LXIII~ «Io l'ho persa»

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-Ecco... io...— balbetto, non sapendo come cominciare a parlarle.

Faccio un respiro profondo, tenendola d'occhio, cercando di captare anche il più minimo movimento.

-Conosco Sam. Conosco il ragazzo che ti ha fatto del male. Andavamo alle medie insieme, in una scuola privata. Eravamo io, Diego, e lui. É sempre stato... A- aveva questa malata ossessione per le ragazze, le vedeva come oggetti di cui abusare per i propri piaceri. Un giorno venne a scuola con un sorriso trionfante, e ci disse che per quella sera aveva trovato una bella ragazza dai capelli rossi che lo avrebbe intrattenuto.-  la mia voce si inasprisce, quando ricordo di quel giorno, del sole che illuminava la classe, che accarezzava i capelli scuri di Sam, mentre con un ghigno maligno ci raccontava di quella nuova conquista.

-Ci ha detto che eravamo i benvenuti, che ci saremmo divertiti tutti insieme. Avevamo tredici anni, eravamo piccoli, e nessuno di noi credeva a quel che Sam stava dicendo. Era solo uno scherzo, per noi. Quella sera, io avevo una visita, ma Diego ci andò.-

Elsa non si muove, non sembra ascoltarmi, eppure io continuo a parlare.

È la prima volta che ne parlo con qualcuno, non ho mai raccontato a nessuno di quel che accadde quella sera.

-Andò a casa di Sam, e quando suonò al campanello, fu lui ad aprirgli. Era agitato, esaltato, emozionato. Non riusciva a stare fermo. Quando scoccarono le nove, Sam sorrise, e guidò Diego lungo le scale che portavano alla cantina. Era buio, e fuori aveva cominciato a diluviare: c'era un'atmosfera cupa, come un funesto presagio, eppure Diego seguì Sam, curioso. Finché non raggiunsero la cantina. Lì, Sam accese una lampadina che emanava una fioca luce giallastra, ma era abbastanza per illuminare l'ambiente stretto. Nessuno di noi aveva creduto alla storia raccontata da Sam , nessuno avrebbe potuto anche solo immaginare quello che c'era lì sotto.- mi fermo, mordendomi il labbro, mentre il viso sconvolto di Diego mentre raccontava ciò che era accaduto mi si ripresenta davanti.

-C'era una ragazza. Aveva dei lunghi capelli rossi e gli occhi verdi, le guance cosparse di lentiggini. Era legata ad una sedia con delle... corde, che le avevano segnato i polsi quando aveva provato a liberarsi, e in bocca aveva un fazzoletto, per far sì che non parlasse. La ragazza —ma all'epoca era così piccola, tredici anni non ancora compiuti...— era Emily.- rivelo.

Gli occhi di Elsa improvvisamente si spalancano, e si puntano nei miei, colmi di paura.
Il labbro le comincia a tremare, e i suoi respiri si fanno più frequenti.

-Diego la conosceva di vista: la vedeva sempre giocare al parchetto che aveva di fronte casa. Rimase immobile dallo shock. Sam intanto si era avvicinato a lei, e aveva cominciato a slacciarsi i bottoni della camicia che indossava con uno sguardo rapace. Diego si mosse solo quando Sam si avvicinò ancora ad Emily. Gli disse di fermarsi, di lasciarla stare, che era sbagliato, illegale, ciò che stava facendo. Sam si fermò, provando però a convincere Diego a "lasciarsi andare". Alla fine la spuntò Diego. Prese Emily e se ne andò, portandola... be', portandola da me.-

Elsa si morde il labbro, fissandomi dritto negli occhi.

-Qualche giorno dopo, smisi di frequentare Sam: non potevo essere amico di una persona così meschina. Prima di troncare qualunque tipo di rapporto, però, mi minacciò di privarmi della mia ossessione, proprio come io e Diego avevamo fatto con lui. Emily non denunciò mai Sam: aveva troppa paura. Ma tu puoi. Tu puoi denunciarlo, Elsa. Puoi vendicare te, Emily, e chissà quante altre ragazze che hanno avuto paura.-

Elsa scatta seduta, cominciando a scuotere la testa con occhi sgranati, respirando furiosamente.

-Elsa... Elsa, tu puoi denunciarlo. Puoi essere forte e puoi...—

Faccio un passo avanti, le mani sollevate per mostrarle che sono innocuo, ma ho già sbagliato.

È in un battito di ciglia, la velocità con cui una lacrima scivola lungo la guancia, un raggio di sole che illumina un sorriso, getto all'aria ogni precauzione.

Un passo.
Basta un passo.
Un passo solo per distruggere violentemente quell'autocontrollo che aveva riacquistato dopo settimane di sforzi.

Un passo verso di lei.
E comincia ad urlare.

Mai suono mi è parso più straziante dell'urlo di Elsa, che con le mani sulle orecchie dà sfogo a quei sentimenti che teneva legati con un filo troppo sottile per reggere a lungo.

Indietreggio velocemente, cercando di rimediare a quell'unico passo fatto in un impeto di stupido istinto, ma ormai è troppo tardi, ed Elsa sta gridando.

La porta si spalanca con fracasso, e Luca fa irruzione con gli occhi sgranati ed il respiro ansante, seguito dalla madre che mi esorta ad uscire.

Ed io non so come arrivo alla porta di casa, se inciampando nei miei passi o correndo, so solo che all'improvviso mi ritrovo in mezzo alla strada, mentre nelle orecchie continua a riecheggiare quell'urlo disperato che ha pugnalato con fredda precisione il mio cuore ammaccato.

Mi infilo in un vicolo stretto e sporco, accasciandomi a terra e recuperando con mano tremante il telefono, mentre un tuono squarcia il silenzio.

Porto il telefono all'orecchio, cercando di racimolare quanta più aria possibile, perché al momento mi sembra di soffocare.

Comincia a piovere con inaudita violenza, le gocce che mi colpiscono e si insinuano sotto la pelle e mi marchiano come sottili ferite, piccoli tagli.

«Pronto? Eric?» risponde Alessandro, con un tono confuso.

Ansimo, mentre l'acqua mi riempie la bocca e mi bagna la guance.

«I-io c-ci ho parlato, ma...ma...ma lei ha-a urlato e...» balbetto, sconclusionato, cercando solo un modo per non ripensare a quel grido che mi ha strappato ogni speranza.

E prima che possa rendermene conto, sto singhiozzando, lasciando che le lacrime si mischino alle gocce d'acqua, e che mi manchi il respiro, che mi si mozzi con dolorosa giustizia in gola, mentre un nodo me la chiude, soffocandomi col senso di colpa.

«Eric, ma che stai dicendo? Dove sei?» domanda Alessandro, preoccupato.

Piango come non mi sono mai permesso di fare, annaspando tra la pioggia e le lacrime.

«L'abbiamo persa, Ale, l'abbiamo persa...io, io, l'ho persa... l'ho persa per sempre, l'ho persa, l'ho persa...»

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