccoci arrivati Amy.»
Mi guarda con uno sguardo strano.
Non proprio strano in realtà ma è indecifrabile.
No. In realtà è decifrabile. Insomma so perfettamente cosa significa quello sguardo. Non sono nata ieri, se un ragazzo ci sta per provare con me, me ne rendo conto subito. In questo caso che cosa fare? È un bel ragazzo, certo... ma io amo Tom, insomma non vorrei che lui abbia frainteso qualcosa...
«Amy?»
«...sì?»
Ecco, lo sta per dire... qualcosa simile ad un "mi piaci" o un "sei bellissima" oppure...
«Amy, mi spiace ma sono fidanzato.»
Aspetta che?
«Come... cosa... Simon ma che dici?» dico, alzando la voce per l'imbarazzo e cominciando a ridere.
«Oh... è che mi stavi guardando e quindi sai, credevo che tu... oh lasciamo perdere! Sono uno stupido Amy, scusami!» dice per poi scoppiare a ridere.
Che pessima figura.
Prima di scendere dalla macchina, gli do un rapido bacio sulla guancia per salutarlo.

Apro la porta di casa e vedo Tom sobbalzare al mio arrivo, poi comincia a guardarmi severamente.
«Va tutto bene Tom?»
«Non lo so Amy, va tutto bene?» chiede lui, alzando la voce e con un sorriso sprezzante.
Ha il viso rosso e gli occhi spalancati. Il suo respiro è pesante e ora che lo osservo bene, i primi tre bottoni della sua camicia sono slacciati.
Se non fossi sicura che lui sia arrabbiato, penserei che abbia paura, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Mi avvicino cautamente a lui, prendendogli le mani ma lui le tira subito via.
«Ma che ti prende?!» sbraito, irritata dal suo atteggiamento.
«Che cosa mi prende? Che cosa prende a te! Chi era quello Amy?»
«Era un mio amico! L'ho conosciuto al bar, si chiama Simon, è il figlio della proprietaria e mi ha riaccompagnato a casa perché fuori è buio e fa freddo e non voleva farmi tornare a piedi! Vuoi sapere qualcos'altro, papà?» sbotto, incrociando le braccia al petto.
«Come mi hai chiamato scusa?»
Non è il suo tipico tono scherzoso. Non c'è alcuna malizia nè dolcezza nella sua voce.
Si avvina lentamente a me, continuando a guardarmi negli occhi.
«Tom mi stai spaventando...» dico abbassando la voce.
«Come cazzo mi hai chiamato?!» urla, tirando un pugno accanto al mio viso, al muro alle mie spalle.
Il mio cuore ormai ha perso il controllo, gli occhi mi pizzicano per le lacrime che minacciano di uscire e la mia mano destra prude, ansiosa di fare quello che sto per fare.
Tiro uno schiaffo all'attore, talmente forte che sulla sua guancia rimane per un po' il segno delle dita.
Questa volta però, al contrario della prima, non mi pento di nulla, anzi. Ancora arrabbiata, lo spingo indietro con tutta la forza che ho e mi libero da quella trappola.
«Sai una cosa? Quel ragazzo è fidanzato ma anche se non lo fosse stato, tu più di chiunque altro dovresti sapere benissimo che non mi sarebbe interessato perché stupido stronzo, io amo te!» faccio, puntandogli il dito sul petto.
«Amy...» fa per asciugarmi le lacrime che ormai hanno cominciato a scendere ma mi allontano bruscamente da lui.
«No Thomas, non questa volta.»
Detto questo, vado in camera da letto, col solo intento di riposare e sbollire la rabbia.

Dopo qualche ora, mi risveglio per un rumore.
Qualcuno sta bussando. Tom.
«Vattene via...» dico con voce spezzata.
«Perfavore piccola... aprimi.»
Mi ha chiamata "piccola". Come faccio a far finta di niente? Come si fa a spegnere i sentimenti? No davvero, perché se esiste un interruttore, lo voglio tutto per me, ne avrei un grande bisogno.
Decido di aprirgli la porta ma non lo guardo negli occhi, mi siedo sul bordo del letto ed aspetto che cominci a parlare.
Lo vedo inginocchiarsi davanti a me e prendermi le mani.
«Lo sai che voglio guardarti negli occhi quando parliamo...» mi sussurra, sorridendo dolcemente.
Vorrei sorridergli anche io, dirgli che lo amo e che qualsiasi cosa gli sia passato per la testa, gli perdono tutto quanto ma non posso farmi questo. Reprimo così ogni istinto di baciarlo e rimango seria.
«Mi dispiace davvero tanto, Amy. Non so che cosa mi sia preso.»
«Non puzzi di alcol, non sei ubriaco. Eri completamente cosciente di ciò che facevi. Non hai mai fatto così Tom, mai. È vero, sei geloso, anche io sono gelosa, insomma, noi siamo gelosi! Ma questo... questa non è gelosia, questa è possessione e non va bene. Sai perché non va bene? Perché questo non sei tu. Tu non sei questo, io lo so.»
Le mani mi tremano e le lacrime ricominciano a rigarmi il viso.
«Hai ragione...non avrei voluto. Lo sai che questo periodo sono stressato. Il lavoro, il divorzio... insomma... molte cose. Però sai anche che io ti amo. Ti amo da impazzire e non avrei mai voluto fare quello che ho fatto oggi. Insomma, vederti piangere per colpa mia è terribile...» dice lui, asciugandomi le lacrime ed avvicinandosi al mio viso, posando la sua fronte sulla mia e facendo sfiorare i nostri nasi.
«Sei stato uno stronzo.»
«Lo so.»
«Non devi comportarti così con me.»
«Lo so.»
«Dovrei picchiarti per questo.» aggiungo in fine, facendomi scappare un sorriso.
«Oh sì, lo so.»
Poi mi bacia e mi fa sdraiare sul letto cominciando a spogliarmi frettolosamente.
Fra un bacio e l'altro, finiamo con il fare l'amore e poi ci addormentiamo.

A svegliarmi per la seconda volta, è il campanello della porta.
Guardo Tom che dorme così beato e non voglio svegliarlo, così gli do un rapido bacio a stampo e corro a vedere chi possa mai essere a quest'ora.
Mi alzo in punta di piedi per guardare dallo spioncino ma fuori non c'è nessuno. Apro la porta e sopra lo zerbino c'è una busta da lettere, bianca.
La prendo e rientro in casa, chiudendomi la porta alle spalle.
"Credi davvero di conoscere il tuo fidanzato? Apri la busta e corri il rischio."
«Ma che significa questo?...» dico fra me e me, sconvolta dalla situazione.
All'improvviso sento qualcuno cingermi i fianchi e velocemente nascondo la busta dentro la maglietta che ho indosso.
«Ehi... chi era?» chiede Tom, baciandomi il collo.
«Uh? Nessuno... si divertono così ormai di questi tempi...» rispondo io, con una nota di incertezza nella voce ma pare che lui non se ne sia reso conto.
«Adesso torniamo a letto.»

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